Non è il sangue, da solo, a fare un buon horror. Ci vuole lo stile. La Fame, il nuovo graphic novel di Ottocervo (marchio a fumetti di Antonio Mandese Editore) che vi raccontiamo in questa recensione, lo capisce bene. Basato sul racconto di Rolando Frascaro, con testi di Maurizio Cotrona e con i disegni di Federico Perrone, sembra darci solamente l’essenziale. Personaggi di cui scopriamo poco e poco alla volta, poche righe di dialogo e tre colori soltanto. Eppure, come le migliori storie horror dal gusto pulp, ci costringe a girare le pagine fremendo. Per arrivare a un finale inevitabile e terribilmente delizioso. Regalandoci anche diverse emozioni complesse, in mezzo all’orrore. Anche perché al centro c’è una relazione forte: quella fra una madre e una figlia. Con una fame che non si può saziare, se non in modo mostruoso.
La nostra recensione de La Fame
I macarons rossi per il capo, quelli rosa per le “donnine” dell’ufficio. Il graphic novel si apre in un pasticceria nel New Mexico, nel 1971. Fra le donne dietro la scrivania c’è Dorothy Crumber, arrivata da poco ad Albuquerque. Il capo le chiede se anche sua figlia Becky apprezzerà i dolcetti francesi. E Dorothy non ha dubbio: “a mia figlia piace tutto, signor Banninton“. E non è solo un modo di dire.
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Il direttore della scuola di Becky, Samuel Norton, convoca Dorothy spiegandole che la bambina ha un appetito che sembra non poter saziare mai. Mangia in continuazione e Dorothy capisce che il problema è lo stesso che aveva il padre della bambina, ora scomparso. Ha fame di carne umana e sete di sangue. Una patologia mostruosa – anche se a soffrirne è la sua bambina.
Come comportarsi se la propria figlia ha una fame mostruosa? La sceneggiatura fatta di azioni più che di parole e l’ispirato taglio registico di questo graphic novel mostrano in maniera chiara che l’amore di Dorothy per Becky vale molto di più della sua morale. Ma non rinuncia nemmeno a mostrarci quanto ogni sua decisione sia combattuta, pur senza scadere nel melodrammatico.
Ma non è solo Becky ad avere questa fame cannibalesca. Dorothy metterà sua figlia davanti a tutto per farsi aiutare nel saziare questa fame immonda. Anche se nel corso del romanzo grafico, fulmineo per rapidità e potenza, scopriamo che il fatto che sia disposta a scendere a compromessi non significa che lei sia debole. L’amore pe Becky la rende colpevole, ma può anche trasformarla nell’eroe di cui questa storia ha bisogno.
Pochi colori, tante sfumature
Il rosa e il rosso, controbilanciati dal‘azzurro e dal nero, riempiono quasi tutte le pagine di La Fame, una scelta che abbiamo ammirato durante questa recensione. Perché costringe a giocare con le sfumature, che rendono dinamica anche la trama. Dove tutti sono mostri, eppure si riconoscono i “buoni” dai “cattivi”.
La premessa di questo graphic novel è terribile: una bambina ha una fame cannibalesca, da vampira. Ma basta questo a renderla un mostro? Il tipo di storia che avrebbe incantato i lettori di un pulp magazine americano qualche decennio fa – e in molte pagine ci sembra che gli autori vogliano richiamare in parte quello stile, specie quando vediamo i “veri” mostri all’opera.
Ma quando vediamo Dorothy e Becky insieme, la storia diventa più moderna – e umana. Vediamo una donna che teme “che cosa” può essere sua figlia. Ma che sa esattamente “chi” è. La paura di fronte all’orribile fame che alberga in lei non può sparire, ma Dorothy la mette da parte quando gioca con Becky, quando si prende cura di lei.
E noi lo percepiamo chiaramente: seppur lo stile resti coerente, la differenza nelle inquadrature e nei colori rende le scene familiari completamente diverse da quelle “mostruose”. Senza bisogno di troppe parole, capiamo tutta la dinamica della storia – la vera forza di un graphic novel scritto bene.
Recensione de La Fame: dal rosa al rosso
La sceneggiatura volta all’azione, senza spiegazioni se non quelle essenziali, aiuta a dare alla storia uno stile preciso e a far sentire di più ogni colpo di scena. Ma quello che ci ha più colpito nel leggere La Fame per questa recensione è la padronanza completa del disegno – e soprattutto del colore.
In una storia sanguinosa, il rosso non può che avere un ruolo centrale. Ma gli autori lo rendono un tema chiaro e semplice da seguire, con tanto di richiamo in prima e ultima pagina. Il rosso non è solo il colore del sangue, ma quello del potere.
Potere che agisce spesso nelle forti ombre che il disegno di Perrone bilancia con grande sicurezza, alternando pannelli a tinte uniche e forti, da gusto contemporaneo, con ambienti pieni di dettagli e chiaroscuri tipici degli horror magazine di qualche decennio fa. Mostrandoci due mondi distinti eppure complementari.
Il rosa dei capelli di Becky è tuttavia l’elemento essenziale, perché quasi rosso – eppure opposto. Un’innocenza precaria, attratta dal colore scarlatto del sangue, tanto potente e terribile. Ci ha colpito anche l’attenzione all’uso del rosa nei ricordi di Dorothy, disegnati con tratto sognante. Ma anch’essi tendono al rosso quando la purezza del sentimento lascia lo spazio alla cruda realtà.
Una storia che fa trattenere il fiato
Al di là di tutte le considerazioni sui colori e le scelte registe, sulla sceneggiatura essenziale ma decisa, il punto è che La Fame funziona. Tutti i nostri ragionamenti (forse sofismi) sul “perché” funzioni nascono dal fatto che, una volta iniziata la lettura, non abbiamo saputo smettere fino alla fine. E avremmo voluto continuasse, anche se il finale chiude in maniera semplice eppure potente tutti i fili della trama. Forse avremmo semplicemente voluto che gli autori continuassero a raccontarci un’altra storia. Perché in un horror conta lo stile e gli autori di questo graphic novel lo hanno dimostrato.
La Fame è una di quelle storie che stregano con lo stile, che fanno venire fame di altre storie. Una fame che sappiamo di non poter saziare. Anche se questo graphic novel è un piatto delizioso. E al sangue.
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