Stiamo per svelare uno dei misteri più grandi di Orgoglio Nerd e degli ambienti redazionali in genere, quindi mettetevi seduti (o sdraiati se preferite), posate quella tazza di caffè e preparatevi al colpo, perché quello che stiamo per fare è un esperimento di metascrittura.
Sicuramente immaginerete la redazione di Orgoglio Nerd come un regno di immaginifico splendore, una specie di non luogo dove affluiscono fiumi di creatività e torrenti di biscotti, sotto la supervisione severa ma bonaria del nostro perissodattilo preferito: il Rinoceronte.
In effetti, è così (tranne che per i biscotti, avevamo una convenzione con Oreo ma poi Ringo ci ha accusato di discriminazioni cromatiche) ma ogni tanto la creatività non affluisce come dovrebbe e il direttore, sia benedetto il suo corno, è costretto a offrire qualche spunto tematico.
La roulette gira e questa volta la sorte ha decretato di scrivere di robot, cyborg e androidi, argomenti interessanti, per carità, ma di difficile generalizzazione. Ci spieghiamo meglio.
Avremmo potuto usare il classico “noi” redazionale in maniera ben più altisonante del solito e cavarcela con delle generiche definizioni, alcuni le avrebbero rubacchiate qua e là dal web, ma non è cosa per noi.
Abbiamo sempre fantasticato sulla possibilità di un mondo in cui la tecnologia avesse raggiunto livelli tali da essere indistinguibile dalla magia (libera citazione di Arthur Charles Clarke) e ora che siamo “grandi” (acciaccati più che altro. Alcuni direbbero) ci rendiamo conto che questo non succederà mai. Non perché la tecnologia non arriverà mai a livelli “filmici”, semplicemente perché la crescita tecnologica cammina sempre di pari passo con una certa variazione dei termini di normalità.
Ora un televisore pieghevole risulta qualcosa di piacevolmente nuovo e parzialmente sorprendente, ma 20 anni fa? Magia. Quindi ecco la triste verità: per noi la magia non esisterà mai, sarà solo il nuovo modello di normalità. Quando pensiamo a robot, androidi e cyborg, la nostra mente non vaga più in direzioni di futura astrazione, perché queste tre cose (ci scusino i cyborg, sappiamo che non sono cose) esistono già.
Robot assemblano e testano praticamente tutta l'elettronica e la meccanica di consumo, androidi (che poi sempre robot sono, solo che antropomorfi) giocano a pallone per la gioia dei loro geniali – ed evidentemente annoiatissimi – creatori e i cyborg, bé, non sappiamo se avete dato uno sguardo alle ultime novità nel campo dell'ingegneria biomedica, roba da Deus Ex.
Cosa può esserci quindi di affascinante nell'evoluzione del concetto di normalità? La risposta è l'entropia, il fattore inaspettato che diventa parte del sistema, che di punto in bianco non corre più da un punto A ad un punto B, ma devia, cambia, sorprende e spaventa.
Prendiamo in esame il caso di Automata, ultimo film dalle tematiche asimoviane, con protagonista Antonio “mulino bianco” Banderas. La pellicola propone un mondo dove i robot sono più diffusi delle lavatrici, e sono vincolati all'obbedienza da due leggi invalicabili: “un robot non può danneggiare alcuna forma di vita” e “un robot non può modificare sé stesso o altri”. La violazione (casuale o erronea, non fa differenza) del secondo principio dà il via alle vicende del film, che risulta interessante non perché “hey che figo, evoluzione tecnologica, esplosioni, robot Apple che fanno l'occhiolino (qualcuno ha detto Io Robot?)” ma perché ci costringe, come lo spielberghiano A.I., ad una riflessione sulla natura umana.
Archiviato il fumoso concetto di anima, quanto pesa sulla definizione di “umano” la quantità di ossa, muscoli, nervi e grasso che ci compongono? Cos'è la coscienza, in verità? Cosa ci rende, in definitiva, “umani”? Pensiamo dunque esistiamo, ha detto Cartesio, e se sappiamo di esistere allora possediamo autocoscienza, e se la possediamo allora cosa siamo? Umani? Poi ci ritroviamo a pensare: sono così antropocentrico da aver sovrapposto le definizioni “dotato di coscienza” e “umano”, il 25° – e più basso – livello della mia classificazione scientifica come organismo. Ecco la magia, ecco la sorpresa nel trovarsi, inaspettatamente, senza parole. Ci viene quindi da pensare che non è tanto importante cosa ci porterà il progresso tecnologico, quanto lo spirito con il quale vivremo questo percorso, la nostra capacità di estendere i confini del pensiero e condividere con altri definizioni che vorremmo in esclusiva.
La magia dobbiamo averla dentro.