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I miei colleghi vi hanno già parlato qui e qui della nostra gita redazionale a Cremona, e ora tocca a me raccontarvi il lato scientifico di quanto abbiamo visto: un laboratorio dove un team di ricercatori utilizza particolari tecniche di analisi per studiare strumenti musicali antichi.
È sinceramente incredibile quanta scienza, e quanto diversificata, si possa applicare ai violini e insomma, non è qualcosa che avrei scommesso di poter raccontare un giorno su questa rubrica.
Innanzitutto la verità è che i laboratori sono due, uno gestito dal Politecnico di Milano, e uno dall’Università di Pavia. Il primo si occupa più strettamente dell’analisi strutturale e sonora dei violini, mentre il lavoro del secondo si incentra principalmente sui materiali utilizzati per la loro costruzione. Ma andiamo per ordine.
Un violino fa il lavoro meraviglioso che fa perché è in grado di vibrare, e vibrare in un modo particolare. Se sollecitato ogni suo componente vibra autonomamente, e contribuisce ad un effetto totale estremamente complesso da modellizzare matematicamente. Il modo in cui il violino modifica un segnale vibrazionale in input, e lo restituisce in output si definisce “risposta”. Tale effetto è misurabile imprimendo una vibrazione al violino, ad esempio colpendolo con un martelletto, o addirittura semplicemente con un'onda sonora, senza toccarlo. Il violino vibrerà, e restituirà un segnale vibrazionale in output, dipendente dalle sue caratteristiche strutturali, che verrà misurato con un accelerometro, o un vibrometro laser (sempre per evitare di toccare lo strumento, ed essere meno invasivi possibile). Si otterrà quindi un vero e proprio spettro in frequenza della vibrazione del violino, e parte del lavoro del laboratorio è quello di identificare quali componenti dello strumento (ponticello, tavole tagliate in un certo modo, di un certo spessore ecc.) generano le varie caratteristiche dello spettro, alle varie frequenze. Certe caratteristiche sono comuni a tutti i violini, come il picco detto Risonanza di Helmoltz, oppure un insieme di frequenze detto Bridge Hill, date dalla presenza del ponticello. Altre sono più complicate da identificare, e possono dipendere da differenze anche minimali, quindi il loro studio serve a parametrizzare alcune caratteristiche costruttive di un violino che fin’ora si identificavano “ad orecchio”.
La seconda parte di questa analisi strutturale prevede l’acquisizione tramite scanner del modello fisico dell’oggetto. Viene scannerizzato un violino, con una precisione di un micron, prima a riposo, poi dopo aver montato le corde ed averlo intonato. Si analizza quindi in quali punti lo strumento risulta schiacciato dall’accordatura, e come la sua struttura, estremamente elastica, viene modificata.
Naturalmente un violino è anche e soprattutto il suo suono, è quindi fondamentale anche lo studio della radianza dello strumento, ossia come esso irradia il suono nello spazio in frequenza, ossia quale nota si sentirà meglio in quale direzione. Questo è naturalmente assai utile in un contesto di orchestra, dove vari musicisti devono sentirsi a vicenda in una distribuzione ben precisa, e bisogna quindi decidere dove mettere il sassofonista rispetto al violoncellista, ad esempio.
Abbiamo visto tanto su come un violino può essere un oggetto estremamente matematico e analizzabile, ma la nostra percezione del suo suono, ossia il timbro, non è affatto uguale per tutti e univocamente determinabile. Anche questo rientra nei compiti della scienza, e anche questo aspetto è affrontato dal laboratorio, con un progetto di machine learning che permette di associare la definizione umana del suono di uno strumento (caldo, brillante, cupo) alla distribuzione sonora emessa, allo scopo di creare un metodo di associazione del suono oggettivamente prodotto al timbro percepito.
Infine il lavoro dell’Università di Pavia, il quale si concentra sull’analisi dei materiali con i quali sono stati costruiti, rifiniti e restaurati i violini più antichi e preziosi. Questo tipo di analisi, a differenza delle precedenti, può essere svolta senza nemmeno “toccare” lo strumento, e può quindi interessare oggetti troppo antichi e delicati per essere suonati.
La prima fase dell’analisi prevede la fotografia degli strumenti sotto luce UV, per evidenziare la disuniformità di colori che in luce naturale non è visibile, dovuta alle varie restaurazioni avvenute negli anni. Questo primo step è comune a tutta la diagnostica sui beni culturali, e mostra le aree dove concentrarsi per tutte le altre indagini. Una volta individuate le aree di interesse per l’analisi si passa a tecniche spettroscopiche in infrarossi o raggi X, a seconda che si analizzino gli elementi o le molecole che compongono i materiali, quindi a seconda che si tratti di colori e vernici organici o inorganici.
Insomma la scienza può essere non solo applicata a qualcosa di specifico come la ricerca sui violini, ma vi può essere applicata in tantissime delle sue sfaccettature: dall’analisi della risonanza, a quella della radianza sonora, all’interpretazione umana dei suoni emessi, per finire con la spettroscopia e l’analisi dei materiali. Tutto questo può sembrare estremamente lontano da quello che è nell’immaginario collettivo il lavoro di un liutaio, che “romanticamente” ad occhio e ad orecchio cerca di migliorare i risultati ottenuti dai suoi predecessori, per creare un prodotto finale che suoni meglio, sia più duraturo o più bello. Ma alla fine che cos’è la scienza, se non un accumulare conoscenze trasmesse, e continuamente affinate tramite lo studio ma anche molti tentativi e sbagli, per migliorare la propria conoscenza di un fenomeno?