Quasi esattamente un anno dopo il suo debutto alla Berlinale, arriva anche in Italia La sala professori, spinto anche dalla Nomination come Miglior film internazionale per la Germania. In un anno in cui proprio questa categoria si dimostra particolarmente affollata di titoli eccezionali, questa pellicola si dimostra più che degna della cinquina (e forse anche della statuetta). Vediamo meglio perché nella nostra recensione de La sala professori.
La sala professori: di cosa parla il film tedesco candidato all’Oscar?
C’è un problema nella scuola dove Carla Nowak ha iniziato a insegnare da qualche tempo. Una serie di piccoli furti, di cui ancora non si è riusciti a individuare il colpevole, nonostante le continue ricerche. Il dubbio serpeggia tra il personale e sta piano piano trapelando anche tra gli studenti. E le promesse di una politica di “zero tolleranza” non alleggeriscono la situazione.
Finché proprio Carla non decide di intervenire. Una scelta improvvisa, istintiva, per trovare una soluzione semplice a un problema che rischia davvero di precipitare. O forse lo sta già facendo. Ma come spesso capita, la soluzione più semplice non risolve nulla e anzi diventa la scintilla che unita a un ambiente già surriscaldato, dà vita a un incendio che travolge la scuola e la vita della professoressa Nowak.
La qualità di questo racconto sta proprio nella sua molteplicità dei livelli di lettura. Abbiamo una storia che è di per sé appassionante: un thriller, con un mistero da risolvere, che passa dal giallo al legal, mescolandosi con uno scontro tra la professoressa e uno dei suoi alunni. Il tutto immerso in un contesto di dubbio e ripensamenti, perché se il nostro punto di vista ci presenta quella che è piuttosto chiaramente una verità, non ci dice mai con certezza che sia l’unica.
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Ma allo stesso tempo, come è facile intuire, La sala professori di cui parliamo in questa recensione è un simbolo, una metafora per parlare di altro. Quella davanti a cui il regista İlker Çatak ci mette davanti è una rappresentazione in piccolo dello Stato di diritto e delle battaglie che bisogna portare avanti per preservarlo. Anche e soprattutto con noi stessi, anche e soprattutto se siamo convinti di agire per il bene collettivo.
Prossimamente nelle migliori assemblee d’istituto
Se avete frequentato le superiori negli anni ’10, quasi sicuramente avete visto L’onda. Si tratta di un film del 2008 (ispirato a una storia vera) che affronta il tema della mentalità di branco e di quanto facilmente possano attecchire gli autoritarismi. Un’opera che forse ha meno meriti di quelli con cui venne accolta, che probabilmente è fin troppo didascalica, ma che può essere un ottimo punto di partenza per una riflessione. E per questo è diventata un classico delle assemblee d’istituto.
Ecco, La sala professori potrebbe tranquillamente ereditarne il ruolo, con la differenza che in questo caso la rappresentazione è ancora più raffinata. E proprio per questo interessante. Riesce nel complicatissimo obiettivo di mettere in crisi le posizioni del pubblico (così come quelle della protagonista) qualunque esse siano, ma senza mai scadere.
E così tutta la scuola diventa una grande metafora dello Stato, muovendosi tra l’autoritarismo e la ribellione a quest’ultimo, sfidando le convinzioni di ciascuno e lasciandoci un terreno fertile su cui riflettere. In tutto questo c’è anche spazio per affrontare il tema della stampa, in quella che è probabilmente una delle scene più potenti ed efficaci della pellicola.
Leonie Benesch sostiene perfettamente tutta l’impalcatura, interpretando una protagonista straordinariamente complessa. La vediamo dilaniata tra le sue convinzioni e la vicenda che la trascina altrove, tra l’immagine che ha di sé e quella che gli altri si creano su di lei, confrontandosi con la domanda più difficile che ci si possa porre: “E se fossi io ad aver sbagliato?“.
La sala professori, tra thriller e politica
In un anno in cui gli Oscar sono particolarmente ricchi di grandi titoli “stranieri” (non solo nella categoria tradizionalmente dedicata), La sala professori risulta comunque uno dei migliori. Bilancia alla perfezione quello che potremmo definire un legal thriller in superficie, ma scavando subito sotto si trova una lucida analisi politica, che offre più di uno spunto non scontato.
L’unico aspetto che non ci ha completamente convinti è la conclusione, che pur funzionando e restando coerente con il resto dell’opera, può lasciare un vago senso di insoddisfazione. Elaborarla è parte della poetica stessa del film però e una volta “digerita” saprà stimolare la nostra riflessione.
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- Vogel, Jürgen, Paul, Christiane, Riemelt, Max (Attori)
- Gansel, Dennis (Direttore)
- Audience Rating: NR (Non valutato)