Un paio di mesi fa è scoppiato un caso mediatico sulla centrale nucleare di Fukushima, quella danneggiata dal terremoto del 2011. Yoshiaki Harada, il ministro dell’ambiente giapponese, aveva dichiarato che la Tepco (l’azienda incaricata della gestione della oramai fu centrale nucleare in questione) voleva gettare nell’Oceano Pacifico il milione di tonnellate d’acqua utilizzata per raffreddare la centrale nucleare. L’acqua, però, a causa del contatto con le scorie nucleari, presentava un’alta concentrazione di trizio, materiale che la rendeva radioattiva. Nonostante la soluzione proposta dal ministro giapponese abbia senso e non presenti pericoli dal punto di vista ambientale potete immaginare le reazioni: pescatori furibondi ed ecologisti su tutte le furie. Cogliamo l’occasione per cercare di capire cos’è la radioattività, come funzionano i rifiuti radioattivi e come possiamo smaltirli.
La radioattività
Le cose radioattive non sono necessariamente gialle fluorescenti. Le banane e la ceramica sono radioattivi e innocui, invece non so come sopravviva Superman a furia di vista a raggi X (che ancora devo capire bene come funzioni) e kryptonite. D’altronde la radioattività non è un processo raro: è la diretta conseguenza di processi comunissimi in natura, quelli di decadimento radiattivo, in cui un atomo perde energia tramite radiazioni per passare ad uno stato più stabile.
Potreste giustamente chiedervi perché gli atomi non siano contenti della loro situazione e vogliano decadere. Bene, immaginatevi un atomo come una bella sfera, con due caratteristiche principali: il materiale e la posizione. Una sfera può essere di ceramica, di ferro, d’argilla, di plastica, può essere in bilico su una montagna, tranquilla in una valle, scivolare piano piano da una collina. Una sfera in bilico cadrà e, a seconda della posizione e del materiale si romperà in maniera diversa. Ecco, questo è più o meno quello che succede a tutti (o quasi) gli atomi. Una sfera-atomo che perde l’equilibrio decade, rompendosi in pezzi diversi a seconda della sua origine, può emettere fotoni, elettroni, nuclei di Elio, dividersi. Alcuni atomi, come il ferro, saranno sfere infrangibili in valli piene di soffice erba, altri come l’Uranio, sfere di vetro su montagne altissime, pronte a cadere e diventare pericolosissime schegge.
Una volta decaduto, però, un atomo non è più così pericoloso, per continuare con l’analogia, si tratta solo di cocci rotti sparsi in giro. E questo ci porta all’ultima informazione mancante: quanto tempo serve ad un atomo per decadere? Ecco, questa non è cosa facile da determinare: gli atomi non hanno un timer, ma convivono con una certa probabilità di “perdere l’equilibrio”. Una pallina in bilico non deve necessariamente cadere, ma è molto facile che lo faccia. E qui ci viene in aiuto la statistica: immaginate di avere miliardi e miliardi di atomi-palline, non tutti cadranno nello stesso momento, ma possiamo contare quanto tempo ci vuole, di solito, per farne decadere metà. Così si ottiene quello che in fisica è chiamato tempo di dimezzamento, un numeretto che indica per quanto un oggetto sarà radioattivo.
Radiazioni pericolose e dove trovarle
Ultima questione da indagare: non tutte le radiazioni sono pericolose per l’uomo. Come distinguere, allora, radiazioni innocue e dannose? La luce solare è radiazione nuda e cruda, ma non per questo viviamo nel sottosuolo. I raggi X, invece, sono più pericolosi, tant’è che quando andate a farvi una lastra venite coperti con grembiulini di piombo. La pericolosità dipende da quanta energia viene rilasciata nel nostro corpo: siamo in grado di gestire piccole quantità di energia, se ce ne arriva troppa, però, il nostro corpo non riesce più a disfarsene e accusiamo dei danni. È (quasi) come quando cadete: se scivolate dalla sedia assorbite dovete assorbire una certa quantità di energia e (in genere) non vi fate male, cadendo da un paio di metri di altezza, invece, rischiate di rompervi qualche osso.
A quantificare la pericolosità di una sorgente radioattiva ci ha pensato Rolf Sievert, con un’unità di misura che prende il suo nomi. Il Sievert (Sv) conta quanta energia assorbiamo, in quanta materia la disperdiamo e quanto siamo bravi a disperderla.
Per farvi capire un po’: una banana è radioattiva, ma non ci fa paura. Ne mangiamo tutti i giorni, ma uno solo di questi frutti ci fa assorbire 98 miliardesimi di Sievert. Con i miliardesimi e milionesimi di Sievert nessun problema, quindi. Un tecnico di radiologia, invece, non deve superare i 50 millesimi di Sv all’anno, circa cinquemila banane. Spostandoci più in alto, la NASA ha messo un limite di 1 Sv alla radiazione totale assorbita da un astronauta, ovvero 10 milioni di banane. Salendo ancora i problemi per la salute aumentano: assorbendo 40-50 milioni di banane (4-5 Sv) avete una probabilità del 50% di morire entro trenta giorni.
Va da sé, a questo punto, che l’esposizione a dosi elevate di radiazioni è pericolosissima . Spunta un dilemma non da poco: come possiamo gestire i rifiuti radioattivi (provenienti dalle centrali nucleari e non solo) in modo da non nuocere all’uomo?
I rifiuti radioattivi
Se possiamo riciclare l’alluminio e la carta, rendere concime i rifiuti organici e liberarci in qualche migliaio di anni di tutto il resto, ci sarà anche un modo per rendere inoffensivi i rifiuti radioattivi, no?
No. Non c’è metodo praticabile per eliminare “manualmente” la radioattività. Dobbiamo aspettare che tutti gli atomi decadano, lascino in giro i loro prodotti, tenendoli abbastanza lontani da non farci male. L’unico modo per gestire un rifiuto radioattivo è metterlo in un luogo in cui non faccia danni ed aspettare lo scorrere del tempo. Non tutti i rifiuti radioattivi sono egualmente pericolosi, però, e non tutti vanno trattati allo stesso modo. Secondo la World Nuclear Association i rifiuti vanno divisi in tre categorie principali, basandosi principalmente sulla quantità di radiazione emessa:
- low-level (LLW)
- intermediate-level (ILW)
- high-level (HLW)
Rifiuti low-level
I rifiuti low-level di solito vengono da ospedali ed industrie e comprendono tutti gli oggetti che sono stati a contatto con fonti radioattive. Costituiscono il 90% della massa dei rifiuti radioattivi prodotti, ma solamente l’1% in quanto ad energia rilasciata. In una tonnellata di rifiuti di questo genere ci sono al massimo 4 miliardi di decadimenti al secondo. Nonostante questo numero sembri enorme, il corpo umano è in grado di gestire questo tipo di radiazioni senza problemi: non sono necessarie protezioni durante il trasporto e i rifiuti si possono stoccare in edifici sulla superficie. L’unica accortezza da mantenere è non restare troppo tempo nelle loro immediate vicinanze (parliamo di centimetri o metri). In pratica: non dormite tutti i giorni nelle sale d’ospedale in cui si fanno le lastre, per favore.
Rifiuti intermediate-level
Qui cominciamo a parlare di oggetti con livelli di radioattività più alti, c’è necessità di qualche protezione mentre li maneggiamo. L’energia rilasciata, però, non è abbastanza nemmeno da scaldare l’ambiente circostante, non c’è bisogno di preoccuparsi particolarmente. Qui si parla perlopiù di materiali proveniente dallo smantellamento di centrali nucleari, costituisce il 7% della massa dei rifiuti radioattivi e il 4% della radioattività.
Rifiuti high-level
Questi sono i rifiuti realmente preoccupanti. I rifiuti high-level emettono abbastanza energia da scaldare significativamente ciò che hanno intorno e necessitano assolutamente di essere schermati.
Gli HLW sono costituiti principalmente dai prodotti delle reazioni che avvengono all’interno delle centrali nucleari. Nei prodotti delle reazioni di fissioni troviamo principalmente Cesio-137, Stronzio-90 e Plutonio, elementi con caratteristiche molto diverse:
- il Cesio-137 e lo Stronzio-90 hanno tempi di dimezzamento molto brevi, attorno ai 30 anni. Appena prodotti sono estremamente pericolosi, ma non lo sono per molto e possiamo gestirli;
- il Plutonio, invece, resta radioattivo per 24 mila anni: se pensate che le piramidi di Giza risalgono solo a 5500 anni fa riuscite a farvi un’idea di quanto sia enorme questo tempo. Ed è proprio a causa del Plutonio che la gestione dei rifiuti nucleari è così difficile.
Gli HLW, nonostante siano, in massa, una parte risibile dei rifiuti radioattivi totali, costituiscono il 95% della radioattività. I decadimenti radioattivi degli HLW sono estremamente pericolosi: emettono abbastanza energia da riscaldare gli oggetti nelle vicinanze sotto forma di particelle estremamente penetranti. Le differenze nei tempi di decadimento delle componenti, la quantità e la forma dell’energia rilasciata li rendono, infatti, estremamente difficili da trattare.
Come smaltire gli HLW
Ad oggi per gli HLW non ci sono ancora metodi di smaltimento definitivi. Ci siamo limitati a contenerli, lasciando il problema alle prossime generazioni.
Quando in una centrale nucleare vengono prodotte scorie radioattive per prima cosa queste vengono immerse in acqua. Sembra banale, ma questo fluido riesce a fermare gran parte delle radiazioni e, soprattutto, riesce a raffreddare i rifiuti. Ed ecco che i rifiuti passano i loro primi anni, tranquilli ed a mollo nell’acqua fresca, finché la radioattività dovuta alle sorgenti veloci (Cesio e Stronzio), non è drasticamente diminuita. A questo punto bisogna provvedere a metterli in un posto dove possano essere innocui e sotto controllo, come fare?
Botti di cemento. La risposta è metterli in delle enormi botti di cemento: in questo modo le radiazioni non saranno in grado di “uscire” e i rifiuti non faranno male a nessuno. Resta un problema, però: bisogna sempre raffreddare i rifiuti, non se ne può fare a meno. Di nuovo, si può fare con l’acqua corrente, ma stando per lungo tempo a contatto con sorgenti radioattive anche questa lo diventerà, rendendo necessario smaltirla… Insomma, la cosa si complica a piacere.
Abbiamo a disposizione un metodo di smaltimento definitivo?
Dopo lunghe discussioni, il consenso internazionale si è diretto verso il deep geological disposal: niente di difficile, sembra che la cosa più sicura sia sotterrare i rifiuti, utilizzando le terra come scudo dalle radiazioni. Tranquilli, però, non metteranno nulla sotto al vostro orto. Qui si parla di portare gli oggetti centinaia di metri sottoterra e di aggiungere un effetto matrioska: prima di essere sotterrati i rifiuti verranno solidificati con processi di vetrificazione e poi inseriti in una serie di contenitori ermetici, uno dentro l’altro, proprio per evitare la contaminazione del suolo.
Tutto molto semplice, concettualmente, ma la Finlandia è l’unica ad aver cominciato un progetto per lo smaltimento definitivo di rifiuti nucleari. Uno dei problemi più grandi, infatti, è proprio la scelta del luogo: abbastanza lontano dai centri abitati per diminuire ancora di più i rischi, non deve essere soggetto a terremoti, tsunami, altre calamità naturali e via dicendo. La sicurezza prima di tutto. In Finlandia sono riusciti a trovare una pianura adatta.
Trovare il luogo adatto non basta, però. I rifiuti radioattivi dovranno restare lì per decine di migliaia di anni prima di smettere di costituire un pericolo per gli esseri viventi: come possiamo comunicare a chi verrà dopo di noi che abbiamo sotterrato roba brutta e cattiva? Ci mettiamo un cartello? Lo scriviamo? Ci mettiamo una statuetta?
Se voi trovaste un antico codice che vi dica che qualcosa di pericoloso è nascosto sottoterra, proveniente da millenni e millenni fa, non partireste per una caccia al tesoro alla Indiana Jones?
Ecco. Dobbiamo inserire qualcosa che dica “PERICOLO” ma che non faccia salire l’Indiana Jones. E c’è anche il problema del mezzo, non possiamo scriverlo, ma non possiamo nemmeno fare dei disegnetti: se l’umanità si estinguesse e arrivassero extraterrestri verdi dalla forma polpoidale, i disegnetti sarebbero solo buffe linee e non un vero e proprio avvertimento.
Insomma, uno degli studi che sta andando avanti oggi è proprio quello su come comunicare questo pericolo ai posteri. Ci sono delle idee interessanti, come quella di creare un paesaggio artificiale inospitale, in modo da allontanare chiunque provi ad avvicinarsi, ma anche così probabilmente riusciremmo solo ad incuriosire chi abiterà il nostro pianeta tra migliaia di anni. L’unica vera soluzione sarebbe scordarsi tutti, d’un tratto, di dove sia questo luogo, ma i documenti sono troppi e internet non dimentica.
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