Il piacere del brivido, il fascino della vertigine, spingersi al limite, sentire il proprio corpo in situazioni estreme, immunizzarsi alla paura sono solo alcune delle ossessioni per cui gli amanti degli sport estremi darebbero la vita, in senso figurato e non. Da quando nel 1979 il “Dangerous Sports Club” dell’Università di Oxford ha rilasciato il primo Bungee Jumping, l’ondata delle imprese “adrenaliniche” si è sparsa per tutto il mondo, bagnando sempre più nazioni, territori e persone. Paracadutismo, Base Jumping, Heli-Skiing, Free Diving, Slack Lining, Rafting, Snow Kayaking iniziano una lunga lista che ogni anno cresce, portando dentro di essa nuove attività, prodotte dalla mente umana. La definizione di sport estremo è ancora oggi combattuta e quella più comunemente usata è quella formulata nel 2012 dalla dott.ssa Rhonda Cohen: “Un’attività competitiva entro la quale il partecipante è sottoposto a sfide fisiche e mentali inusuali come l’adattamento alla velocità, all’altezza, alla profondità o alle forze naturali, e dove una rapida e precisa elaborazione percettiva-cognitiva può essere richiesta per un esito positivo del risultato dell’attività”.
Anche se noi vorremmo proporne un’altra, più romantica e chiara, di Ernest Hemingway: “Ci sono solo tre sport: corrida, corse automobilistiche e alpinismo; tutto il resto sono solo giochi”. Sinonimo di, o rischi la vita, o stai solo giocando. Nonostante l’avvertimento dello scrittore americano però ogni anno il fenomeno è in crescita e sicuramente non di aspiranti suicidi; quindi cosa si nasconde sotto questo aumento incontrollabile verso l’estremo? Cosa vedono loro che i comuni mortali non riescono a vedere?
Per cercare di classificarne il fenomeno alcuni studi psicologici hanno confrontato le differenze tra gli amanti del brivido (Thrill = Brivido) e le persone comuni, distinguendo due gruppi attraverso l’utilizzo di una curva. Alla base del grafico troviamo i “Big T”, alla ricerca di quella scossa, di quella scarica in grado di farli sentire vivi; dall’altro capo invece, troviamo gli “Small T”, cioè quelle persone che cercano di arginare ogni rischio, di vivere in modo tranquillo, evitando le situazioni pericolose. Tra questi due poli oscillano la maggior parte delle persone, quelle che pian piano decidono di andare in una o nell’altra direzione, a seconda delle possibilità o del caso. Sempre secondo lo studio, i “Big T puri” sono soltanto una piccola percentuale di coloro che praticano sport estremi. Sono quelli che alzano sempre di più l’asticella del rischio, alla continua ricerca di elettricità emotiva e come una droga, ne sviluppano ben presto una dipendenza. Si trasformano in vagabondi in cerca di una dose per poter tornare a stare bene.
Molti pensano che questa droga cercata sia l’adrenalina, ma i migliori spacciatori sanno differenziare la loro offerta e nascondere ai più i loro prodotti migliori; infatti, non è la scarica adrenalinica, in risposta alla paura, che si va veramente cercando. L’adrenalina aumenta la quantità di glucosio, la frequenza cardiaca, la pressione arteriosa, la forza di contrazione muscolare e diminuisce il tempo di insorgenza della fatica, permettendo al nostro organismo di essere pronto nelle situazioni di pericolo ma dal punto di vista medico, l’accelerazione e la forza associate alle prestazioni sono dovute all’aumento dei livelli di dopamina, di endorfine e di serotonina rilasciate direttamente nel cervello per l’elevato sforzo fisico sostenuto.
Queste endorfine funzionano come una morfina naturale rilasciando sensazioni di benessere simili all’uso di droghe o ad una nottata di sesso. Un’eccitazione non male per un salto nel vuoto.
Secondo gli studi del Dr. Eric Brymer, professore aggiunto della Queensland University of Technology, le persone che si impegnano negli sport estremi sono ben lontani dall’essere degli irresponsabili. Sono atleti “altamente formati, con una profonda conoscenza di se stessi, dell’attività e dell’ambiente, e che fanno ciò per avere un’esperienza che migliori e cambi la loro vita”. Ricercano quella tenue possibilità di incontrare elementi ignoti e incontrollabili della natura, abbracciare condizioni fisiche straordinarie, scegliendo di sfidare la vita apertamente. L’estremo li risveglia dal torpore quotidiano e ne amplifica i sensi. Per esempio, i Base Jumpers affermano di essere capaci di vedere tutti i colori, gli spigoli e le fessure delle rocce, pur passandogli vicino a oltre 300 km/h; o gli arrampicatori estremi paragonano l’esperienza a una danza con la montagna in cui fluttuano leggiadramente da una roccia all’altra. Per loro il tempo rallenta e vedono per la prima volta il vero volto della natura.
Le testimonianze sono tutte indubbiamente romantiche e possiamo riassumerle nella possibilità di sentire ogni singola fibra del proprio corpo, spinto al massimo nel massimo. Una situazione di vivi o muori vissuta con la gioia di un bambino che combatte il più pericoloso e antico nemico dell’uomo. Questi sport nascondono sicuramente lati oscuri e la possibilità del non ritorno, ma sono un capitolo entusiasmante per tutti coloro che hanno il coraggio di leggerlo. Gli sport estremi affermano il valore della vita più di qualsiasi altro sport e rappresentano un solido potenziale per la propria crescita personale, cit.
Studi, apprendi, migliori e ti diverti. E poi ricominci.