Il mondo nuovo

Oltre il finestrino, tenuto chiuso per lasciare fuori il freddo, si vedeva solo il buio. 

Il buio e la neve.

L'oscurità era tale che ogni fiocco pareva una lucciola che cadeva come danzando, prove di un balletto in vista della prima a teatro.

Il ronzio di sottofondo, tra il chiacchiericcio delle persone nella carrozza, la metallica voce registrata che annunciava il nome delle varie fermate, il cigolio del metallo affaticato dal peso che doveva trascinare per chilometri, era quasi una melodia che conciliava il sonno.

Il ragazzo si chiese, guardando fuori, se avrebbero fatto ritardo. Non poteva pensarci. Per vederla era in grado di aspettare settimane, nel peggiore dei casi un mese intero, ma anche solo cinque minuti in più dopo essersi già messo in viaggio sarebbero stati un dolore fisico insopportabile. Si agitò nella cuccetta scomoda, anche se non aveva di che lamentarsi pensando ai posti ordinari, costantemente illuminati dalla luce spietata del corridoio, impegnata a bruciare gli occhi già stanchi. 

Amava e odiava quel treno. 

Lo amava perché lo portava da lei, lo odiava per la stessa ragione.

A dispetto di tutto però era tranquillo, addirittura rilassato, e questo lo stupì perché era da tanto che non si sentiva così in pace, niente emicrania, nessun digrignare inconscio dei denti, nessuna voglia di scatenare una rissa dal nulla. 

Scosse la testa e si sporse oltre il sedile; mentre prendeva il libro dalla sacca, una ciocca dei suoi lunghi capelli castani gli scivolò sul viso a coprire l'ombra di un sorriso.

Da una vita voleva leggere quel romanzo ma non gliene era mai capitata l'occasione poi, un giorno, l'aveva trovato incartato con le pagine di un giornale e accompagnato da un biglietto scarabocchiato con poche frasi incomprensibili… Lì, sul tavolo della cucina, di fianco ad una tazza di caffè fumante.

“L'ho letto prima di impacchettarlo” gli aveva detto, con il sole le scivolava sul volto illuminando quella sua aria furba, quella che aveva sempre quando era convinta di aver infranto qualche fastidiosa non scritta regola sociale.  Quante volte aveva visto quell'espressione sapendo cosa sarebbe accaduto dopo; si ricordava anche la prima volta che era capitato, quando ancora non sapeva cosa avrebbe dovuto aspettarsi.

Lei lo scuoteva, completamente.

Aprì il libro e avvertì il profumo della pelle di lei, profumo di sole e spezie.

Sentì la sua risata sfogliando le pagine, così sgraziata a volte ma piena di una tale gioia che era impossibile resisterle.  E lui adorava farla ridere. 

Adorava quelle piccole rughe che le si formavano agli angoli degli occhi ogni volta che sorrideva. 

Stringeva il libro e pensava che, dio, avrebbe potuto passare intere giornate a guardarla arricciare il naso quando era assorta nei suoi pensieri, mentre mordeva distrattamente il tappo della bic, o mentre nervosa si tirava l'orlo della maglietta per togliere delle pieghe immaginarie.

Ora quello stesso libro divorava il tempo e lo spazio, li azzannava in silenzio, per non disturbarlo e intanto lo distraeva con la sua storia, avvolgendolo in un bozzolo sicuro. 

Lesse fino a che non iniziarono a dolergli gli occhi, appoggiò gli occhiali sulla mensola, e con un sospirò poggiò la testa per riposare un istante, mentre il vociare dei passeggeri si faceva sempre più distante. Quando un paio d'ore dopo si risvegliò aveva il libro aperto sul petto, una pagina spiegazzata che subito si assicurò di sistemare. 

Lo chiuse e ne guardò la copertina….

Solo lei poteva regalargli “Il nuovo mondo”. 

Riprese a leggere e andò avanti a lungo,  mentre il treno correva dritto verso l'alba.