https://www.youtube.com/watch?v=VwSCJMcA8uM
Azione
«Cos’hai portato?»
«Una descrizione de Il Metodo Kominsky».
«Perfetto, l’attenzione è tutta tua».
Il Metodo Kominsky (The Kominsky Method) è una serie televisiva statunitense ideata da Chuck Lorre, rilasciata a livello internazionale su Netflix il 16 novembre 2018. La serie racconta la storia di Sandy Kominsky (Michael Douglas), un attore con una discreta carriera alle spalle, che adesso lavora come maestro di recitazione ad Hollywood. Al suo fianco troviamo Norman Newlander (Alan Arkin), suo agente e migliore amico, che deve affrontare la perdita della moglie dopo una lunga malattia. La storia parte da questi due elementi, dipanandosi poi per otto puntate da mezz’ora ciascuna, coinvolgendo i personaggi secondari in una tragicomica rappresentazione dello scorrere del tempo, vista dal punto di vista di due brillanti attori in gran spolvero.
«Bene, ma vorrei risentirla. Stavolta più personale».
«Più personale?»
«Si. Liberati dalle ferree regole della descrizione, interiorizza il discorso e fallo tuo. Poi rigettalo come lo racconteresti tu, e solo tu».
«Riproviamo».
Rifacciamo: da capo
Prendete due attori premi Oscar come Michael Douglas e Alan Arkin, un autore che della commedia televisiva se ne intende come Chuck Lorre, e dategli la libertà d’azione tipica delle piattaforme streaming. Il risultato sarà un’insolita commedia dai toni malinconici, fatta di battaglie dialettiche, ripicche, frecciatine e riflessioni sullo scorrere del tempo, in una quotidianità disarmante quando vera.
Sandy Kominsky è un attore che ci prova. Ormai disilluso sulle possibilità concrete che la vita potrebbe offrirgli ha trovato la sua cablatura nella sua classe di recitazione. Lì è stimato e può scappare dai problemi personali che lo attanagliano, sentendosi di nuovo apprezzato e utile. Era un eterno Peter Pan che è dovuto crescere senza però averne mai avuto davvero intenzione. Spera sempre di riuscire a rimandare, farla franca, e quando la morte si intrometterà nella sua vita, attraverso la perdita di una sua cara amica, dovrà fare i conti con l’età e tutti i problemi che si porta con sé.
Norman Newlander è il suo migliore amico e agente. È l’esatto opposto di Sandy: elegante, composto, con il giusto mordente cinico e innamorato di una sola donna per tutta la vita. Quando morirà, Norman dovrà mettere in discussione gran parte delle sue certezze e provare a ricominciare. La sfida per lui non sarà l’età, bensì le conseguenze di una perdita a quell’età. Il vero motore della serie sta tutto qui: morte e vecchiaia.
E per guidare questa serie, niente di meglio di due attori apparentemente alla fine della loro carriera, che ricordano a tutti quando possano essere splendenti. Le puntate si mantengono grazie ad una scrittura dinamica e frizzante, fatta degli scontri dialettici fra i due attori. Due caratteri così diversi seduti allo stesso tavolo in una seduta d’improvvisazione. Applausi. La serie non ha una vera e propria trama, se non qualche filo conduttore a unire il tutto, eppure la sensazione di riuscito urla forte alla fine dell’ottava. Non si tratta di puntate spezzoni con risate in sottofondo, ma piuttosto di una vera descrizione della quotidianità nella sua cruda realtà: frenetica, casuale e non sempre seguente un copione. Questa serie è tanto complessa quanto risulta semplice.
Sul finale
Scorre leggera, puntata dopo puntata, con l’ingresso di tutti i comprimari: Mindy, Phoebe e Lisa su tutti. Due figlie, completamente diverse e una studentessa per cui Sandy si prende una cotta (per scoprire chi è chi guardate la serie). Entrano con tale naturalezza come succederebbe se una mattina qualcuno suonasse il campanello di casa. Portano argomenti, scompiglio e poi spariscono. Una normale giornata di vita.
Senza una direzione precisa quindi Il Metodo Kominsky trova la riuscita nei suoi due capitani che trainano la serie con la loro presenza scenica. Una narrazione tanto vera quanto intima, portata da due maschere di rughe carismatiche, affascinanti ed invidiabili. Racconta la terza età senza l’uso di banali stereotipi, senza prendersi davvero sul serio, ma mantenendo il rispetto per l’unica regola che conta: “the show must go on”.
«Andava bene?»
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