Passati due anni dall’avvento di Baldur’s Gate, il meraviglioso GDR per pc che aveva mostrato al mondo un diverso modo di giocare, nell’Anno Domini 2000 sugli scaffali apparve Icewind Dale, nuova pietra miliare del genere, una perla da inanellare nel vasto diadema del fantasy e da vedere e rivedere anche a distanza di anni (non da molto infatti è stata lanciata la Enhanced Edition). Il gioco, impostato sull’ambientazione dei Forgotten Realms e “gestito” secondo le regole della Advanced Dungeons&Dragons, vedeva un gruppo di avventurieri battersi per restituire pace e tranquillità a Kuldahar, un villaggio druidico sito sul Dorso Del Mondo.
A catturare immediatamente l’immaginario del giocatore era l’atmosfera tipicamente nordica di Easthaven, luogo dove la storia aveva inizio, e del suo personaggio guida, Hrotgar, un guerriero in pensione ma ancora estremamente carismatico, ufficiale apripista per i nostri eroi verso un mondo su cui il male stava per imporsi nuovamente dopo essere stato debellato, anni prima, dal prode Jerrod, in cambio della vita.
Se la premessa a livello di trama non fosse bastata, a livello di gameplay l’impatto iniziale con Icewind Dale era un misto di sorpresa e ritrovamento di qualcosa di perduto, in grado di catapultare immediatamente il giocatore in un universo parallelo nel quale far vivere il proprio gruppo. Esatto, non un singolo personaggio, ma un party di avventurieri da creare e sviluppare a nostro piacimento andando a intersecare razze, abilità e classi, come nella migliore tradizione fantasy. Mettere il gioco in pausa semplicemente premendo la barra spaziatrice era il must per affrontare al meglio ogni battaglia, dalla più semplice alla più complessa, ed evitare che il nostro mago incenerisse il resto del gruppo a suon di palle infuocate.
Poi passarono gli anni.
Smantellata la Black Isle Studios, autrice già di capolavori come Fallout e Baldur’s Gate, o dello stesso Icewind Dale, questo settore subì uno stop clamoroso e nessuno ebbe l’ardire di cimentarsi nella realizzazione di un prodotto così complesso e così di nicchia. L’attenzione si spostò su giochi in grado di accalorarsi le simpatie dei giocatori di GDR tramite lo sviluppo di un singolo personaggio, talvolta guidato con visuale in prima persona, il che rendeva più dinamico l’approccio al genere, andando peraltro a coprire una più consistente fetta di mercato. Vincevano tutti, insomma.
Ma al di là dell’avanzare della tecnologia, dei motori grafici, e di altri aspetti che ci portano oggi quasi al realismo totale, Icewind Dale conservava una propria identità, così come Baldur’s Gate o “Planescape: Torment”. Un’identità che, ne eravamo certi, avrebbe presto o tardi portato a un seguito. C’era solo da attendere, e così abbiamo fatto, pazientemente abbiamo atteso.
Sapevamo che sarebbero tornati, prima o poi.
E da una costola di Black Isle Studios, Obsidian Entertainment creò Pillars Of Eternity.
Uscito il 26 marzo 2015, dopo un decennio di speranzosi silenzi, Pillars Of Eternity si presenta a noi come il futuro del nostro passato migliore. Va oltre le promesse, va oltre le aspettative, va in totale controtendenza col mercato videoludico mondiale. Sfruttando la potenza di nuovi meravigliosi fondali, il gioco ci regala un’esperienza mostruosamente vicina alla perfezione, sia per dettagli che per giocabilità.
Il sistema è estremamente simile ai già citati Baldur’s Gate e Icewind Dale, ma non è solo questo a convincerci: ogni scelta, ogni risposta data, ogni azione compiuta, possono generare un modo totalmente diverso di proseguire nell’avventura, cambiare il nostro background personale, riempirci l’inventario di oggetti altrimenti non reperibili. Una visione a 360° del gruppo.
Insomma, dopo aver “perso” Icewind Dale è come se il nostro figliol prodigo, armato di cuoio e buon intenzioni, fosse partito per un lungo viaggio e ne fosse tornato cavaliere in armatura dorata, pronto a sfidare chiunque.
In poche parole, Pillars Of Eternity annuncia il suo ingresso brandendo l’araldo del nuovo spartiacque tra il prima e il dopo, risultando l’Anno Zero della sua categoria. E gli appassionati di tutto il mondo, in qualche modo lo presagivano. Senza Palantir.
Basti pensare che la richiesta di Obsidian su Kickstarter, piattaforma di crowdfunding, era di un milione di dollari per sviluppare autonomamente il gioco. Gliene hanno dati quattro.
E’ come se un’intera branchia del passato, una schiera di fantasy-giocatori si fosse alleata per ritrovare l’artefatto perduto ed evocare il tempo che fu, un tempo disegnato per immergerci totalmente in un’altra epoca, in un altro universo dove fisica e tecnologia hanno ceduto il passo al misticismo, al ferro e alla magia.
Testi di Giorgio Michelangeli
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