Che cos’è Star Trek? Perché spesso si parla di come una serie o un film – pur facendo parte del franchise creato da Roddenberry – non sia “abbastanza Star Trek”?
I trekker tendono ad avere idee molto precise su cosa significhi incarnare la filosofia della serie (e cosa rispetti o meno la sua eredità), nonostante ognuno possa porre, naturalmente, l’accento soprattutto su uno – o alcuni – di questi aspetti. Si tratta pur sempre di un’opera molto variegata e longeva, rinata più volte in decenni diversi, con impronte differenti date da molteplici autori. Ha suscitato spesso diatribe infinite su quali versioni fossero canoniche e su quali invece abbiano irrimediabilmente rovinato Star Trek per tutti (sì, c’è chi l’ha presa molto male. Enterprise, ti stavano fissando tutti, poi è arrivato Abrams, ringrazia).
È vero però che ci sono dei capisaldi abbastanza imprescindibili.
Ecco che si spiega in parte come l’attesa per questa ultima incarnazione, Discovery, sia stata particolarmente snervante: prevista inizialmente per l’anno passato, ci si è visti spostare continuamente l’asticella della data finale di uscita. E finalmente eccola.
Con due episodi a fare da pilota, la serie è sbarcata anche su Netflix, disponibile per il pubblico italiano quasi in contemporanea alla più privilegiata audience anglofona. Chi scrive questa recensione però, mette in chiaro sin da subito di avere visto solo la versione in lingua originale (per cui non vi potremo parlare della qualità della resa italiana, spiacenti se è ciò che vi aspettate da questo pezzo).
Ci riserveremo di inserire una più che consistente quantità di spoiler, riservandola per la seconda parte dell’articolo, ma non vi preoccupate, sarà segnalato a tempo debito (anche chi salta a spizzichi e bocconi si ritenga avvisato).
Discovery parte in salita e con il botto. E questo già tende a differenziarla dalle serie di seconda generazione come Next Generation appunto e Deep Space Nine.
Certo, le due ultime citate, erano ben nutrite sin dall’inizio, con tutte le conflittualità e le tematiche che hanno reso indimenticabile l’universo di Star Trek, ma con ritmi piuttosto lenti, accelerando però verso la fine in modo sempre più serrato. Ci piace pensare a un andamento a chiocciola, come una sezione aurea, per descrivere la stretta narrativa di queste due complessissime serie.
Qui invece i ritmi sono da subito abbastanza serrati: è una serie decisamente più moderna; di questi tempi gli sceneggiatori difficilmente possono permettersi partenze pacate e lente.
Ci troviamo una decina d’anni prima degli eventi raccontati nella serie classica, circa cent'anni dopo quanto succede in Enterprise.
La nave stellare USS Shenzhou (probabilmente il nome è preso dalla navicella spaziale della Repubblica Popolare Cinese ad aver portato un astronauta in orbita per la prima volta) ispezionando, ai limite del territorio della Federazione, un satellite danneggiato.
Naturalmente questa missione apparentemente innocua prenderà una brutta piega, e se ancora non avete visto le puntate vi consiglio di fermare qui la lettura e ripassare più tardi.
DA QUESTO PUNTO IN POI SONO PRESENTI SPOILERS
T'Kuvma, è un uomo, pardon, un klingon con una missione. È animato da una fede profonda, che gli fornisce anche un obbiettivo molto chiaro: ridare gloria e unità all’impero Klingon, sotto la sua guida, si intende. Il pesantissimo restyling delle fattezze della razza aliena – con cui la Federazione ha avuto più alti e bassi – è di certo uno dei punti più controversi della nuova serie.
Ma partiamo dalla caratterizzazione.
Per il momento esce un profilo sensato della cultura Klingon, che si trova in una fase di rifondazione: orgogliosa, profondamente diffidente e razzista, con punte di fanatismo che spesso storicamente sono il propellente di un potere unificante e a caccia di espansione.
Qui è chiaro l’intento di T'Kuvma di riunire sotto un capo carismatico le 24 casate che formano l’alto consiglio, ormai gruppi sparuti e dispersi ognuno per sé, individuando nella guerra con la Federazione una causa comune.
Sarà interessante vedere come sarà sviluppato questo conflitto, tenendo presente che il rapporto con i Klingon è uno dei temi più sfruttati in Star Trek.
È forse legittimo preoccuparsi che gli sceneggiatori si concentrino solo su questo aspetto: ma un punto forte della serie di Roddenberry era l’intreccio di diversi archi narrativi che si sviluppano alternandosi anche all’interno di una stessa puntata. Sarebbe un grosso sacrificio rinunciarvi, ma questa struttura è anche molto complesse da gestire.
Il caso delle serie Enterprise, con archi molto lunghi (la guerra fredda temporale, i Sulibani e gli Xindi…), ha comportato linee di trama che si sono rivelate molto difficili da chiudere in modo soddisfacente, scadendo spesso nel cervellotico e l’astruso. La speranza è che questa volta le cose vadano diversamente.
Per quanto riguarda invece l’aspetto dei Klingon, è evidente come gli interventi siano stati molto poco rispettosi, anche se questo tipo di manipolazioni sono state ormai sdoganate a più riprese in diversi momenti.
Se ricordate, nella serie classica non esistevano le creste, i volti erano semplicemente dipinti di scuro (più o meno malamente); mentre in Next Generation e DS9, sono comparse le creste pronunciate che tutti conosciamo, pur mantenendo nel complesso sembianze abbastanza umanoidi.
Questi cambiamenti significativi erano stati giustificati nella trama, nel corso di Enterprise (manipolazioni genetiche andate male), ma Abrams ha di nuovo cambiato le carte in tavola (ok ok, realtà alternativa, ormai è la scusa per tutto) e in Discovery si è evidentemente andati in una direzione ancora diversa. Non ci sono più i capelli e anche le sopracciglia sono andate, rendendo le sembianze dei klingon ancora più aliene con pronunciatissime protuberanze ossee.
Sarebbe sicuramente meglio se si prendessero al briga di spiegare tutto ciò, ma ad ogni modo non ci sentiamo di bollare la serie come un tradimento ai valori di Star Trek per fattori (per il momento!) puramente estetici.
Veniamo a Michael Burnham, un primo ufficiale coraggioso, dotato di una dose quasi intollerabile di arroganza, e casus belli dello scoppio delle ostilità tra Federazione e i Klingon.
Se in un primo momento può sembrare poco credibile che un ufficiale della flotta stellare (il Numero Uno soprattutto) abbia un atteggiamento del genere, in realtà pensandoci si può comprendere il senso del perché sia stata scritta così. Si tratta del risultato di una forte emotività (umana) unita a un’arroganza consolidata da una forte educazione vulcaniana.
Mi spiego: quando un vulcaniano è convinto di avere ragione, quello che fa corrisponde alla logica, ed è insindacabilmente corretto.
Questo atteggiamento mette al riparo da qualsiasi dubbio e spinge ad agire nella convinzione di fare sempre la cosa giusta.
Solitamente la logica consente però di non agire su queste convinzione sulla base dell’impulso, ma non dimentichiamo che il comandante Burham è umana, e per quanto sia stata educata come vulcaniana da Sarek stesso, non ha pienamente il controllo delle proprie emozioni. Resta da vedere se le perplessità iniziali si vadano a consolidare su questa interpretazione o se il personaggio prenderà tutta un’altra svolta.
Lo sconquasso emotivo, difficile da associare a un equipaggio della flotta, è comprensibile se si pensa anche al fatto che la Shenzhou è una nave che viene da 7 anni di missione senza aver mai affrontato nessun tipo di conflitto, inoltre non ci sono stati contatti con i Klingon da quasi 100 anni. Con queste premesse non può che configurarsi come uno dei primi incontri diplomatici più disastrosi della storia della flotta stellare.
Le dinamiche dell’equipaggio sembrano interessanti e stimolanti (i dialoghi con l’ufficiale scientifico Saru sono molto più sofisticati e sensati di quanto sembrasse dagli spezzoni del trailer) e nel complesso ben impostate.
Ma alla fine cosa c’è di Star Trek qui dentro?
L’idea di base che avere paura di tutto significa non imparare nulla. In sostanza il concetto principale, intorno a cui Star Trek è interamente costruito, riassunto in una frase.
L’arroganza di Burnah sarà giustificata e spinta dalle migliori intenzioni, ma questo non può proteggere nessuno da conseguenze devastanti.
Forse uno degli insegnamenti principali che ci vengono da ST (e da Picard in particolare) è come si possano anche fare tutte le scelte giuste, e perdere comunque: non è una debolezza ma è la vita.
Qui Burnham sbaglierà sì più volte, ma per i motivi giusti: esplorare, conoscere, capire. Se c’è una cosa “molto Star Trek” è forse anche questa: anche l’azione insignificante fatta con le migliori motivazioni, può portare alla catastrofe. Non esiste una linearità prevedibile tra causa e conseguenza, l’universo è molto più grande e complicato delle aspettative di chi lo occupa. Speriamo ci sarà spazio nello sviluppo della stagione per i quesiti filosofici e morali.
Visivamente gli effetti sono spettacolari, con riprese molto ben fatte degli ambienti al di fuori della nave, il prodotto è decisamente curato e aver aspettato tanto ora sembra sia stato un buon investimento.
Fino a questo punto la serie promette bene, speriamo che mantenga.