Ottobre è infine arrivato, manca poco al delirio di Lucca Comics 2016, il caldo fa finta di lasciare il posto al fresco dell'autunno ed è il momento del mio resoconto annuale per il nostro progetto legato a Blueberry travel company.
Sono da poco tornata dal Giappone, con il cuore pesante, come sempre.
Ma anche questa volta sono rimpatriata con un bagaglio pieno di informazioni ed esperienza.
Viaggiando si cresce sempre un po', non si torna mai uguali a quando si stava facendo la valigia, nella sicurezza della propria casa, ci si mette alla prova, ci si incontra e scontra con realtà e situazioni differenti.
Sebbene non fosse la mia prima esperienza lì, come ormai tutti sapete, non ho trovato davanti a me un luogo noioso perché conosciuto, quanto più un enorme essere vivente sempre in movimento e in cambiamento.
Ho fatto scoperte sconcertanti di cui ancora adesso non riesco a capacitarmi e ho scovato piccoli posti davvero piacevoli che prima erano nascosti solo perché non avevo, semplicemente, visto, troppo presa ad osservare le grandi attrazioni che richiamano i turisti.
Con il gruppo di viaggiatori partiti col Giappotour Orgoglio Nerd abbiamo attraversato piccole vie dalle luci calde, che si aprono come vene calde tra gli alti palazzi freddi.
Abbiamo fatto conversazione con i locali sui treni e le metropolitane, così incuriositi da un folto gruppo di stranieri che non hanno resistito alla tentazione di rivolgerci la parola per conoscere la nostra storia. Che che si dica che i Giapponesi sono scostanti e freddi.
In viaggio verso Nara ci siamo intrattenuti con una signora che da dieci anni studia l'italiano e sentendoci parlare ha voluto contribuire alla conversazione, anche per testare quanto in grado fosse di sostenere un discorso con noi.
Oppure l'anziano dagli occhi vispi e luminosi che, sullo stesso treno, ha voluto regalare una rivista d'arte ad uno dei ragazzi esortandolo a leggerla.
La natura non è clemente ma passare due settimane in Giappone regalano così tanto che il rischio si tende sempre a correrlo.
La pioggia cadeva torrenziale per l'arrivo di un nuovo tifone, l'ultimo giorno di viaggio. Il gruppo ed io eravamo alla stazione di Kyoto e stavamo aspettando il nostro bus per l'aeroporto stanchi e un po' scoraggiati dalla scoperta che a causa del maltempo il mezzo avrebbe fatto ritardo.
Mi sono seduta con poca grazia su una delle sedie di plastica dura della sala d'aspetto meditando se aprire o meno il pacchetto di patatine dal gusto assurdo (probabilmente salmone e formaggio) che avevo comprato per voglia di sperimentare. Il signore accanto a me attira la mia attenzione e, con un misto di giapponese ed inglese stentato impreziosito dal linguaggio universale che è quello dei segni, mi incoraggia a sorridere.
L'espressione concentrata che riservo ai miei pensieri sul cibo era stata scambiata per una corrucciata e preoccupata, ma, nonostante il malinteso ho davvero apprezzato il gesto e la conversazione interessante che ne è seguita, tanto che poi ho diviso con lui il mio snack dal sapore improponibile.
Quindi sì, è vero che i Giapponesi tendono a tenerti fuori, erigono dei muri oltre i quali non è assolutamente possibile andare.
È vero che a volte i loro sorrisi sono finti, dettati dall'educazione e dalla cortesia e che sono così gentili da farti sentire il gelo dell'inverno o l'imbarazzo del disagio.
Ma è anche altrettanto vero che sono curiosi, affascinati e pronti a entrare in contatto con noi, che piombiamo nelle loro vite e nelle loro città per un tempo limitato.
La loro gentilezza è anche pura e semplice.
E chiunque sia venuto in viaggio con noi lo sa, perché ne ha avuto esperienza.
È un mondo sfaccettato, pieno di ombre e luci, con tanti volti e frammenti da raccogliere e scoprire.
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l’altro giorno (tipo giovedì scorso) lo avevano intervistato a Caterpillar. Se volete, ascoltatevi i podcast: http://caterpillar.blog.rai.it/2013/05/23/