Da Novembre l’ESA sta provando un nuovo tipo di orologio, il PulChron. Niente che si possa tenere al polso, però! Gli ingranaggi, in grado di segnare (quasi) sempre l’ora esatta saranno 5 radio-telescopi europei e le operazioni saranno dirette dalla Galileo Timing and Geodetic Validation Facility a Noordwijk! E le lancette? A scandire il tempo saranno, per questa volta, le rotazioni di stelle molto particolari: le pulsar.
Cos’è una pulsar?
Scoperte da Susan Jocelyn Bell, sotto la direzione di Antony Hewish, nel 1967 queste stelle fecero urlare all’alieno. Emettono, infatti, ad intervalli estremamente regolari, onde elettromagnetiche, ma con una precisione tale da farla sembrare opera di una mente senziente! Più in là si scoprì che non c’era nessun esserino verde (*sigh*), ma si trattava solo di un fenomeno dovuto alla rotazione di una stella di neutroni.
Adesso sappiamo che le pulsar si formano alla fine della vita di una stella, sono uno dei possibili risultati di una supernova. Formate quasi di soli neutroni, nonostante abbiamo una tra una e due volte quella del nostro Sole, hanno un raggio non più grande di una decina di chilometri. Il suo piccolo volume è dato, in parte, dalla bassissima presenza di particelle cariche al suo interno.
Come mai sviluppare un orologio a pulsar?
Eh, esatto. Perché? Attualmente abbiamo orologi atomici precisissimi, abbiamo davvero bisogno di un orologio stellare? Il secondo, infatti, è stato ridefinito proprio grazie a questa precisione come la durata di 9.192.631.770 periodi della radiazione emessa dall’atomo dell’isotopo 133 del cesio in una transizione energetica specifica. Gli orologi atomici, purtroppo, hanno un difetto: utilizzando principi e strutture piuttosto complesse, la loro vita media è di qualche decennio.
Sembra molto tempo, ma per un sistema come il GNSS (Global Navigation Satellite System) ogni ritardo è estremamente importante e la rottura di uno dei numerosi orologi atomici che vengono utilizzati al momento crea numerosi disagi. Sarebbe molto più utile un oggetto come il PulChron che ha una vita media pari a quella di un telescopio: a meno di malfunzionamenti non ci sarebbe praticamente mai bisogno di cambiarlo. Ed ecco perché l’ESA sta sperimentando questa tecnologia: appurare se il PulChron è abbastanza preciso per poterlo sostituire agli orologi atomici “classici”.
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