Sono passati ormai 36 anni dall’arrivo nelle sale di tutto il mondo di Top Gun, una delle più celebri e riuscite declinazioni del viaggio dell’eroe brillantemente teorizzato da Christopher Vogler, cioè l’insieme di archetipi, dinamiche e strutture narrative su cui si poggia gran parte della storia della narrativa e del cinema. Un’opera definita dallo stesso produttore Jerry Bruckheimer uno “Star Wars sulla Terra”, capace di segnare indelebilmente l’immaginario collettivo e di esaltare, nel pieno dell’amministrazione di Ronald Reagan, il vigore e l’eroismo a stelle e strisce, ben rappresentati dal personaggio di un perfetto Tom Cruise e dagli spericolati piloti della United States Navy Fighter Weapons School. Dopo un ritardo di 2 anni dovuto alla pandemia, arriva il 25 maggio nelle sale italiane Top Gun: Maverick, con il non facile compito di continuare la storia dopo decenni e di adattarsi allo spirito totalmente mutato di questa complessa epoca.
Avevamo lasciato Pete “Maverick” Mitchell acclamato dai compagni al termine di una prodigiosa missione aerea, con la quale era riuscito nella triplice impresa di onorare la memoria dell’amico tragicamente scomparso Goose, di riconciliarsi con il rivale Iceman e di ottenere finalmente il rispetto dei suoi superiori, pronti a offrirgli un ruolo da istruttore nella scuola per piloti. Un classico lieto fine che ricordava da vicino quello di Luke Skywalker nel già citato Star Wars, un altro dei più brillanti esempi del viaggio dell’eroe.
L’inossidabile Tom Cruise riporta in scena un Maverick invecchiato e indurito dal tempo, ma ancora indissolubilmente legato agli eventi del primo film. Un istruttore che non ha perso il vizio di aggirare le regole, disposto a tutto pur di infondere la sua esperienza a un gruppo di giovani reclute, fra le quali c’è una sua vecchia conoscenza, cioè Bradley “Rooster” Bradshaw (Miles Teller), figlio di Goose.
Top Gun: Maverick, spettacolo e malinconia in un riuscito sequel
Da questo spunto prende il via una nuova avventura nei cieli degli Stati Uniti (e non solo), in cui per l’eroe eccellenza Maverick si trova alle prese con il ruolo del mentore di un giovane irrequieto e a lui ostile. Ruolo che interpreta in maniera inevitabilmente imperfetta, per via di un temperamento istintivo che il tempo non è riuscito a scalfire, ma che lo mette di fronte alla necessità di compiere un passo che non è mai riuscito a fare, cioè lasciar andare definitivamente il passato. Il regista Joseph Kosinski (che ha già diretto Tom Cruise in Oblivion) riesce a intercettare perfettamente questo spirito, dando vita a un racconto malinconico ma estremamente vitale, cupo ma non rassegnato, in cui i veri nemici sono i fantasmi del passato di Maverick.
Fin dall’incipit di Top Gun: Maverick (praticamente una copia carbone del predecessore), Joseph Kosinski mette in scena un ambiente militare che, nonostante decenni di progressi tecnologici e sociali, è ancora sostanzialmente inalterato rispetto al 1986: sostenuto da rigide gerarchie, manuali da rispettare, cinici calcoli e soprattutto dall’energia e dall’ardore delle nuove leve, per definizione in contrasto con le generazioni precedenti.
Un’attitudine che trova una corrispondenza nello stesso Maverick, a sua volta incapace di evolvere e di realizzarsi: lo ritroviamo infatti senza una famiglia, protagonista di un tira e molla sentimentale con la Penny di Jennifer Connelly e al termine di una carriera decisamente modesta rispetto alle sue possibilità, a differenza di quella intrapresa invece da Iceman, che per anni ha coperto le sue intemperanze, forte della sua influenza all’interno delle gerarchie militari.
Non solo operazione nostalgia
Sulla scia di Star Wars: Il risveglio della Forza, ma anche di Creed – Nato per combattere e del più recente Ghostbusters: Legacy, Top Gun: Maverick applica la formula spesso vincente del remake camuffato da reboot (o del requel, come insegna Scream), traslando il vecchio eroe nel ruolo dell’atipico mentore e dando spazio a una nuova generazione dai tratti umani e caratteriali simili a quelli dei protagonisti del primo Top Gun.
Si fatica a tenere il conto delle sequenze esplicitamente riprese dal predecessore: la presentazione a sorpresa di Maverick alle reclute dopo una serata di baldoria, lo sport in spiaggia, una moto che corre accanto a un aereo che decolla, un abbraccio trattenuto ma sentito fra due rivali che si sono scoperti amici in battaglia e molto altro ancora.
Scene che potrebbero fare indispettire lo zoccolo duro dei fan e gridare all’auto-plagio della saga, ma che hanno sempre una precisa funzione narrativa e rendono Top Gun: Maverick un sequel coerente e in rima col predecessore, capace addirittura di dare vita a momenti di rara emotività, ben lontani dallo spirito del lavoro di Tony Scott. Difficile non commuoversi di fronte al cameo di Val Kilmer, segnato da una grave malattia come il suo stesso iconico personaggio, o davanti alle gesta eroiche dell’istruttore Maverick e dei suoi allievi.
In un racconto in cui il passato sembra sempre più vitale del presente, Tom Cruise è l’ideale anello di congiunzione fra due diverse epoche, due differenti maniere di intendere il blockbuster d’azione e due opposti punti di vista sulla vita. Una prova da attore vero, con la quale una delle ultime star di Hollywood riesce a fare parlare gli occhi, le pieghe del volto e il suo magnetico sguardo, smentendo coi fatti e per l’ennesima volta tutte le accuse di scarsa espressività.
Top Gun: Maverick, un sequel degno dell’originale
Dove Top Gun celebrava l’estro e il testosterone, Top Gun: Maverick mette in scena il disperato attaccamento alla vita di chi quell’estro lo ha vissuto e si ritrova oggi dall’altra parte della barricata, senza aver però mai abbandonato il ragazzo di ieri. Alcune difficoltà di scrittura (su tutte quella del personaggio di una comunque efficace Jennifer Connelly) sono ampiamente controbilanciate da un’azione epica e incredibilmente curata, durante la quale viviamo il pericolo e sentiamo quasi sulla nostra pelle l’affanno di Maverick e la sua paura di non farcela.
Il climax finale, scandito da un comparto sonoro di primissimo livello e dalla suggestiva Hold My Hand di Lady Gaga (che prenota il suo secondo Oscar per la migliore canzone originale), non è solo una prova di grandissimo cinema d’azione, per certi versi superiore all’originale, ma è il trionfo della narrazione per immagini e della più totale sospensione dell’incredulità, che ci fa battere il cuore e sospirare insieme ai protagonisti ribadendo, casomai ce ne fosse bisogno, il ruolo imprescindibile della sala cinematografica.
Dopo due giorni di anteprime fissati al 21 e 22 maggio, Top Gun: Maverick arriverà nelle sale italiane il 25 maggio, distribuito da Eagle Pictures.