Da qualche giorno diverse testate giornalistiche nazionali ed internazionali, anche molto importanti, stanno pubblicando articoli relativi alla morte di gran parte della grande barriera corallina australiana, ma non è proprio così.
Colpita implacabilmente dal cambiamento climatico e dalle crescenti temperature ambientali la barriera corallina non è di certo sana. Da tempo si sente parlare del fenomeno dello sbiancamento dei coralli e dei rischi che questi corrono minacciati da due dei principali e più diretti effetti dell’inquinamento umano: l’aumento di anidride carbonica e di temperatura. Troppo spesso però si rischia di cadere nella cattiva informazione (sia essa incompleta, sbagliata o dal contenuto esagerato), con la conseguente possibilità di sottovalutare o esasperare alcune notizie di reale importanza, scientifica o non. E’ quindi più che mai necessario raccogliere informazioni e fare chiarezza, soprattutto su tematiche estremamente complesse e delicate come l’inquinamento ambientale e, in particolare, la gravissima moria di coralli di cui ormai si parla da anni. Facciamo chiarezza.
Il corallo è un animale con una struttura corporea relativamente semplice, simile a quella delle meduse, che vive però l’intera sua vita adulta posato sul fondale. A seconda della specie può secernere uno scheletro di carbonato di calcio in cui vivere, che ha lo scopo di sostenere e proteggere il singolo animale racchiudendone il corpo, da cui però può comunque estroflettersi per potersi nutrire. Tutte le barriere coralline (o reef) sono state formate dagli scheletri di questi animali, i coralli costruttori, che nel tempo, per mezzo di un continuo accrescimento e di un tipo di riproduzione asessuata (chiamata buddling) che permette di creare grandi colonie formate da individui identici, possono andare a formare anche “muri” chilometrici come appunto quello della grande barriera corallina australiana. Ogni barriera è da considerarsi viva fintanto che il corallo che la costituisce rimane vivo e con esso tutte le forme animali che vi instaurano rapporti di simbiosi, lo usano come nutrimento o come rifugio. I coralli sono fondamentali e sono la base della vita di ogni mare, una barriera morta significa che tutti i pesci, crostacei o molluschi che ci vivono non avranno più di che sostentare e spariranno insieme ad essa.
Detto ciò, il crescente fenomeno di sbiancamento dei coralli non è considerabile di per se come la morte di un’intera barriera corallina, ma come un gravissimo sintomo di malattia. La maggior parte dei coralli costruttori di barriera possiede un’alga monocellulare che vive al suo interno chiamata zooxantella con cui ha un mutuale rapporto di simbiosi: questa micro-alga, effettua la fotosintesi, rifornendo in questo modo l’animale con cui è in contatto di nutrienti e gli dona la brillante colorazione tipica dei coralli di barriera. L’aumento di temperature del mare di anche solo un paio di gradi provoca una reazione da parte delle zooxantelle, che si ritrovano a vivere in ambienti non più ottimali per le loro funzioni vitali e che quindi abbandonano in massa il corpo del corallo che improvvisamente si ritroverà senza la principale fonte di nutrimento. Il corallo, divenuto bianco per l’assenza dell’organismo che gli forniva cibo e pigmentazione colorata, andrà lentamente a morire, lasciando dietro di se solamente un bianco scheletro calcareo inutile per l’ecologia della barriera. Il corallo sbiancato, teoricamente, può “recuperare la salute” con il raffreddamento dell’acqua, che comporta il ritorno delle zooxantelle, ma se le alte temperature non diminuiscono per diversi mesi, il corallo non può riprendersi ed il destino che lo attende è la morte sua e, a lungo termine, dell’ecosistema di cui fa parte. La gravità di questi sbiancamenti massivi riscontrati negli ultimi anni sta proprio nell’impossibilità del corallo di recuperare le forze.
L’esponenziale e documentato aumento degli inquinanti di origine umana, ha fatto si che ci fossero anni interi con temperature assolutamente superiori dal range stagionale che hanno provocato sbiancamento di ampissime zone della barriera corallina. Dopo gli incredibili anni di caldo del 1997 e del 2002, il 2016 è stato un anno dalla temperatura più distruttiva per i coralli della barriera australiana e con una ricerca pubblicata su Nature, Terry Hughes del Consiglio per gli studi sul reef australiano, ci da un’idea dell’entità del dato: oltre l’85% dei singoli reef australiani analizzati era sbiancato. Significa che la più grande barriera corallina del mondo è irrimediabilmente morta?
No, non ancora almeno. Queste ampissime zone di barriera fortemente malate o totalmente morte, danneggiate negli anni dallo sbiancamento, possono riprendersi, ricolonizzare o generare nuovi individui nel giro di una quindicina di anni se le temperature si mantengono nella norma. Purtroppo però, queste ondate di caldo sempre più lunghe, sempre più frequenti e sempre più distruttive non accennano a diminuire. Le dosi di inquinanti già immesse in atmosfera e quelle che si prevede verranno immesse, portano ad ipotizzare uno scenario in cui i reef non avranno più modo di recuperare, subendo fenomeni di sbiancamento irreversibili e giungendo alla morte definitiva dell’intera barriera. L’unico modo per poter arginare questo fenomeno (che si prevede raggiungerà un apice nel 2050) non è solo diminuire più che drasticamente le quantità di inquinanti in atmosfera, ma anche andare ad intervenire direttamente sulla tutela ed il recupero di questo ecosistema fondamentale per la vita dell’intero oceano, salvandolo da una morte più che mai vicina. E voi cosa ne pensate?