Un incidente terribile, lo sfondo della guerra in un piccolo paese pugliese. Ma anche fantasmi, creature mistiche e folklore. Al centro di tutto una famiglia e la sua casa, che sa al tempo stesso sia di storia e che di magia. Fantasmi di Famiglia, il graphic novel di Licia Cascione che Ottocervo presenta a Lucca Comics & Games 2023, fonde due mondi che in questa intervista scopriamo fanno entrambi parte della storia familiare dell’autrice. Che ci ha spiegato come ha creato questo racconto pieno di realismo magico (che ci sembra quasi impossibile sia un’opera prima).
Licia Cascione ci racconta Fantasmi di Famiglia, il suo graphic novel | Intervista
La storia di Fantasmi di Famiglia inizia con una tragedia. Michele cammina vicino alla ferrovia, una scarpa resta incastrata fra le rotaie. Un errore tragico, che però diventa subito qualcos’altro. Perché mani spettrali lo prendono per portarlo in un altro mondo.
La sua famiglia sente da subito la sua mancanza. Lina, Francesco, Chiara e la piccola Anna reagiscono però in modo diverso alla sua scomparsa. Tutti hanno un carattere forte, ma con sfumature diverse – come ogni vera famiglia. Anna in particolare sembra ostinata a non far andare via suo fratello senza almeno tentare di fermarlo.
Da questa vicenda si dipanano le vite di questi personaggi che sembrano uscire dalla carta tanto sono realistici. Ma le loro vite sono piene di magia: la casa stessa in cui vivono sembra piena di leggende, storie, ricordi. Fantasmi di Famiglia segue questa famiglia negli anni, tenendo la Seconda Guerra Mondiale e il dopoguerra sullo sfondo – ma a volte fin troppo vicino. Un libro che alterna la storia al folklore, e lo fa con una genuinità che sa a volte divertire e a volte commuovere.
Questo è il tuo primo graphic novel e puoi presentarlo a Lucca. Come ti senti?
“In realtà, non ho ancora realizzato appieno, devo essere sincera. Anche ieri, quando ho tenuto tra le mani il primo volume che ho scritto non avevo ancora realizzato quello che sta succedendo. E poi non sono abituata alle grandi folle. Pensavo che avrei avuto più ansia, per ora me la sto vivendo abbastanza bene”.
Fantasmi di Famiglia è una storia particolare, intrisa di folklore ma con la Seconda Guerra Mondiale in sottofondo. Ma ancora di più, parla della famiglia e della Puglia rurale. Da dove nasce l’interesse per questi temi?
“L’idea è nata durante l’università, ho fatto un corso di antropologia culturale dove per l’esame finale dovevamo portare una tesi sul nostro territorio. Una delle prime cose che mi è venuta in mente è stata andare da mia nonna e farmi raccontare quelle storie folkloristiche che ho inserito nella storia. È venuta fuori un’intervista di quasi quattro ore! Con tante storie che ho poi aggiunto nella sceneggiatura di questo libro”.
Ma solo le leggende o anche le storie familiari?
“Soprattutto le leggende, ma non solo. A mia nonna piace raccontare sia storie inventate che fatti realmente accaduti. Quando era piccola, nei suoi racconti mischiava sempre la realtà, la sua vita durante la guerra, con una dose di finzione.
“Quelle nel mio libro sono storie di famiglia, che ovviamente ho riadattato per legarle insieme. Eventi tramandati sia da parte della famiglia di mia madre che da parte di quella di mio padre. Le ho rimaneggiate un po’ insieme alla storia del paese da cui provengo.
“Io, in particolare, sono innamorata del mio ‘paese vecchio’, che non è quello dove è cresciuta mia nonna. Un paese antichissimo, dove in ogni casa c’è un ‘fantasma’ – o almeno è quello che direbbe qualsiasi abitante del paese vecchio. Ho voluto raccontare queste leggende e tradizioni, anche perché nel mio territorio le nuove generazioni stanno avendo il sopravvento: volevo mantenere queste storie vive.
La famiglia al centro del racconto sembra vera: hanno valori comuni, una sensibilità comune, eppure sono individui distinti e unici. Come sono nati?
“Mi sono affidata molto al mio vissuto. Per esempio, nel rapporto fra le sorelle, avendo io una sorella più grande e una sorella più piccola, ho sentito il dialogo fra di loro facilmente. Le lasciavo parlare da sole, poi al massimo cancellavo qualcosa di superficiale o poco centrato”.
I tuoi personaggi parlano in dialetto, usano modi di dire tipici. Pensi che sarebbe stato possibile raccontare questa storia senza questo linguaggio? Oppure è intrinseco alla narrazione?
“All’inizio ho iniziato a scrivere i personaggi in italiano quasi perfetto, ma mi sembrava poco reale. Era stranissimo vedere una ragazza di quattordici anni durante la Seconda Guerra Mondiale, che magari non ha finito la scuola, parlare con una grammatica perfetta. Quindi ho iniziato a introdurre il dialetto, sempre di più. Fin quando alla fine ci siamo resi conto che non potevamo più farne a meno.
“Mi sono anche confrontata con l’editore, perché il mio dialetto non è preciso, è un po’ sporco perché ho familiari che arrivano da tante zone diverse della Puglia. Ne è uscito un mix fra dialetto e italiano dialettizzato. Pensavo desse un po’ di colore”.
Anche la casa in cui la famiglia vive è un “personaggio”. Come hai disegnato gli spazi? Che cosa la rende davvero magica?
“Per creare gli spazi, devo essere sincera, ho utilizzato la casa di mia nonna. Che è quella in cui io sono cresciuta. E l’ho fusa con la casa dove abitava mia nonna da bambina, dove mi raccontava che dormivamo tutti nella stessa stanza. Ho ricreato quelle situazioni nella casa in cui lei vive ora. In pratica ho messo insieme le nostre rispettive infanzie, mi è venuto abbastanza facile gestire gli spazi.
“Per quanto riguarda il vivere la casa come un personaggio, dalle mie parti si è sempre sentita questa cosa. Da piccola, quando si entrava in casa e non c’era nessuno, comunque si salutava la casa. Questa abitudine del passato nel mio paese mi è rimasta, soprattutto perché i miei genitori sono piuttosto superstiziosi. Quindi mi è sembrato normale inserire il personaggio della casa, proprio come persona”.
Un romanzo storico ma pieno di realismo magico. Quali storie ti hanno ispirato? E quali influenze senti di più dal punto di vista grafico?
“L’ispirazione più naturale è Cent’anni Di Solitudine di Gabriel García Márquez, ho sempre adorato i libri che parlano di magia concreta. Quindi, per esempio, una piccola superstizione trasforma la paralisi del sonno si trasforma in folletto che non ti fa alzare. Io ci sono cresciuta, era più bello pensare che il rumore per la casa non fossero le tubature dell’acqua che scricchiolano, ma un fantasma che girava per le stanze.
“Una spiegazione logica ha più senso. Però immaginare magie e superstizioni è molto più bello, più affascinante che parlare di tubature”.
Dal punto di vista grafico, invece, chi ti ha più ispirato?
“Ci sono un paio di autori, che non direi proprio che mi abbiano ispirato, ma sono quelli le cui tavole mi colpivano particolarmente. Anche perché non mi reputo molto ferrata nel mondo dei fumetti. I disegni li ho sempre fatti per me, però non li ho mai fatti vedere a nessuno, perché la mia famiglia non li vedeva come una possibile carriera. Dopo l’università ho detto a me stessa che avrei fatto qualcosa che mi piace. E approfitterò della fiera per ingurgitare più tavole e fumetti possibile, per farmi ispirare”.
C’è in particolare una tavola verso la fine di Fantasmi di Casa che mi ha colpito, dove la protagonista abbraccia l’intera casa. Dove è nata?
“Quella l’abbiamo usata per presentare il fumetto all’editore. Dopo che avevo deciso più o meno la sceneggiatura, ho inviato le prime bozze, e quella tavola era tra quelle. Ci stava bene. In tutto il filone. Volevo qualcosa che parlasse più forte dei dialoghi”.
Dopo aver scritto questo graphic novel, cosa hai imparato del tuo stile e del tuo modo di raccontare. Che cosa porterai nel tuo prossimo racconto?
“Per il prossimo, sicuramente, salverei la sceneggiatura su un file Word e la correggerei prima di inviarla all’editore! Questa è una battuta che ci siamo ripetuti più volte, perché ci sono stati una serie di errori tecnici nel realizzare il fumetto.
“Seriamente, adesso il mio stile è molto diverso. Rispetto a quando ho iniziato a scrivere e a disegnare, durante quasi tre anni di lavoro, la mia mano è cambiata. Anche il mio modo di dividere le scene nelle tavole. Si può vedere che all’inizio del libro la mia narrazione è un po’ classica, mentre invece, verso la fine, ho cercato di giocare di più con la regia”.
Il lavoro di Licia Cascione ci ha già colpito molto in questo primo libro, e dopo questa intervista non vediamo l’ora di vedere il suo prossimo lavoro. Fantasmi di Famiglia è un graphic novel da leggere: pieno di magia e relazioni familiari forti che la sua autrice dice di aver preso dalla sua vita, ma che ha saputo rielaborare con maestria in questa sua opera prima.