Oggi voglio descrivervi uno scenario inquietante.
Si tratta di una situazione angosciosa, in grado di precipitarvi in uno stato di ansia e vacuità prossimo alla catatonia, che suscita in voi tormentose domande che fino a quel momento avete saputo tenere a bada in un angolino del vostro più recondito strato del subconscio: che ci faccio qui? Che senso ha tutto questo? Come posso dare significato alle mie giornate?
E intanto le ore si trascinano, insipide, senza portare alcuna gratificazione, e non resta altro da fare se non passare in rassegna la propria vita, soppesando le proprie esperienze, alla disperata ricerca di qualcosa, qualsiasi cosa, che possa aiutare a portare luce in tale oscura situazione, ma inevitabilmente si fallisce e si ricade ancora più nel profondo di un circolo vizioso che divora ogni speranza.
Sono sicuro che chiunque di voi si è trovato nella situazione di cui parliamo oggi. Qual'è questa situazione così drammatica? Oh, è presto detto.
Sto parlando di quando internet smette di funzionare.
E' capitato a tutti prima o poi, e senza dubbio anche più di una volta. Si tratta di uno dei momenti più bui che l'uomo moderno possa trovarsi ad affrontare, il quale diventa sempre più buio man mano che ci si rende conto che senza internet nulla, o quasi, è più come prima. Torna quindi alla mente il lavoro della dottoressa Kübler Ross, il suo modello a cinque fasi per l'elaborazione del lutto, che nella sua originale formulazione riguardava esclusivamente le persone a cui fossero diagnosticate delle malattie terminali. L'assimilabilità dei due scenari è evidente.
Innanzitutto vi è la fase della negazione, in cui ci si rifiuta di cedere alla drammatica realtà di dover fare a meno di internet: “ma no, non è possibile, mi hanno assicurato che è tutto a posto”, “ma sì, è normale, ora si aggiusta tutto”…suonano familiari? Quando però ci si rende conto che no, non è tutto a posto, si arriva alla seconda fase, la rabbia. Innanzitutto indirizzata contro il provider di turno, colpevole dell'efferato crimine, ma ben presto si espande ovunque ci siano dei bersagli: amici (soprattutto quelli con una connessione funzionante!), fratelli, genitori, divinità. E' il momento in cui è più facile sentirsi dire frasi come “cosa vuoi che sia, qualche oretta senza internet”, oppure, peggio ancora: “meglio! Così ti stacchi un po' da quel computer!”. Frasi irrazionali e irragionevoli, che hanno come unico effetto l'esplosione ancora più furibonda della rabbia.
A seguire, è inevitabile che ci si renda conto che urlare e arrabbiarsi contro bersagli randomici non aiuterà a risolvere la situazione, quindi lentamente si scivola verso la terza fase, quella della negoziazione: si cerca di convincersi di avere qualche tipo di potere, di non essere semplicemente condannati a subire gli eventi (a me piace anche chiamarla la fase dell'ingenuità sconfinata). Si tenta quindi tutto il tentabile: “se stacco il ricevitore USB/se riavvio il computer/se stacco la spina del router/se aspetto qualche minuto, andrà tutto a posto”. Quando nulla di tutto questo ha il benchè minimo effetto si passa ad un altro tipo di contrattazione con la situazione: ci si cerca di convincere che in fondo non è nulla di così grave: “leggerò un libro”, “magari vado al cinema”, “metto su un dvd”. Questi sono sforzi nobili e valorosi, ma si scontreranno inevitabilmente con la realtà, e la realtà è che internet serve anche quando non serve: per andare al cinema serve controllare gli orari, e la visione di un dvd o la lettura di un libro fanno spesso nascere delle domande a cui è necessario rispondere subito: “che altri film ha fatto quell'attore?”, “quali altri libri compongono il ciclo che sto leggendo?”, e così via.
La mancanza di internet si fa sentire, e più la consapevolezza di questo fatto diventa chiara, più la quarta fase, quella della depressione, si avvicina. E' il momento più basso che possiamo raggiungere: ci convinciamo che è inutile ribellarsi all'idea che la nuova condizione di uomo scollegato dalla rete possa essere permanente. Tutte le nostre idee per ingannare il tempo perdono significato, perchè sono pensate come soluzioni temporanee, non permanenti. Quindi ci rassegniamo a provare ad usare il computer nonostante tutto e finiamo ad imbruttirci giocando a videogiochi single player, buttando via ore etichettando e rinominando la nostra collezione di mp3 o di film, usando Openoffice per scrivere romanzi o addirittura…spegniamo tutto e guardiamo la tv.
L'ultima fase, quella dell'accettazione, molto spesso non la arriviamo nemmeno a raggiungere. Questo dipende interamente da quanto tempo dura la sciagurata mancanza di connessione: personalmente, ho bisogno di un paio di giorni anche solo per superare la fase della rabbia.
Dico un'ovvietà, naturalmente, ma internet, ormai, è diventato davvero qualcosa di necessario, di vitale, di irrinunciabile. Il dibattito sull'opportunità di elevare l'accesso ad internet ad un vero e proprio diritto umano, concetto che personalmente trovo assolutamente condivisibile, è molto acceso in tutto il mondo, ed è notizia di pochi giorni fa che la Corte di Giustizia Federale tedesca ha acconsentito alla richiesta di un uomo che non ha potuto accedere a internet per due mesi (a causa, ovviamente, del suo provider) di essere risarcito ulteriormente (cioè, oltre al risarcimento a lui dovuto a causa del mancato adempimento di un contratto), sulla base del fatto che internet è da considerarsi una “parte essenziale” della vita, al pari di vestiti, cibo, casa, lavoro, tempo libero. Una decisione radicale ed interessante, che sta facendo parlare molto. Voi cosa ne pensate?
Per toccare anche il tema della dipendenza da internet, per proporre un angolo un po' meno ovvio e più inquietante alla questione, e perchè è una bellissima canzone, come Colonna Sonora Consigliata di questa iterazione ho scelto Down to Earth, di Peter Gabriel, dalla colonna sonora del mio amatissimo Wall-E.