I ragazzi di Birmingham sono tornati. Dopo la conclusione in patria, da pochi giorni Netflix ha rilasciato la quinta stagione di Peaky Blinders. Politica, affari, amori e drammi colorano la tavolozza composta da questi sei nuovi episodi. Con sempre Steve Knight alla guida, la storia di questa stagione sarà ambientata negli anni Trenta, dove tra la Grande depressione e l’ascesa del fascismo, vedremo come si incastreranno le vicende di Tommy Shelby & Famiglia.
La serie prende le mosse dalla storia
La serie della BBC vede tra i suoi interpreti Cillian Murphy, Paul Anderson, Helen McCrory, Finn Cole, cuore pulsante della sacra famiglia, ma non sono loro gli originali Peaky Blinders. L’ispirazione per la serie deriva infatti dalla storia. I Peaky erano una gang criminale giovanile che scorrazzava per Birmingham tra il XIX e XX secolo. A fine Ottocento, nei quartieri poveri dell’Inghilterra, sovrappopolamento, povertà, ingiustizie sociali alimentavano il risentimento nei confronti del governo, il lavoro scarseggiava, e la valvola di sfogo eruppe nella criminalità. Gang, gangster e organizzazioni a delinquere erano soltanto un’altra occupazione per portare a casa soldi, lontano dal clima infernale delle fabbriche metallurgiche.
La prima notizia sui Peaky Blinders è, come da copione, su una rissa, datata 1890. In un pub di Small Heat un gruppo di ragazzi, guidati da Thomas Mucklow, assaltò violentemente George Eastood, loro concittadino. Lo scontro fu così violento che George riportò numerosi traumi, tra cui uno alla testa, per cui dovette subire un’operazione di trapanazione. La stampa locale riportò in seguito la lettera di un lettore che, raccontando dell’accaduto, parla di “un assalto omicida perpetrato dai membri dei Peaky Blinders di Small Heath”. Da allora le attività criminali della gang si moltiplicarono. La banda era nota per l’eccessiva aggressività e per l’uso ricorrente di armi improvvisate come forchette, coltelli o attizzatoi. Caratteristica che è rimasta anche nella serie.
Peaky Blinders: questione di stile
Se il primo titolo da giornale è sicuro, meno chiara è la nascita del nome della gang. Secondo gli storici David Cross e John Douglas, il nome Peaky Blinders deriva dalla pratica di cucire delle lamette da barba nella visiera dei cappelli, i quali all’occorrenza potevano essere utilizzate come armi. Tuttavia le lame intercambiabili all’epoca erano beni di lusso e risulta assai improbabile questa spiegazione. La seconda ipotesi, ad opera dello storico Carl Chinn, è che “peaky” fosse il soprannome del modello di cappello che indossavano; mentre “Blinder” invece fosse un termine del dialetto di Birmingham che indica un aspetto tanto elegante da accecare. Il tutto mischiato per andare a creare “la banda con i cappelli dalle visiere appuntite”.
Altro fattore contraddistintivo era l’abbigliamento dei ragazzi. La gang aveva infatti un preciso stile, caratterizzato dai cappelli con visiera, abiti su misura, soprabito di supporto, un fazzoletto al collo e pantaloni a zampa di elefante. L’outfit valeva sia per gli uomini che per le donne. Così, camminando per le strade, era impossibile non riconoscere i membri dei Peaky. Seppur non rinomati come una vera e propria organizzazione criminale, l’atmosfera di violenza e rabbia che si portavano dietro cozzava con l’eleganza sfoggiata. Signori fuori, bestie dentro. Ragazzi famosi della gang furono David Taylor, Harry “Baby Face” Fowles, Ernest Haynes e Stephen McNickle.
La serie si discosta dalla verità
A ben vedere la serie sembra avere presto giusto qualche sfumatura dalla realtà storica, per poi dipingere il quadro di testa propria. La famiglia Shelby smette di essere una semplice gang nella prima stagione. Peaky Blinders si amplia, toccando tematiche dal respiro nazionale. Ci racconta quel periodo, un mondo ferito dalla Grande Guerra con lo sguardo violento di omicidi con carisma. Eppure i “fottuti Peaky Blinders” sono esistiti, e senza di loro oggi non avremmo l’omonima serie tv.
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