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Intervista ad Amedeo Balbi: cos’è la vita nell’universo? (2/2)

Eccoci alla seconda parte della nostra chiacchierata con Amedeo Balbi, astrofisico e divulgatore, per farci raccontare qualcosa in più sul recente annuncio della NASA, e sulla vita nel cosmoQui trovate la prima parte dell'intervista.
Appunto due delle caratteristiche che incuriosiscono di più di questo sistema sono a) che sono tutti pianeti rocciosi e b) che sono così vicini alla loro stella, entrambi aspetti che lo differenziano molto dal nostro Sistema Solare. Eppure la stella di TRAPPIST è di una tipologia più comune del sole. Cosa significa questo? 

Questo è un altro aspetto interessante. Quello che si pensa è che questi pianeti si siano formati molto più lontani dalla stella, e poi siano migrati. Dagli studi fatti sin’ora si pensa che i pianeti non rimangano sempre dove li vediamo ora, e dove si sono formati. Si formano tipicamente dove c’è più materiale, nelle regioni più esterne, dove magari è presente più ghiaccio oltre alle componenti solide, quindi è più facile che un pianeta in embrione riesca a mettere su massa. E poi da una regione più esterna avvengono dei mescolamenti nell’orbita che li portano a migrare a regioni più interne. Se questo è vero, dunque, essi potrebbero essersi formati in una regione dove era presente del ghiaccio, e potrebbero quindi contenere dell’acqua, passata allo stato liquido avvicinandosi alla stella. Però, di nuovo, queste sono supposizioni. Abbiamo delle informazioni sulla risonanza delle orbite planetarie, che ci fanno pensare che il sistema sia abbastanza “vecchio” da aver avuto il tempo di mettere in atto questo meccanismo. 

Il fatto di aver trovato questi pianeti nella zona abitabile di una stella di una tipologia così comune, ed è un punto che hai trattato anche nel tuo libro, ci dice qualcosa sulla probabilità della vita? Ci può spingere nella direzione di supporre che la vita non sia un evento unico?

Stiamo cercando di mettere assieme i pezzi e stiamo andando un passetto alla volta, questo è importante da ricordare. Intanto abbiamo capito che i pianeti sono comuni, in generale, già questa non è una cosa scontata. Io sono sempre sorpreso quando sento “vabbè ma che ci importa, sapevamo già che c’erano pianeti attorno ad altre stelle”. No, non lo sapevamo già. La scienza si basa sul dato empirico, tu puoi fare delle supposizioni. E non è neanche vero che si è sempre pensato che i pianeti fossero così frequenti attorno alle stelle. Anche all’inizio di questo secolo c’erano dei modelli di formazione planetaria che davano una probabilità bassissima che si formassero pianeti attorno alle stelle, perché erano richieste collisioni gravitazionali fra di esse. E si era calcolato che questa cosa era molto improbabile, e quindi molto improbabile che si formassero pianeti.
Ma anche ammesso che uno abbia questa certezza teorica, la scienza non si basa su quello che credi, ma sull’esperienza. Abbiamo capito quindi che i pianeti ci sono, e che ce ne sono tanti, piccoli, rocciosi nella zona abitabile. Quindi, possono esserci tanti buoni candidati per essere luoghi in cui la vita avrebbe potuto avere inizio. 
Quello che manca però, ed è la cosa veramente difficile, è che noi non sappiamo quanto sia automatico questo scalino ulteriore. Non è detto che un pianeta sotto certe condizioni porti alla formazione della vita. Questa è una cosa su cui veramente non sappiamo nulla. La vita è molto complicata da definire, e noi abbiamo soltanto un caso da studiare, la Terra. Trovare anche semplicemente un altro esempio cambierebbe completamente la situazione, darebbe una scala delle probabilità. Ci servono dei limiti empirici per definire questa probabilità, che ora non abbiamo, la vita potrebbe essere un evento comunissimo, come improbabilissimo, e non ne abbiamo idea. Dal punto di vista scientifico non sappiamo nulla, anche se sul fatto che esistano dei luoghi potenziali abbiamo fatto molti passi avanti.

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Da quando ne hai parlato nel tuo libro, ci sono stati dei sostanziali passi avanti? Aspetti osservativi in cui si sono aperte delle porte?
Non è cambiato tantissimo, ma non è nemmeno passato tantissimo. Tuttavia è interessante notare che è passato meno di un anno dall’uscita di “Dove sono tutti quanti?”, e soltanto in questi pochi mesi abbiamo scoperto un pianeta in zona abitabile attorno alla stella più vicina, Proxima Centauri, e ora questo altro sistema con 7 pianeti. Quindi questo è un campo in cui le cose cambiano rapidamente. Per esempio ieri mi intervistavano e mi chiedevano “adesso devi aggiungere un capitolo al libro? Sono cambiate tante cose.”, e io come battuta rispondo di sì, ma in realtà dobbiamo essere consapevoli, e trasmettere il messaggio che queste cose non avverranno mai dal giorno alla notte. Ogni volta che c’è una notizia di questo tipo una parte di me dice “wow, magari ci siamo”, però la parte razionale di me, lo scienziato, sa benissimo che non può andare così. Non andrà così perché una cosa del genere non la puoi capire nell’arco di una notte. Lo scenario ipotetico è che trovi effettivamente un pianeta simile alla Terra, poi devi capire com’è l’atmosfera, solo per capire quello ci vogliono anni di osservazione. Tempo fa c’è stato il caso di Kepler 452-b: un pianeta con un periodo orbitale uguale a quello della Terra, una massa simile a quella della Terra, in orbita attorno a una stella con la stessa massa del Sole, e alla stessa distanza dalla sua stella. Quindi tutti “abbiamo trovato il gemello della Terra”. No, perché anche di quel pianeta non sapevamo ancora niente, e tutt’ora non sappiamo niente e non lo sapremo per i prossimi almeno 5 o 10 anni, finché non avremo gli strumenti per caratterizzare l’atmosfera. Quindi, realisticamente, sappiamo già che le cose non cambieranno dal giorno alla notte. Stiamo andando un passettino alla volta, ed è così che avviene il progresso scientifico. Poi arriverà il momento critico in cui avremo messo assieme tante cose e ci sarà il balzo. Ma anche nello scenario più ottimistico: pianeta terrestre, becchiamo dei gas tipo ossigeno e metano nell’atmosfera, associati sulla Terra ad attività biologica, avremo una probabilità più alta, ma non la certezza. 

Quindi, concludendo su TRAPPIST, quali sono i prossimi step: l’atmosfera? Scoprire se c’è dell’acqua?
Dunque, sicuramente una serie di osservazioni successive, per cercare di osservare l’atmosfera. Una cosa tutt’altro che immediata. So che c’è già un tentativo di analisi da parte del telescopio Hubble, ma sono spettri della stella, ancora siamo lontani dal vedere l’atmosfera dei pianeti. Poi ci sarà il James Webb Space Telescope fra un anno se tutto va bene, e sarà un nuovo strumento che ci permetterà di vedere cose nuove. Non sappiamo però del tutto definire ora quali saranno la sua precisione e le sue potenzialità. Anche perché la difficoltà dipende da quello che trovi, ci sono casi più facili da analizzare di altri, e ora sappiamo troppo poco per sapere quanto sarà difficile studiare questo sistema planetario. Il prossimo step quindi è la caratterizzazione, e questo è un discorso che vale in generale per gli esopianeti: stiamo passando dalla fase della scoperta degli esopianeti alla fase della caratterizzazione, ovvero capire meglio quelli che già conosciamo.

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Giada Rossi

Laureata in Astronomia, aspirante Astrofisica. Curiosa di natura. Scrivo soprattutto di scienza, ma preferisco parlare di cani buffi.

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