Ormai tutti coloro che hanno la passione per la lettura, prima ancora che per la scrittura, si sono imbattuti nel concetto di Autore Indipendente, una realtà che la rete e le sue infinite possibilità ci hanno donato. Self Publishing è la coppia di parole sulla bocca dell'intero mondo editoriale, dato che (abbinata al numero immenso di strumenti per la lettura di testi digitali presenti sul mercato) sembra essere la direzione che sta prendendo il futuro della lettura. Tutti possiamo connetterci a uno delle migliaia di rivenditori online e vedere il grande quantitativo di opere che ogni mese vengono pubblicate e proprio per l'importanza e l'opportunità date da questa nuova realtà voglio approfondire e sviscerare la questione con qualcuno che ha fatto della pubblicazione indipendente la sua bandiera: Alessandro Girola, autore di romanzi e racconti dei generi più vari, che vanno dall'ucronia (I Robot di La Marmora) al fantasy-storico (Venatores) ai super eroi (La saga del Basilisco) passando per molti altri generi e titoli.
Ciao Alessandro. Grazie per la disponibilità. In base alla tua esperienza, come viene percepito dall'esterno l'autore indipendente?
– Ciao! Grazie a te per avermi invitato a questa chiacchierata. Dunque, direi che dall'esterno l'autore indipendente viene percepito male, se non addirittura malissimo. La scuola di pensiero ricorrente è “se uno si pubblica da solo è perché la roba che scrive fa schifo, tanto che gli editori non la vogliono”.
Ci sono poi quelli, una minoranza di un certo peso, che considera gli autori indipendenti come dilettanti allo sbaraglio, che però fiutano l'affare (per esempio il paranormal romance che vende) per fare soldi facili, scrivendo banalità vendute a pochi spiccioli.
In entrambi i casi non si tratta di percezioni del tutto sbagliate, anche se sono piuttosto limitate. Esiste infatti una piccola percentuale di autori indie che lavorano con un vero e proprio staff di collaboratori (grafici, editor etc), senza però usufruire di un editore convenzionale come intermediario di mercato.
Io appartengo a questa categoria.
Invece, dal tuo punto di vista come si presenta questa zona del panorama editoriale? L'impressione che si ha è quella di “tutti possiamo pubblicare le nostre fatiche”. È davvero così?
– Dal mio punto di vista, in qualità di addetto ai lavori, posso confermare che un buon 90% degli autori “self” è composto da scalzacani senza qualità come autori e senza la minima volontà di migliorarsi e di offrire prodotti dignitosi (dove per “dignità” mi riferisco anche all'estetica di libri ed ebook, che devono essere ben impaginati, con copertine dignitose ed editing decenti).
Sicuramente molti pensano che ora, grazie al self publishing, possono pubblicare i loro capolavori incompresi a suo tempo bocciati dagli editori “cattivi cattivi”.
E no, non sto difendendo gli editori, che non hanno bisogno di me, un pulcioso autore indie, come avvocato. Dico soltanto che si passa da un estremo all'altro.
La scelta di pubblicarsi autonomamente dovrebbe essere ponderata, e frutto di una programmazione, non (come spesso avviene) una scorciatoia.
Per fortuna, seguendo un po' le dinamiche del settore, è facile riconoscere gli autori indie seri, che esistono e sono in numero crescente.
L'assenza di una CE alle spalle lascia una libertà creativa maggiore, senza il filtro dato dalla richiesta del mercato. Questo che effetto ha sulla produzione artistica tua e generale?
– Indubbiamente la possibilità di gestire il proprio lavoro autonomamente offre il vantaggio di una libertà creativa quasi totale. Al posto di seguire i trend del mercato possiamo provare a costruirne alcuni, o a modificare quelli già esistenti. Non si tratta di percorsi facile, ma sono esaltanti.
Io, per esempio, risulto essere (lo dicono i lettori) il primo autore italiano che ha scritto storie di kaiju. Non so se sia vero o meno, ma di certo quelle storie le ho scritte e pubblicate (vedi Grexit Apocalypse), e non ne vedo molte altre in giro.
Specifico: non ho inventato nulla. Si tratta di filoni letterari che negli USA costituiscono nicchie con un crescente numero di lettori. Qui da noi arriva pochissimo di tutto ciò, perché gli editori preferiscono andare sul sicuro e pubblicare romanzi che hanno già un pubblico rodato.
Ecco, uno dei vantaggi di essere un autore indie è quello di potersi prendere certi rischi.
A volte va, altre volte meno.
La creazione di opere e storie è come un qualsiasi altro mestiere: migliora con la pratica. Con l'assenza di un filtro non si rischia di arrivare sul mercato in un momento in cui non si ha raggiunto una “maturità” artistica?
– Sì. Il rischio c'è, eccome. Infatti, se tornassi indietro, non pubblicherei più alcune cose molto vecchie, che non godevano di un editing degno di questo nome, e che mancavano pure di un certo stile che ho maturato col tempo. Devo dire però che, lavorando con costanza e iniziando col proporre le mie opere a titolo gratuito, ho costruito il mio pubblico senza obbligarlo a spendere fin da principio dei soldi per un totale sconosciuto. Per approdare su Amazon ci ho messo infatti tre anni abbondanti, tempo sufficiente a migliorarmi e a trovare dei collaboratori davvero molto in gamba.
Come si combatte l'effetto Dunning-Kruger in un campo estremamente soggettivo come la produzione artistica, secondo te? È sufficiente il parere dei beta-reader che si possono trovare online?
– No, non è sufficiente, soprattutto se sono amici. Avranno paura di ferirti e non ti diranno la verità. Per questo motivo è meglio frequentare forum di scrittura, gruppi Facebook dal medesimo indirizzo, conoscere persone già esperte in questo mestiere, e farsi aiutare da loro. Sembra incredibile, ma c'è sempre qualcuno disposto a dare una mano, a fornire consigli adeguati su come migliorare un manoscritto, o a insegnare a uno sprovveduto come impaginare un ebook senza che questo risulti un pastrocchio. Poi, col tempo, tali collaborazioni possono diventare abitudinarie, retribuite, indispensabili.
Proprio come fanno (come dovrebbero fare) gli editori seri.
Non c'è altra via.
L'indipendenza e la libertà hanno sempre un costo, in questo caso è, come hai detto, il doversi avvalere di professionisti che avranno una loro parcella, per non parlare del marketing per raggiungere il pubblico. Quanto influisce quindi il capitale iniziale in questo tipo di carriera? Può un ragazzo che fa tutto da solo (nel limite, ovviamente) raggiungere un risultato come il tuo?
– Influisce parecchio, ma è giusto così. Un buon editing non può essere gratuito, né costare quanto un caffè. Io nell'editing investo parecchio e, da quando lo faccio con degli ottimi professionisti, i risultati si vedono. O meglio: li vedono i lettori, e me lo dicono. Ritengo che per racconti particolarmente brevi si possa eventualmente evitare di ricorrere a un editor professionista, ma parlo di cose sotto le 5000 parole, e solo se si è autori maturi ed esperti.
Il marketing ha dei costi meno incisivi, ma anche qui non si può sperare di azzerarli, non se si vuole ottenere dei buoni risultati. Prendete le pagine Facebook (ogni autore dovrebbe avere la sua, perché usare il profilo privato per farsi pubblicità è poco serio): oramai funzionano quasi esclusivamente i post sponsorizzati. Quindi occorre investire qualche euro nei suddetti post, quantomeno quelli più importanti (presentazione di una nuova uscita etc). Si possono poi tentare altre strategie di marketing. Io, per esempio, ricorro ad alcune testimonial (modelle, perlopiù) per realizzare degli scatti pubblicitari con le copertine dei miei ebook.
Se vuoi dei “freddi numeri”, posso dirti che, per un romanzo breve attorno alle quindicimila parole, investo circa duecento euro, tra editing e marketing. La speranza è quella di rientrare dalle spese e di guadagnarci qualcosa. Per fortuna mi capita sempre più spesso.
In rete è sempre più facile incappare in fazioni ben distinte e il mondo editoriale ne è un altro esempio, ci si lancia bombe tra le barricate “Indie” e “CE” accusandosi a vicenda di sciatteria e di riempire il mercato di spazzatura. Quanto risente il mercato delle proposte di questa realtà?
– Ne risente un po', forse meno di quanto ci si aspetti. Il mondo dell'editoria, sia quella classica che quella indie, è caratterizzato da continue guerre intestine. Alcune di esse sono sacrosante (quelle per smascherare i furbetti, gli imbroglioni, gli incapaci). Altre servono a marcare il proprio territorio, a difendere il feudo. C'è poi una grande guerra (eterna), che vede contrapposte le CE tradizionali agli autori indie. Le posizioni sono arcinote, non starò qui a ripeterle. A risentirne sono semmai i lettori, a cui di queste schermaglie importa poco. C'è però da dire che pochi lettori sono a conoscenza di questi conflitti, che avvengono quasi esclusivamente sui social network e sui blog di settore. Certo, se ciascuno si concentrasse maggiormente sul proprio lavoro, tutti ne gioverebbero…
Grazie del tuo tempo, ora possiamo vedere le cose da una prospettiva più accurata
- Grazie a voi per avermi dato la possibilità di spiegare un po' cosa si muove nel sottobosco del self publishing! Spero di aver dissuaso un buon numero di dilettanti allo sbaraglio dall'idea di pubblicare i loro capolavori non editati sullo store di Amazon
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