Una fotografia che incanta, un montaggio sonoro travolgente e un cast di talento. Il nuovo film di Lech Majewski, Valley of the Gods dimentica la narrativa convenzionale per raccontare un mondo di assoluti, con dettagli di indubbio valore artistico. Ma in questo affresco sospeso fra la schiacciante ricchezza del personaggio interpretato da John Malkovich e l’infinita bellezza delle leggende Navajo, rischia di perdere qualche sottigliezza nell’eccessiva astrazione. Ecco quello che pensiamo di Valley of the Gods in questa nostra recensione.
Recensione di Valley of the Gods
John Ecas (Josh Hartnett) porta una scrivania nel deserto, nell’antica Valley of the Gods, la Valle degli Dei. Dopo una separazione traumatica dalla moglie ha deciso di scrivere la biografia di Wes Tauros (John Malkovich), l’uomo più ricco sulla terra e collezionista di arte. Il quale vive nascosto dal mondo in un misterioso palazzo, conservando un segreto che lo tormenta. John accetta un invito a entrare nella casa del magnate. La cui società estrae uranio anche nella Valle degli Dei, violando una terra sacra. Secondo un’antica leggenda Navajo tra le rocce della Valle sono rinchiusi gli spiriti di antiche divinità. E la ricchezza spirituale del popolo Navajo sta per scontrarsi con quella di Tauros.
Da questa trama che sembra una leggenda antica, una metafora trasformata in narrativa, parte un viaggio nell’assurdo sotto la guida attenta di Lech Majewski, che oltre alla regia ha curato anche produzione, sceneggiatura, fotografia e sonoro. Con un cast ottimo per qualsiasi film, ma eccezionale per questo tipo di progetto artistico. Ci sono infatti Josh Hartnett, John Malkovich, Berenice Marlohe, John Rhys-Davies e Keir Dullea. Che è stato il protagonista di 2001: Odissea nello Spazio e ha detto che Majewski è “è il regista di film più emozionante con cui abbia lavorato dai tempi di Stanley Kubrick. “
Con queste premesse, la visione di Valley of the Gods promette di essere di qualità. Noi di certo abbiamo rimpianto di non averla ammirata in sala: le immagini della Valle degli Dei e l’avvolgente panorama sonoro creato da Majewski meritano di essere visti nello schermo più grande che riuscite a vedere. Pura poesia filmica. Ma il film regge dal punto di vista narrativo?
“I dettagli di cosa?”
In una delle ultime scene fra Malkovich e Hartnett (non temete, niente spoiler) il protagonista chiede al ricchissimo Tauros: “i dettagli di cosa?”. Questa frase non ha potuto che restarci attaccata addosso dopo il film, durante la conferenza stampa con il regista, Dullea e Marlohe. Il film non segue una trama classica, un viaggio dell’eroe che potreste trovare nell’Odissea come nell’ultimo Spider-Man. Eppure la trama si segue facilmente, anche se è raccontata in maniera impressionistica più che lineare.
Non tutte le decisioni dei personaggi hanno senso logico, ma la chiara direzione metaforica del progetto non lascia stupiti. È un film che stupisce nella sua originalità, ma senza mai perdere il filo della narrazione troppo a lungo. Eppure non siamo sicuri di avere colto appieno il “quid” della storia. Non perché ci dia fastidio trovare da soli il significato dei film: ci piace guardare una storia che ci tratta da adulti capaci di pensiero critico. Ma abbiamo avuto l’impressione che la critica non fosse necessariamente originale.
Il tema della ricchezza di Tauros (Majewski ha spiegato che la villa in cui abita si ispira a Xanadu di Quarto Potere, ma anche un po’ al maniero di Bruce Wayne) dà una grande quantità di spunti. Non abbiamo sentito nessuno di questi come particolarmente illuminante, né emozionante. Le metafore nel film (sono molte) ci sono tutte sembrate abbastanza trasparenti: senza dubbio profonde, ma senza quelle sfumature che avrebbe potuto intrigarci. L’astrazione del regista lo ha portato a descrivere assoluti, idee platoniche più che veri personaggi. Profondo e sofisticato non sono sinonimi: avremmo preferito un’analisi di un uomo ricco, invece che della ricchezza, perché è nell’unicità dei personaggi dei film che si trova il generale.
Anche se come sempre nelle allegorie, può darsi benissimo che siamo stati noi a non aver visto dei livelli ulteriori di analisi. Questo è il genere di film in cui il senso lo deve trovare lo spettatore: forse voi potreste trovare gli spunti che ci sono sfuggiti.
Un film che brilla nei silenzi (ma non nei dialoghi)
Le scelte più coraggiose del film ci hanno davvero affascinato. L’immagine finale ci ha travolto, le scene del deserto ci hanno allargato ci hanno lasciato un senso mistico che non si può spiegare. Come poesia di immagini e suoni, questo film funziona: dimenticate di seguire un sentiero stretto stabilito dalla trama e aprite la mente alle emozioni, che non hanno sempre bisogno di logica per arrivare. In questo senso ci hanno affascinato i tratti di cultura Navajo che Majewski ha raccontato, lavorando da vicino con i locali. Nella conferenza stampa il regista ha spiegato di aver visto questi posti e ascoltato queste leggende mentre promuoveva Il Vangelo di Harry con Viggo Mortensen. Il regista ha raccontato di essere stato stregato da questi luoghi e queste persone, e di aver sentito un richiamo quasi spirituale per scrivere e dirigere questo film. Questo entusiasmo si sente tutto sullo schermo.
Il problema (secondo il nostro parere) è quando dalle immagini si passa al dialogo. Quando il protagonista parla con John Rhys-Davies, il suo psicologo, parlano dell’assurdità della vita in maniera diretta, come se stessero spiegando un libro di Camus. Quando John Malkovic parla della sua immensa ricchezza, che però non può colmare il suo vuoto interiore, lo fa più o meno con una parafrasi di questa frase. Le immagini e i suoi sono suggestivi, i dialoghi non lo sono altrettanto. L’ambizione di questo progetto ci inonda nella fotografia e nel montaggio sonoro ma ristagna nelle scene dialogate. Nonostante gli attori siano fantastici in ogni scena, e nonostante siamo lieti di aver visto un cast di questo livello dare questo livello d’intensità in un film così artistico.
Recensione di Valley of the Gods: per chi è questo film?
Nonostante indulga spesso nelle metafore (alcune delle quale a nostro giudizio sono troppo trasparenti per essere interessanti) e perda il proprio liricismo visivo nei dialoghi, le due ore del film sono passate davvero in fretta. Se siete persone a cui piacciono film non convenzionali, dove le scene (soprattutto quelle più sensuali) sono sopra le righe e originali, potreste innamorarvi di questo film.
La fotografia è splendida, anche se gli elementi in CGI non sempre sono perfetti. C’è anche una scena girata alla Fontana di Trevi (dal vero ma con gli attori aggiunti in digitale) che potrebbe essere la miglior pubblicità per le bellezze di Roma dai tempi di Fellini. Il design e il montaggio sonoro ci hanno incantato anche nelle cuffie e siamo sicuri che siano ancora meglio al cinema.
I dettagli sono magnifici. Il confronto tra ricchezza di mezzi e di spirito, fra natura e capitalismo, fra l’arte e il cinema commerciale non ci hanno colpito per la profondità d’analisi. Ma questo è il genere di film che invita a più interpretazioni: potrebbe essere quello che state cercando. E in ogni caso consigliamo a tutti gli appassionati del cinema di autore di guardare quest’opera al cinema, dove merita di essere apprezzata. Il fatto che non ci abbia fatto gridare al capolavoro in questa recensione pensiamo dipenda molto dal nostro gusto personale: Valley of the Gods è il genere di film che chi ama parlare di cinema dovrebbe vedere anche solo per avviare una conversazione.
Il film è una distribuzione CG Entertainment in collaborazione con Lo Scrittoio. Potete ammirarlo al cinema da oggi 3 giugno.
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