La 79° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia apre i propri battenti con White Noise. Si tratta di un attesissimo adattamento dell’omonimo romanzo di Don DeLillo, scritto e diretto dal celebrato autore Noah Baumbach. Una scelta peculiare, quella di dare il via alla manifestazione con questa pellicola. Noi eravamo presenti alla prima proiezione di White Noise e siamo pronti a raccontarvelo nella nostra recensione.
White Noise è una satira sottilissima
La prima scena di questo film è eccezionale nell’impostare il tono del resto dell’opera. Vediamo una verbosa e a tratti assurda disamina del ruolo degli incidenti stradali nel cinema americano e come questo influenzi la cultura popolare e allo stesso tempo ne sia influenzato. Una riflessione che ci aiuta a entrare completamente in questa storia, dai tratti estremamente originali.
Facciamo la conoscenza di Jack Gladney, professore universitario diventato centrale nel campo degli “Studi Hitleriani“, cioè sulla figura stessa di Adolf Hitler. Una figura peculiare, venerata all’interno del campus, che si ritrova immerso in un universo narrativo altrettanto peculiare. Sembra quasi una versione, se non caricaturale, sicuramente caricata del nostro mondo.
Ma il gioco di White Noise in sostanza è proprio quello. Ci ritroviamo davanti a una realtà non completamente assurda, ma indubbiamente eccentrica, presentata però in maniera assolutamente naturale. Non c’è alcuna messa in discussione ad esempio del percorso di studi di Gladney o dei suoi colleghi, così come di tanti altri elementi del mondo in cui si muovono i vari personaggi.
Tuttavia, proprio quel non rimarcare in qualche modo sottolinea l’assurdità di quanto accade. Una sensazione ribadita dall’aspetto visuale, straordinariamente rappresentato. Ne esce una satira sottilissima della società, che è affascinante decifrare, in una pellicola che potrà regalare numerose soddisfazioni, visione dopo visione.
Un gioco di simbologie e rimandi infinito
La rappresentazione della società nei suoi aspetti più paradossali è la chiave di lettura principale di White Noise. Un’opera che probabilmente può risultare ostica a un primo impatto, proprio per come si presenta al pubblico. Minuto dopo minuto però emergono delle ricorrenze, dei ritorni che mettono in moto i nostri ingranaggi, spingendoci a creare una rete che ricolleghi tutti i vari simboli del film.
White Noise è un’opera che a grandi linee si può suddividere in tre parti, non necessariamente corrispondenti ai tradizionali tre atti. Abbiamo una prima fase più introduttiva, dove scopriamo il nostro protagonista Jack Gladney e l’intricata storia della sua famiglia. Successivamente un evento sconvolge le loro vite, costringendoli ad affrontare di petto una nuova prospettiva. Infine, vediamo le conseguenze di tutto ciò, come imparino a gestire questo nuovo sguardo sulla realtà.
Ne nasce un gioco che è una continua sfida allo spettatore. Il film è incredibilmente denso di avvenimenti, di momenti significativi, che siamo chiamati a decifrare. Dietro ogni scena c’è un messaggio da comprendere o, alternativamente, un collegamento che ci prepara a quanto accadrà più avanti nella trama. E così la nostra attenzione è continuamente alta, alla ricerca di una comprensione che arriva con i propri tempi.
Il tutto confezionato con una dose straordinaria di carisma. Ogni scena, anche quelle apparentemente più semplici, ci cattura. Alla luce di ciò non stupisce che uno dei momenti più efficaci di tutta la pellicola sia lo ‘scontro’ tra due professori sul rapporto tra le madri di Adolf Hitler ed Elvis Presley e i rispettivi figli. E se non siete curiosi di vedere White Noise adesso, davvero non sappiamo più cosa aggiungere.
White Noise è una potentissima apertura per Venezia 79
A supportare questo viaggio a tratti allucinante c’è chiaramente un cast di altissimo livello. Adam Driver si dimostra ancora una volta un attore versatile e stratificato, capace di affrontare con determinazione anche la sfida di un personaggio così complesso.
Al suo fianco una ottima Greta Gerwig, che restituisce sottilmente ma senza mai mancare le sfumature della sua Babette. Grande rivelazione del film è poi Raffey Cassidy che regala personalità a Denise, una figura che vorrebbe costituire una voce della ragione ma che non sempre riesce nel suo intento.
Nel complesso, quindi White Noise è un’ottima apertura per questa 79° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Una scelta decisamente originale, diversa da quella che ci si aspetta e lontana dai canoni più tradizionali. Ma proprio per questo spicca su tutto il resto, offrendo un’esperienza rinfrescante e appassionante. Noi non vediamo già l’ora di poterci rituffare nelle sue atmosfere.
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