Fa un po’ Nietzsche, ma è la verità: la prova costume non esiste, è una trappola subdola che abbiamo inventato noi. Una finta religione che ci porta a fare quaresime, digiuni e penitenze. Decenni di pressione per levarsi i vestiti e godersi il sole, in nome di un fittizio esame sociale da superare. Sensi di colpa di fronte a ciò che ci fa stare bene (tipo una pizza tra amici). Il tutto non è altro che la facciata carina della grassofobia, di ottime campagne marketing, mixate alle insicurezze più profonde che il mondo della moda ha fatto nascere in noi. La verità è che per superare la prova costume basta mettersi un costume, semplice semplice. O forse no
Come si supera la prova costume?
In modo pratico e concreto la prova costume non si supera, banalmente perché non esiste. Non c’è nessun esame da superare, ogni corpo va benissimo così com’è e tanto basta. Per godersi l’estate è sufficiente avere un costume da bagno che ci piace, non servono approvazioni particolari per accedere al bagnasciuga. Le prove nella vita sono ben altre, la prova costume ci complica la vita, che già non è proprio una passeggiata di per sè.
Però è sbagliato anche minimizzare chi invece soffre l’arrivo dell’estate. Si tratta di insicurezze e vecchi retaggi che ci sono stati inculcati in modo così subdolo e profondo che non possiamo farcene una colpa. Tra il marketing che si è inventato prodotti dimagranti che ci mettono l’ansia del peso forma, le copertine delle riviste che per decenni hanno proposto solo un unico tipo di fisicità… Siamo stati bombardati e bombardate da modelli di bellezza irraggiungibili e falsati dai filtri e dagli schermi. Difficile restare immuni dal confronto con le immagini sempre davanti ai nostri occhi.
Grassofobia e modelli irraggiungibili
Siamo tutti e tutte, cresciuti con della grassofobia introiettata. Che significa? Che ci hanno educati che chi è grasso è “colpevole” del proprio peso e certamente è una persona pigra, golosa, senza autocontrollo. La parola “magro” ha un’accezione neutra, quasi positiva. Il termine “grasso” invece è un insulto, un difetto. In realtà entrambe le caratteristiche dovrebbero avere una connotazione neutra, in quanti aggettivi dovrebbero limitarsi a descrivere un corpo, senza giudizio di valore. Perché sì, si può dire grasso e no, non è insulto. Ma è davvero così importante la dimensione di un corpo?
Nel concreto, no. Il peso o la forma di una persona non hanno alcun tipo di collegamento con qualità, personalità, pregi o difetti. Il corpo è involucro e dovrebbe porsi come un elemento indifferente nella valutazione di un essere umano. Se non fosse che nel corso dei secoli l’aspetto esteriore è diventato un mezzo di espressione personale, che di per sé non è una cosa negativa. Questa connotazione dei corpi rappresenta un problema quando si viene a creare un unico standard accettato e tutte le altre fisicità vengono marginalizzate, penalizzate ed escluse. Mettiamoci un carico da 100 in più: i corpi socialmente accettati rappresentano circa il 2% della popolazione globale.
Ne vale la pena?
Capiamo da soli che si tratta di una gara che non vale la pena intraprendere? L’obiettivo è irraggiungibile ma soprattutto, non c’è un premio in palio. Conformarsi ad ogni costo ai canoni di bellezza rigidi ed impossibili non porta alcun beneficio. Anzi, spesso ci si fa del male pur di riuscire a superare questa inesistente prova costume.
Dall’esterno sembra che essere magri, ma soprattutto magre, senza cellulite, con gambe toniche e addomi super piatti, sia l’obiettivo delle nostre vite. Quindi via di diete dannose e restrittive, addio alla pizza il sabato sera. Se si sgarra si da il via a punizioni come digiuni, corse serali extra e felpone a maniche lunghe a 36 gradi all’ombra. Ma davvero non possiamo porci obiettivi migliori, come ad esempio essere gentili?
Ma facciamoci una domanda. Se il mondo dovesse finire domani, vorremmo aver trascorso i nostri giorni rinunciando all’aperitivo in compagnia o alle belle giornate al mare? Noi crediamo di no. Il gioco non vale la candela.
Se ribaltassimo la situazione?
Se provassimo a guardare la prova costume da un’altra angolazione? Se i chili di troppo fossero invece gli alleati perfetti che ci permettono di scremare le persone che vale la pena conoscere e quelle che è meglio evitare? Forse pensate che è già così, ma vi stiamo invitando a rovesciare la questione.
Fino ad oggi la prova costume è stato un esame da superare per risultare appetibili, interessanti, per non restare esclusi. Ma vi invitiamo a fare il contrario. Vediamo i rotolini di ciccia e buchi della cellulite come filtri che ci indicano chi è così superficiale da non voler andare oltre all’aspetto. Magari le imperfezioni possono fare selezione naturale per noi: chi non ci vuole a causa della pancetta ci sta facendo un favore, ci sta evitando di perdere tempo in conoscenze che non andrebbero oltre ai giudizi estetici. Forse non abbiamo bisogno di chi crede nella prova e perde le giornate al mare e giudicare il corpo degli altri.
Abbandoniamo questo pesante fardello della prova costume
Non vi sitiamo invitando ad amare il vostro corpo così com’è, per carità. La body positivity sta creando una gabbia dorata in cui sembra obbligatorio amarsi e accettarsi ad ogni costo. Il nostro è un invito a guardare ai corpi in modo neutro, distaccato e oggettivo: per andare al mare non serve avere particolari caratteristiche fisiche. Basta averne voglia. Lo sappiamo, è tanto dura disfarsi da questa benedetta prova costume, ma se tutti insieme ci proviamo e smettiamo di giudicarci così severamente, forse sarà ogni giorno un pochino più semplice.
Liberiamoci della prova costume e di tutti i macigni che ci portiamo sul cuore e che ci impediscono di goderci l’estate e la compagnia degli amici. Proviamoci tutti e tutte insieme. Riempiamo spiagge e piscine di copri di ogni forma, peso, colore e particolarità. Facciamolo in nome del nostro lato timido, schiacciato dai parametri delle riviste. Alla fine siamo quasi 8 miliardi di posteriori poco perfetti ma validi e dignitosi.