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We Happy Few: c'è poco da ridere

Abbiamo messo mani sul distopico We Happy Few, ecco la nostra recensione:

We Happy Few ha stuzzicato le nostre aspettative sin dal suo annuncio avvenuto nel 2015. Dopo 3 anni, circa 300 mila dollari ricevuti con una raccolta fondi e un serio sviluppo, We Happy Few arriva sui nostri dispositivi. Ricordandoci, con inaudita violenza, che le aspettative possono essere un’arma a doppio taglio…

L’Inghilterra felice

Siamo in Inghilterra, nell’immaginaria cittadina di Wellington Wells, in un 1964 alternativo in cui la Germania ha vinto la seconda Guerra Mondiale.
Tutti gli abitanti sono costretti ad assumere regolarmente una droga sintetica chiamata “Gioia” che permette loro di provare un’immotivata felicità. La sostanza permette loro di mantenere uno smagliante sorriso tenendo alla larga dubbi e ricordi del passato e alterando così la cruda realtà.
Il protagonista di questa storia è Arthur Hastings, un giornalista che si occupa della censura di articoli di giornale, adeguandosi alle regole di questa società distopica. Tutto cambia quando capita sotto i suoi occhi un articolo che risveglia in lui i terribili ricordi riguardanti suo fratello Percy e la sua misteriosa sparizione. Sconvolto dell’evento, decide di interrompere l’assunzione di Gioia rendendosi così conto del terribile presente che lo circonda.
Arthur viene immediatamente scoperto dai colleghi e dalla polizia che, a suon di manganellate, lo cacciano fuori dalle mura cittadine. Qui, tra i resti delle case bombardate e una natura sconsolata, si trovano i “musoni”, quei cittadini che, rifiutandosi di assumere la Gioia, sono costretti a vivere nella miseria.
Inizia qui la disavventura di Arthur e degli altri protagonisti che incontreremo andando avanti nella storia. La Trama è sicuramente il punto di forza di We Happy Few: un affascinante passato distopico caratterizzato da una forte malinconia di Orwelliana memoria e un pungente humor nero che non guasta mai. A dare manforte all’atmosfera ci sono i protagonisti, le loro personalità uniche e tormentate e una serie di dialoghi ben sviluppati che delineano perfettamente il dramma che stanno vivendo i personaggi.

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Gameplay strappalacrime

Dal punto di vista del Gameplay, il gioco si presenta come un mix tra un survival, uno stealth e un Immersive Sim. Gli elementi di survival sono stati molto ridotti rispetto alla versione in early-access del 2016. Il bisogno di mangiare, bere e dormire non intaccherà la vita del personaggio ma modificherà le sue statistiche, la resistenza sarà più alta dopo un pasto e potrà colpire gli avversari più duramente dopo una lunga dormita. Presente anche un piccolo ma efficace sistema di crafting che permetterà di costruire armi, vestiti e strumenti con i materiali e le cianfrusaglie trovate in giro.
L’elemento Stealth è quello più evidente all’interno del gioco e forse, anche quello meno riuscito. Sin dai primi momenti di gioco Arthur dovrà infatti mescolarsi all’interno della comunità; che sia quella degli “straccioni” che non vedono di buon occhio chi viene dalla città, o quella dei cittadini che sono estremamente sospetti nei confronti di chi non abbia assunto la propria dose di Gioia. Per questi motivi bisogna vestirsi in modo adeguato a seconda delle occasioni ed evitare di fare mosse inconsuete. Sedersi su una panchina e fingere indifferenza per allontanare qualsiasi sospetto.

Moltissime (troppe) le missioni in cui bisogna nascondersi dal nemico, cercare di distrarlo con il lancio di oggetti vari o nascondendo se stessi o i corpi dei nemici nell’erba alta, sotto i letto o nei cassonetti della spazzatura. Il tutto disturbato da una Intelligenza Artificiale davvero imbarazzante. Può capitare, infatti, che i nemici vengano allertati senza nessun reale motivo o che smettano di seguirvi improvvisamente oppure che non riescano a vedervi a 2 centimetri di distanza solo perché siete accovacciati nell’erba alta, tutti elementi che spezzano notevolmente la tensione.

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Poche le innovazioni

La situazione non migliora durante gli incontri ravvicinati con la polizia o gli abitanti. Chiamarli combattimenti ci sembra esagerato poiché, tra animazioni legnose e una IA imbarazzante, assumono più la forma di un’impacciata scaramuccia. Le animazioni sono carenti e banali durante tutto il gioco e per alcune azioni, sono addirittura assenti abbassando a zero il coinvolgimento.
Dopo aver terminato ogni missione della storia principale e qualche quest secondaria di poco conto… il nostro personaggio può acquisire dei punti abilità. Peccato che nessuna abilità dello scarno skill-tree sia degna di nota o necessaria; l’avventura può facilmente essere completata anche senza aumentare le proprie statistiche rendendo completamente inutile questa funzione.
Dal punto di vista tecnico, We Happy Few non riesce a sfruttare al meglio il potenziale dell’ Unreal Engine 4. Gli ambienti sono poco caratterizzati e gli effetti speciali risultano molto appiattiti. Grande nota dolente è la quantità di modelli grafici degli NPC che si contano sulle dita d’una mano e che vengono ripetuti all’infinito. I poliziotti hanno tutti la stessa faccia e vi sembrerà di incontrare sempre lo stesso cittadino riportandoci ai tempi dei videogiochi dei primi anni 2000. Notevole invece la colonna sonora e il doppiaggio originale in inglese (sottotitolato in italiano) che danno spessore alla trama e ai personaggi.

In Conclusione

We Happy Few ci ha ricordato dell’inganno del biscotto al cioccolato che nasconde, in realtà, la terribile uva passa. Un titolo apparentemente affascinante e intrigante si è rivelato piatto e poco coinvolgente. Per quanto la trama sia ben strutturata e piacevole, non riesce a sostenere il peso di una realizzazione frettolosa e priva di attenzione ai dettagli.

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Daniele Cicarelli

Indigente giramondo con la grande passione per i videogiochi, l'Arte e tutte le storie Fantasy e Sci-Fi che parlano di mondi alternativi senza zanzare. Fermo sostenitore dell'innovazione, del progresso tecnologico e della superiorità del Tipo Erba. Dalla parte dei Villains dal 1991.

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