Rifkin’s Festival è il nuovo film di Woody Allen, che debutta proprio in queste ore nelle sale italiane. È una nuova commedia, che riprende alcuni dei tratti caratteristici del regista, come ormai siamo abituati a vedere nella sua sterminata filmografia. Pur tornando su alcuni dei suoi temi classici però, riesce a risultare sempre fresco e coinvolgente. Abbiamo avuto la possibilità di vedere quest’opera in anteprima e siamo pronti a raccontarvi cosa ne pensiamo.
Rifkin’s Festival, di cosa parla il nuovo film di Woody Allen?
Protagonista di questo film è Mort Rifkin, appunto, un ex-professore di cinema che ha abbandonato l’insegnamento per coronare il proprio sogno di scrivere un romanzo. Anzi meglio, il romanzo, un’opera che possa mettersi a fianco dei grandissimi della letteratura. Si trova però in difficoltà con la stesura e così decide di seguire la moglie, che lavora come ufficio stampa sempre nel cinema, al Festival di San Sebastian, dedicato proprio alla settima arte.
Non si tratta solo di un desiderio di svagarsi: Mort è convinto che la sua compagna lo tradisca con il suo giovane cliente Philippe. Questi è un regista in grande ascesa, di cui però il nostro protagonista fatica a riconoscere il talento. Questo viaggio darà a Mort lo spunto perfetto per riflettere sulla propria vita e sul proprio passato, anche grazie a un incontro davvero speciale.
Come detto, Rifkin’s Festival riprende alcuni dei grandi pilastri della filmografia alleniana. Questo è evidente fin dai primissimi istanti, che ci portano in una seduta di psicoterapia, che funge da espediente narrativo per il racconto. A questi seguiranno tanti altri concetti ricorrenti: Mort e il suo ‘rivale’ Philippe sono riconducibili a due delle maschere più celebri del regista, che ha messo in scena in tante delle sue opere.
Non bisogna però pensare che sia un problema, anzi. Il fatto stesso che Allen (quando non sceglie di prendere direzioni totalmente originali) torni più volte su determinati argomenti, contribuisce a creare un senso di percorso, di evoluzione del discorso. Rifkin’s Festival non è il punto più alto di questo discorso, ma riesce comunque a dire qualcosa di rilevante. Oltre a confermare l’abilità di Allen nello scrivere per il cinema. E di cinema.
Il Festival di Rifkin
Tra gli argomenti al centro della pellicola la settima arte ha infatti senza dubbio un ruolo chiave, insieme al passaggio del tempo. Ed è interessante evidenziare il gioco che l’opera fa nel suo titolo. Perché se da una parte questo racconta l’evento cinematografico a cui prende parte il nostro protagonista, dall’altra ha un significato più profondo, cioè quello del Festival organizzato da Rifkin, incentrato su Rifkin e frequentato da un unico partecipante. Avete indovinato, è proprio Rifkin.
Alla narrazione vera e propria si alternano momenti di sogno in cui il protagonista riflette sul proprio passato e la propria vita. La fonte di ispirazione per queste sequenze non sono solo i propri ricordi, ma le opere dei grandi maestri che ha sempre ammirato, che poi sono altri grandi ispiratori di Woody Allen. Assistiamo quindi a delle semi-parodie, ricostruite con una cura maniacale, di capolavori immortali della settima arte.
Rifkin’s Festival diventa così una celebrazione del cinema, che si fa a tutti gli effetti “fabbrica di sogni”. E in quest’ottica non si può non ricollegarlo a un altro titolo della filmografia alleniana profondamente metacinematografico, ovvero La rosa purpurea del Cairo (citato quasi apertamente in un passaggio). Da un certo punto di vista ne è un contraltare, visto da un punto di vista diametralmente opposto, ma animato da spirito comune.
Sebbene poi non sia in alcun modo merito del suo autore, è innegabile che il contesto in cui debutta quest’opera influenzi la visione stessa. Tornare in sala dopo mesi, per un appassionato, e trovare una tale lettera d’amore alla potenza del cinema, la sua capacità di influenzare e cambiare le nostre vite è stata un’emozione di per sé. Tanto quanto sentire le risate degli altri spettatori intorno a sé, facendoci capire quanto ci siano davvero mancate.
La scelta per il ritorno
Ci sono sicuramente aspetti di Rifkin’s Festival che ci hanno fatto storcere il naso. Alcuni sono più banali, come i non troppo sottili riferimenti alla bellezza dell’ambientazione, tanto stucchevoli da dare l’impressione che ci sia una punta di sarcasmo nell’autore. Altri sono più profondi, toccando direttamente gli eventi che coinvolgono Mort. Per quanto l’evoluzione del personaggio nel complesso funzioni molto bene, non si può dire altrettanto dei fatti che lo spingono a cambiare. Un percorso che a volte è difficile da rendere credibile, nonostante l’ottima performance di Wallace Shawn, e che forse non è neanche raccontato in maniera troppo convinta, rendendo il protagonista non sempre apprezzabile.
Rifkin’s Festival resta quindi uno dei film secondari della filmografia di Woody Allen, non segnando un nuovo picco del calibro delle sue opere migliori. Questo però lo posiziona comunque ampiamente al di sopra della sufficienza, con dei momenti che sapranno sicuramente colpire al cuore gli appassionati. Se siete in cerca di un titolo che possa segnare degnamente il vostro ritorno in sala (se già non siete corsi sulle poltroncine in questi giorni) questa è una scelta ottimale.
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