Viene da chiedersi di tanto in tanto se sia effettivamente più difficile porre il proprio obiettivo in cima ad una montagna oppure oltre qualche facile gradino. Il primo pensiero cadrebbe, passatemi il termine, sul monte. E' certamente più facile superare tre gradini piuttosto che scalare una vetta.
Ma la vera questione è da quale delle due altezze sia più doloroso cadere. Se parliamo di dolore fisico beh, non stiamo nemmeno a illustrarvi il nostro punto di vista, ma se invece parliamo di sconforto è tutta un'altra storia.
Fallire un obiettivo semplice è forse più traumatizzante di mancare uno scopo quasi impossibile, le attenuanti non sono certamente le medesime.
Ma vi invito a non confondere questo ragionamento come una facile scusa, fallire un'imposizione che è impossibile in partenza forse, proprio perchè dentro lo si temeva, risulta meno sconfortante di vederne sfumare una semplice, ovvia, quasi scontata.
Al contrario però, portare a termine un'impresa unica, grandiosa, è assai più esaltante dei famosi tre gradini già menzionati. Il piacere di conquistare qualcosa solo con la propria forza, la forza della propria squadra, è saporito quanto spianare quella montagna e non semplicemente scalarla.
Ma per quel qualcuno che vuole piantare la propria bandiera su un monte impossibile da scalare, e ci riesce, non basta solo quel brivido momentaneo.
Cercherà un punto più alto da raggiungere, un mare più ampio da esplorare, un nemico più forte da sconfiggere, un sapore più esotico da gustare.
Anche perché una volta che si è arrivati all'obiettivo, non accade come nelle pellicole di Hollywood ragazzi, lo schermo non sfuma a nero, la musica non cresce e niente finisce. Si è costretti a vivere il momento dopo la vittoria, e quello dopo ancora e quello ancora più avanti.
E ti senti sfumare il brivido della conquista, diluito nell'acqua della routine.
Una nuova speranza forse nasce quando, seduto in metropolitana, capisci quale sarà la tua nuova missione. Magari leggendola nel volto di un anziano di fronte a te, oppure è in quel graffito che conosci così bene sul muro della stazione. E allora sai cosa fare, d'improvviso, di colpo.
Da solo, nel mio laboratorio, dimenticato e disprezzato da chiunque cerco di sconfiggere quei pagliacci che tutti chiamano “eroi”.
Se solo sapessero quanto è eroico quello che faccio, se solo potessero immaginare il peso della malvagità. La responsabilità che comporta.
Quanto sia difficile risorgere, combattere ancora e ancora, per sempre. Se solo quei pagliacci potessero capire, anche solo per un attimo, il mio punto di vista.
Una visione del mondo avvolta nella sofferenza, la solitudine della superiorità, il coraggio della mostruosità.
Una vita eterna volta a dare significato a quella di un altro, il contrappeso delle nobili gesta, la mano del destino. Questa è la sorte di un super malvagio, e mai come ora mi sento vicino a questa definizione.
Questo Editoriale, il primo di molti, è rivolto a chi per primo s'imbarca nella nostra avventura. A chi ogni mattina apre gli occhi e non può fare a meno di sentirsi manchevole di qualcosa, e passa la giornata cercando di riempire quel vuoto. Perché la soddisfazione è la morte dell'uomo.
Queste righe parlano a chi cerca un eroe, o un super cattivo, per sentirsi completo, dare un senso alla sua esistenza. Dare un perché agli sforzi che fa.
Voi Nerd bramosi di unicità, consapevoli della solitudine di un villain, capirete le mie parole. O.N. esplorerà la nostra natura, insieme arriveremo là dove nessuno di noi è giunto prima.
Orgoglio Nerd è qui per restare, che vi piaccia o no.