Go Go Power Rangers!
E' impossibile leggere queste quattro parole senza cantarle, almeno interiormente, con profonda esaltazione. Vi tranquillizziamo subito, anche in sala quando ascolterete il famoso jingle tuonare dagli altoparlanti, vi batterà forte il cuore e sentirete la tamarraggine salirvi dentro. Purtroppo però a parte questo, gli Zord esteticamente appaganti, le tute che ormai sono armature galattiche e un paio di cameo nostalgici, non ci sono molti altri pregi in questo film, e in oltre due ore di pellicola, pochi frame che puntano solo sul ricordo, non bastano a salvarlo.
La pellicola inizia con toni grandiosi, le prime scene sono ambientate nel Cenozoico, 65 milioni di anni prima dell'epoca attuale, per contestualizzare la disfatta di Zordon e dei suoi Power Rangers di allora, che si sacrificano per proteggere il cristallo Zeo minacciato dalla malvagia Rita Repulsa.
Fin qui tutto bene.
Cambio scena, siamo ai giorni nostri.
Il ragazzo del momento Jason Scott (futuro Red Ranger, interpretato da Dacre Montgomery) e un amico si trovano a compiere una bravata notturna che coinvolge una mucca e una pessima battuta sul mungerla per poi scoprire che in realtà è un toro.
I due fuggendo in auto dalle autorità peggiorano la gravità della loro malefatta, vengono ovviamente beccati, e per far capire da subito che Jason farebbe qualsiasi cosa in nome dell’amicizia, il ragazzo si addossa tutta la colpa e finisce a un corso di recupero, dove conosce anche Kimberly (futura Pink Ranger interpretata da Naomi Scott) e Billy (futuro Blue Ranger interpretato da R.J. Cyler) con il quale stringe una strana amicizia.
Da qui conosciamo questi tre personaggi in maniera abbastanza approfondita, coi loro drammi personali e le loro problematiche che li hanno portati a isolarsi dalla normale vita di un teenager; il tono diventa cupo e serio, purtroppo rovinato da dialoghi poco convincenti e confusionari. Ma del resto l’adolescenza è un momento caotico della vita e lasciamo il beneficio del dubbio che sia trattata in questa maniera per empatia, come scelta stilistica.
Poi all'improvviso compaiono per due scene i futuri Yellow (interpretato da Becky G) e Black (interpretato da Ludi Lin), hanno un incidente tutti insieme, trovano le Monete dei loro rispettivi colori da Rangers e acquisiscono dei poteri. E qui lo spettatore ha diritto a sentirsi davvero confuso.
Il film è tutto così, passano oltre due ore, in cui c’è il tempo perché tutto venga spiegato coi dovuti modi, ma niente viene approfondito: si intuisce che l’intento è di focalizzarsi sulla crescita dei cinque eroi, con un percorso evolutivo e di formazione, ma i personaggi sono solo abbozzati e questa chiave di lettura non ci riesce a convincere. I personaggi sono introdotti in maniera caotica e con approfondimenti casuali delle loro personalità, con dettagli di spessore diverso di alcuni rispetto ad altri; la parte di addestramento è frustrante per i teenager che non riescono a sviluppare a pieno il loro potenziale ma lo diventa anche per lo spettatore dopo la ripetizione delle stesse modalità. D'altra parte però non possiamo nemmeno sospendere questo giudizio perché in realtà si tratta di un film action; nonostante i combattimenti ci siano e ci piacciano, l'intento non è chiaramente quello di creare una pellicola d'azione (non che prevalga sul teen drama, quantomeno).
Il grosso peccato, tra gli altri, è che il cast è ottimo e al di là della scelta furba di inserire Bryan Cranston (già voce di alcuni personaggi nella serie televisiva dei Power Rangers) di cui vediamo solo il volto digitalizzato -perché noi italiani non possiamo nemmeno sentirne la voce- e di una strampalata Elizabeth Banks, che sembra quasi voler ricreare un Jack Sparrow al femminile ma che per fortuna riesce a far trasparire la sua personalità oltre la macchietta, gli attori sono tutti molto giovani e pienissimi di talento. Talento gettato al vento da una sceneggiatura che davvero non riusciamo a digerire perché l'effetto un po' trash che uno si aspetta dai Power Rangers arriva da un fronte inaspettato.
Sicuramente il regista si rivolge a un pubblico più contemporaneo ed è riuscito a rendere attuale un franchise che di attuale aveva poco e che, nostalgia a parte, ha avuto sempre poca credibilità quindi non c’era un’aspettativa così alta da deludere e infatti non siamo delusi. Resta l'amarezza che le intenzioni fossero buone, i tentativi e gli spunti non mancano, la bravura e il talento si colgono ovunque e alla fine, le due ore passano anche piacevolmente; a maggior ragione però è un peccato che tutto questo sia stato sprecato.