E mentre attendiamo l'opinione di O.N. pèarliamo un po' dell'opera originale.
E arriva in libreria. Riedizioni, illustrazioni, coste di copertina con la splendida immagine di Martin Freeman di spalle e davanti a sè la porta tonda e il mondo davanti.
E un'edizione annotata in formato tascabile per Bompiani. Quella di cui si parlerà qua.
Un classico pieno di note, diciamolo subito, è uno spietato invito alla tachicardia. Trasformare un'opera di culto in un ipertesto, in un (postumo e interpretato) director's cut pieno di commenti e rimandi, è un miraggio che questo redattore persegue da quando s'è imbattuto nelle Avventure di Alice annotate da Martin Gardner; i testi originali delle poesie e canzoni commentati, i dietro le quinte sulle ispirazioni, la dialettica spesso accesa tra Lewis Carroll e John Tenniel sulle mitiche illustrazioni della prima edizione.
Averne qua una per Lo Hobbit, un'altra storia che ti cresce addosso e che ti accompagna da quando sei bambino, è un cerchio che si chiude e ti fa tornare all'inizio della meraviglia, ai ricordi e al volere approfondire. Nonché una bella idea regalo, osiamo dire, per le feste che si avvicinano.
Dobbiamo il lavoro a Douglas Anderson, che nella sua carriera è andato all'origine delle fonti di Tolkien; sua l'edizione di The Marvellous Land of Snergs di Edward Wyke-Smith, riconosciuta ispirazione per J.R.R.T., ma anche del classico horror The Dark Chamber di Leonard Cline e così via. Anderson è uno che guarda alle origini del fantastico e dell'orrorifico, e che vuole investigarne i rimandi alla mitologia come i legami alla cultura del periodo.
E' quindi tutto un gioco di rimandi, di origini, rimaneggiamenti e paralleli, il nuovo fittissimo livello che l'edizione di Anderson aggiunge a Lo Hobbit. Talvolta vengono riportate le riscritture dello stesso pezzo: per esempio della fuga di Bilbo dagli orchi, in due spezzoni a lato rispettivamente del '37 e del '51, in cui Tolkien progressivamente diminuisce le intrusioni del narratore nella storia.
Oppure le fonti d'ispirazione: mitologia e fiabe, ma anche contemporanei come Algernon Blackwood e George MacDonald. Nomi rimasti dimenticati, relegati agli specialisti, che invece meritano di riaffiorare e ispirare curiosità. O intere poesie, come Puss-cat Mew di E.H. Knatchbull-Hugessen: in questo modo il libro non è soltanto Lo Hobbit, ma una piccola raccolta, uno scrigno grande come un piccolo mondo che, oltre alla bellezza senza tempo della storia di Bilbo, permette di scoprire anche altro.
Altro valore aggiunto da non sottovalutare, le illustrazioni. Da quelle originali di Tolkien ai disegni delle edizioni di tutto il mondo (giapponese, estone, bulgara) senza che mai manchi lo scrupolo di Anderson nel parlare della specifica edizione, dello specifico illustratore, della sua biografia e così via. Dalle illustrazioni che ci fanno sorridere, o alzare il sopracciglio perplessi, a quelle che magari ci incantano.
C'è anche da dire che oltre all'edizione di Anderson ci troviamo una nuova traduzione, ad opera di Caterina Ciuferri e supervisionata dalla Società Tolkieniana Italiana. Il che contraddistingue questa versione da quella già pubblicata nel 2004 (oltre che l'essere tascabile, prezzato 13 euro e comodo da portare in giro.)
Insomma: con le feste che arrivano e pure il film, quale occasione migliore per tornare alle origini e recuperare un classico simile? Consigliato a chi vuole approfondire, usarlo come punto di partenza per un qualche viaggio inaspettato, e sconsigliato a chi subirebbe mal di testa e perdita di diottrie a vedere pagine fitte fitte di parole e inchiostro. I non curiosi, insomma. Per gli altri, o per i curiosi giusto un po' recalcitranti come il signor Baggins, il cammino può partire.