In un periodo in cui il panorama cinematografico sembra essere invaso da sequel e reboot (spesso molto forzati) di film classici, un secondo capitolo di Trainspotting è un progetto doppiamente rischioso. Da una parte perché si va a toccare uno dei più grandi cult della storia per la generazione nata tra gli anni '80 e '90, per la quale Renton e compagni sono stati una parte importante dell'adolescenza. Dall'altra perché, al contrario di molte delle pellicole che negli ultimi anni hanno ricevuto un sequel. Trainspotting non è mai stato un film commerciale, realizzato con l'intento di creare una macchina da soldi. Il risultato finale avrebbe dovuto essere all'altezza del primo o superiore, per evitare che venisse percepito come l'ennesima operazione di bieco sfruttamento della nostalgia. Fortunatamente T2 Trainspotting è riuscito a cavarsela egregiamente.
T2 Trainspotting: il passato va dimenticato?
Fin dalla primissima scena infatti, il nuovo film di Danny Boyle non ha paura di confrontarsi con l'originale, richiamando immediatamente una delle sequenze più iconiche rivista tuttavia nell'ottica dei cambiamenti che sono intervenuti in questi vent'anni nelle vite dei protagonisti. Riferimenti di questo tipo saranno molto frequenti nel film: nelle inquadrature, nelle musiche, nei dialoghi sarà possibile cogliere numerosissime citazioni al primo capitolo. Tutto è inserito però in maniera coerente con la nuova storia che viene raccontata, non si ha mai l'impressione di forzature solo per giocare sui ricordi dei fan. Forse solamente un caso stona leggermente da questo punto di vista, ma è uno dei momenti più indimenticabili di Trainspotting ed era difficile immaginare che non avrebbe fatto ritorno in questo film, senza contare che la scena di per sé è ottima e quindi vale la pena di lasciar correre. A rendere ancora più digeribile il tutto, c'è il fatto che l'intero film giochi proprio con l'idea di rivangare il passato, per capire cosa è cambiato in questi vent'anni e cosa invece è rimasto immutato, contraddicendosi continuamente. È lo stesso Renton ad affermare che "il passato va dimenticato", ma al contempo è sempre lui a riportare gli spettatori in giro a caccia di ricordi per Edimburgo. E così ci si ritrova nuovamente in mezzo a questo gruppo di non più giovani scozzesi, tra chi ha provato a cambiare, chi non l'ha mai voluto e chi ci è riuscito, nonostante tutto.
Chi in questi anni è cresciuto di più tuttavia è sicuramente Danny Boyle. Tornare a casa, al film che ha lanciato la sua carriera, dopo svariati successi e un Oscar alla Miglior Regia sul caminetto, ha davvero scatenato il regista inglese. Il suo lavoro in Trainspotting 2 è eccezionale, estremamente creativo e originale, con punte davvero di altissimo livello. La regia è un'evoluzione perfetta di quella del primo capitolo, abbellita e migliorata dai venti anni di esperienza maturati. Alcune idee lasceranno senza dubbio di stucco gli spettatori, soprattutto i fan più accaniti. Più difficile è invece l'analisi della sceneggiatura di John Hodge, che a una prima impressione potrebbe sembrare meno valida e profonda di quanto realmente sia. Bisogna lasciarla sedimentare, rifletterci attentamente e concedere una seconda visione per poter fare una valutazione migliore.
Nel complesso comunque si tratta di un'opera che riesce a rispettare il film che l'ha preceduta, aggiungendo dove possibile soluzioni incredibilmente innovative. Chi è cresciuto con Trainspotting (e magari ha anche letto il libro da cui è tratto) avrà numerose occasioni di emozionarsi e restare a bocca aperta mentre chi non conosce ancora Renton, Sick Boy, Spud e Begbie avrà un'ottima occasione per porre rimedio. Viene tuttavia spontaneo porsi una domanda: riuscirà a diventare un cult? È difficile rispondere con certezza. Probabilmente deve troppo del suo fascino al primo capitolo per riuscire a vivere in maniera indipendente, ma la vera risposta la saperemo soltanto tra vent'anni.