Il commento di Mattia (Russo): Il diritto di essere idioti
Personalmente sono un idiota. Ho un innata predisposizione ai guai di ogni sorta, ma nonostante ciò, non ho mai pensato alle conseguenze delle mie azioni, divertendomi nei modi più disparati e facendola franca più volte di quanto avrei dovuto. Non sono ancora stato messo alla gogna è questa è una fortuna.
Una volta essere un idiota era un tuo diritto personale, unico dell’individuo, riservato solo a te stesso. Con l’avvento di Internet, e più precisamente dei social network, questo diritto è d’improvviso diventato universale. Strappato dalla propria casa e gettato nella piazza pubblica della rete, dove la massa è sempre pronta alla colpevolizzazione mediatica, dove vi è accanimento punitivo oltre misura, dimenticando la differenza tra giustizia e punizione. Una passerella di vergogna che farebbe lezione al Credo dei Sette di Westeros. Perché la verità è che ti è permesso essere un idiota a patto che non ci siano prove da usare contro di te in futuro. Verba volant, scripta manent.
Attenzione: non voglio giustificare il comportamento un idiota. Capire che essere un personaggio pubblico ti espone a molti rischi è compito tuo. Sapere che ti vengono addossate più responsabilità del normale cittadino è compito tuo. Saper gestire una crisi, anche inaspettata, è compito tuo. Nessuno è perfetto, ma se ti trovi sotto i riflettori le tue imperfezioni si noteranno di più. La candela che vale il gioco in questo caso. I social media sono la nuova democrazia, dando parola ai colti e agli imbecilli, ma mentre i primi pensano prima di scrivere, i secondi scrivono e poi, forse, pensano. Il problema è che il loro messaggio arriva sullo stesso schermo di chi legge, perdendo la fondamentale interazione faccia a faccia, necessaria a contestualizzare la persona. Non li riconosci gli uni dagli altri e la tua idea finisce per perdersi nel fiume della massa. Scoperchiare le ante dell’armadio alla ricerca del cosiddetto scheletro è una tattica antica di secoli. Conosci il nemico e te stesso, la vittoria è sicura, lessi tempo fa nell’Arte della Guerra.
La caccia al tweet è diventato uno sport a cui partecipano migliaia di persone e vengono incoronati tutti campioni. Non importa se il messaggio sia vecchio di anni, se l’idiota, in questo caso, sia cambiato o abbia già fatto ammenda. Si prende il tweet e si rimette in piedi il tribunale. Un processo basato su una prova, la più importante, senza considerare tutti gli altri elementi del caso. Criticanti da tutto il mondo uniti dal desiderio d’approvazione della piazza, composta da profili sconosciuti, con la falsa speranza di perpetrare una buona azione. Non c’è niente di più patetico e triste per me nella società online d’oggi. Sperare di lavare le proprie colpe scovandone di maggiori negli altri non renderà il mondo un posto migliore. Nessuno è esente dallo sbaglio. Ai più fortunati non verrà rinfacciato. Il vero pericolo è però questa tendenza a rovistare nel cestino passato delle personalità pubbliche che potrebbe avviare una generale escalation destabilizzante, obbligando i più a perdere quella libertà così tanto osannata dalla tecnologia.
Perché un conto è obbligare a pensare prima di postare e un altro è obbligare a temere cosa postare. La vera vittoria degli sbagli è imparare da essi, ma se ad un società togli questa possibilità, o peggio la condanni, allora non rimane che la maschera di un finto perfezionismo. Sbagliare ha permesso all’umanità di evolversi. Le più grandi scoperte vengono proprio da uno sbaglio. E condannare uno sbaglio per cui si è già scusati soltanto perché la luce illumina più forte crea un precedente. Chi è senza peccato, scagli la prima pietra. La verità è che i social network hanno azzerato la nostra zona di privacy e ormai anche essere idioti non è più un diritto personale. Meno male che sono un idiota senza un account Twitter.
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