Sono passati dieci anni dall’uscita nelle sale del film di James Cameron, Avatar. Nel 2009 l’attesa e l’hype per il film erano state altissime e Avatar rimane ancora oggi (a meno che non sia scalzato da Endgame) il campione imbattuto d’incassi di sempre.
Con il suo decimo anniversario si è tornati a parlare di questo titolo: è ormai certo che diventerà una vera e propria serie con una nutrita produzione di sequel. Stando alle dichiarazioni di Sigourney Weaver sarebbero addirittura già terminate le riprese dei primi due. Inizialmente era prevista l’uscita del primo nel 2020, ma con la famigerata acquisizione di Fox da parte di casa Disney il progetto ha subito un ulteriore ritardo, slittando per il 2021. Quattro i sequel previsti che formerebbero una pentalogia, i cui capitoli usciranno negli anni dispari, alternandosi con Star Wars nei weekend prenatalizi.
In realtà già dall’uscita del primo film, Cameron aveva cercato di far partire la produzione di un secondo capitolo, ma le difficoltà sono stati innumerevoli e hanno causato continui e inevitabili ritardi, nonostante l’indiscutibile successo al botteghino con più di 2 miliardi e 277 milioni di dollari (2,787,965,087 stando a Box Office Mojo) a battere ogni record.
Tecnologicamente innovativo (è stato il primo film in 3D a essere nominato agli Oscar come miglior film), ha offerto un universo immaginifico con effetti speciali sensazionali, da lasciare senza fiato nel 2009 ma che reggono ancora piuttosto bene dieci anni più tardi.
Ma nonostante il successo straordinario, il film sembra essere stato del tutto dimenticato negli anni successivi, senza lasciare pressoché alcuna traccia nel mondo della cultura pop e nerd. Anzi, quando e se ne si parla, generalmente lo si fa con toni fortemente negativi magari con un sorrisino sprezzante.
Certo, incassi elevati non significano automaticamente pellicola di qualità o immortalità, ma è certamente impressionante il divario tra il record raggiunto (e mantenuto per un decennio) e l’oblio che sembra aver fagocitato questa particolare produzione di Cameron. Ad esempio Titanic, pur avendo incassato meno di Avatar – e non rappresentando proprio un’eccellenza della cinematografia – ha lasciato un segno profondo nella cultura e nella memoria del pubblico. Ha inoltre lanciato la carriera di attori come Leonardo Di Caprio e Kate Winslet. Lo stesso non è accaduto con quest’altro ambizioso prodotto di Cameron.
Cosa è andato storto?
Per quanto ci si sforzi non vengono in mente scene iconiche entrate nella memoria collettiva o scambi di battute da citare.
Ma come mai? In realtà i motivi sono diversi, ma probabilmente il principale è la difficoltà nell’identificarsi con i personaggi del film, che tendono ad avere uno spessore e un approfondimento un po’ sottile. Un elemento che amplifica il problema è lo scollamento tra come i personaggi sono presentati nella prima mezz’ora della pellicola e il resto del film. Nel momento in cui i personaggi iniziano a usare gli avatar si annullano completamente.
Prendiamo Jack Sully. Ex marine disabile che ha perso l’uso delle gambe e ha un atteggiamento di rabbia e amarezza nei confronti dell’esistenza. Suo fratello gemello è morto, e questo è il momento doloroso che gli consentirà di finire su Pandora in una nuova avventura che gli cambierà la vita. Ma questi elementi con cui ci viene presentato il personaggio, fondamentali per creare un legame emotivo e farci appassionare a una storia, vengono spazzati via del tutto nel momento in cui si collega al suo avatar. Sully abbandona il proprio corpo e si lancia in avventure mozzafiato in un ambiente da favola, che è un procedimento chiarissimo e funzionale alla storia ma presenta un grosso problema allo stesso tempo, rendendo inutile la prima metà del film a livello di identificazione. Lo stesso succede con il personaggio di Sigourney Weaver, che dalla caricatura di una scienziata perennemente scocciata e fumatrice diventa con il proprio avatar una specie di versione più hippy, più giovane, forte e sorridente.
Una volta che ci vengono presentati questi avatar – corpi creati artificialmente da DNA umano e nativo del mondo di Pandora usati dai colonizzatori per poter vivere e cercare di integrarsi tra i nativi – bisogna ricominciare da capo. Il Jake Sully che abbiamo visto prima non è più il Jake Sully pandoriano. I tratti distintivi svaniscono e così spariscono elementi e segnali che ci permettono di fare un collegamento immediato tra i due Jake.
Alla fine non ci identifichiamo con i personaggi visti all’inizio perché di fatto scompaiono, ma nemmeno con i personaggi avatar, un po’ macchiettistici e poco approfonditi. La simbologia degli avatar è chiara: rappresentano una rinascita, un lasciarsi alle spalle tutti i difetti e gli ostacoli della vita vera per entrare in un mondo magico. Ma così inevitabilmente si è buttato via il proverbiale bambino con l’acqua sporca. Il dolore con cui abbiamo familiarizzato a inizio film non aggiunge nulla al film e non crea un legame con noi che guardiamo.
Se annulli delle caratteristiche di un personaggio che hai speso del tempo a sviluppare, queste improvvisamente smettono di “informare l’azione” non servono più a livello narratologico.
Lo sviluppo di un personaggio non coinvolge solo le motivazioni o quello che fa, ma è fondamentale per rendere un film emotivamente interessante e coinvolgente. Per creare simpatia per un personaggio ci serve conoscerlo.
Quando incontriamo Jake è paraplegico e perde il fratello gemello. Appena entra in un avatar e per le restanti due ore e mezzo del film queste caratteristiche scompaiono. Non possiamo più empatizzare con lui, il suo dolore sarebbe servito a livello narrativo per creare una connessione emotiva che scompare. È un po’ la tipica macchietta da film d’azione.
Anche la dinamica colonialista presentata qui alla Balla coi Lupi o Pocahontas è un po’ troppo già vista e soprattutto stereotipata. Sembra che gli elementi innovativi del film siano rimasti solo in superficie, con una CGI impareggiabile almeno all’epoca, ma senza scendere in profondità nella storia. Anche una vicenda come quella di qualche colonizzatore che scopre un mondo nuovo innamorandosene e passando dalla parte dei nativi poteva essere reinterpretata in una chiave diversa.
Sembra che gli sforzi siano andati soprattutto per creare un’esperienza visiva di ampio respiro e di svago. E questo gli è riuscito molto bene: riguardare Avatar oggi non significa ritrovare un film stupido o datato, anzi, regge ancora molto bene la prova del tempo. Il problema è che sembra un film costruito su altri film: infiniti western di vario tipo, un po’ di Star Wars, un po’ di Full Metal Jacket. Un film a cui manca una propria identità chiara. Qualcuno lo ha perfino paragonato a un Alien di Cameron fatto a rovescio, se i marine fossero stati i cattivi e il personaggio di Sigourney Weaver a un certo appunto avesse cambiato idea cercando di salvare la Regina aliena anziché la bambina.
Verso il futuro
Anche se nessuno vuol comprare le action figures e il merchindising di Avatar, e nessuno si sogna di citarlo (tra l’altro fateci caso, forse l’unica battuta distintiva “Non siete più in Kansas. Siete su Pandora, signore e signori” viene dal Mago di Oz) comunque il film rimane godibile e se forse non meritava il successo che ha avuto, nemmeno si merita un oblio completo. Racconta una storia dall’inizio alla fine, senza cliffhanger, con un soggetto proprio originale, senza essere il rifacimento di altri prodotti editoriali, tratta temi anche complessi e impopolari, come il colonialismo, l’ecologia, il rapporto con il proprio pianeta e con un potenziale pianeta altrui, il capitalismo. A dieci anni distanza rimane un film godibile, senza infamia e senza lode ma, come ci dimostrano i fatti, sicuramente non “memorabile”. Rimane da vedere come potrà evolversi la storia di Pandora e quale piega prenderà.