Agonizzanti, putridi non-morti parzialmente decomposti che si trascinano alla ricerca di cervelli di cui nutrirsi: un fetore talmente tremendo da distruggerle l’olfatto, lamenti che gelano il sangue, viscere cascanti da rivoltare lo stomaco al solo sguardo… Sono zombie e sono ovunque. Nati dalle leggende haitiane e passati per i riti di magia oscura, la cultura e l’amore per gli zombie si sono letteralmente fissati nell’immaginario collettivo dopo “La notte dei morti viventi” di Romero, entrando prepotentemente nei cuori di tutti i cultori dei film apocalittici, spargendosi e fissandosi come solo le più gravi infezioni virulente riescono a fare. Nel tempo, questi affamati non-morti sono riusciti a conquistare sostenitori in tutto il mondo, fino alla più recente (e discussa) serie The Walking Dead che ci sta regalando non pochi spunti di conversazione. E quindi, spinti un po’ dall’inizio della sesta stagione ed un po’ dall’amore per il macabro che spesso si risveglia nelle vicinanze di Halloween, abbiamo deciso di festeggiare cercando risposta ad alcune delle domande più poste dagli amanti del genere: “Come “funziona ” uno zombie?” ” Sarebbe possibile averlo nella realtà?”.
E come spesso accade per questo genere di domande, c’è già qualcuno al mondo che ha formulato uno studio a riguardo. Tra le teorie più interessanti spicca quella di Steven Schlozman, professore di psichiatria alla Harvard Medical School, appassionato di non-morti al punto di guadagnarsi l’appellativo di Professor Zombie. Schlozman è autore di un finto paper scientifico (creato a scopo didattico) in cui analizza le differenze fra un cervello umano sano ed uno “zombificato”. Per lui, gli zombie, non sono corpi risorti ma bensì persone malate di una sconosciuta forma infettiva, che lui stesso crea e chiama Ataxic Neurodegerative Satiety Deficiency Syndrome (o Sindrome di Atassia Neurodegenerativa e Deficienza di Sazietà, la ANSDS), che va ad intaccare precise regioni cerebrali, provocando i classici sintomi dello “zombismo”. Secondo Schlozman , per quanto diversi possano apparire, zombie ed umani si differenziano per 4 caratteristiche comportamentali e fisiologiche principali: la camminata instabile, l’appetito, la rabbia e la stupidità. Secondo lui, questi comportamenti, tipici della visione classica dello zombie, sono tutti attribuibili ad un’unica causa, ovvero ad un difetto nel funzionamento del cervello umano, che ne va a modificare i comportamenti ed alcune funzioni basilari dell’individuo, mantenendo intatti però i meccanismi generali.
Ad esempio: sappiamo bene come l’unica cosa in grado di donare al genere umano una possibilità di sopravvivenza sia l’incapacità degli zombie di correre in maniera efficacie, coordinando movimenti complessi. Un’incapacità, secondo il Professor Z , attribuibile ad un grosso danno nelle funzioni del cervelletto. Quest’ultimo, insieme ai gangli basali interconnessi col lobo frontale del cervello, si occupa del coordinamento e della stabilità del movimento. Un danno od un mancato funzionamento di queste zone, mantiene nello zombie la capacità di camminare o rialzarsi, ma la rapidità, la complessità del movimento ed il bilanciamento generale del corpo viene perso, costringendo i nostri impacciati “vaganti” a dover allungare mani e braccia per ristabilire l’equilibrio.
Per quanto riguarda poi la fame insaziabile che caratterizza i non-morti, Prof Zombie ne attribuisce le cause ad un malfunzionamento dell’ipotalamo che coordina i meccanismi autonomi : come la termoregolazione corporea, il sonno o l’assunzione di cibo. Un danneggiamento di questa zona dovuta ad un qualunque fattore esterno, consentirebbe il proseguo delle funzioni corporee (come la comparsa del senso di fame), ma potrebbe inibirne la durata. Ed ecco che il nostro non-morto, si ritrova ad avere costantemente fame e non dover mai necessitare di una bella dormita. Con lo stesso meccanismo, Schlozman, spiega le altre due variabili attribuendo l’aggressività dello zombie ad un comportamento indisciplinato dell’amigdala, il centro primario delle emozioni, implicata nei sentimenti negativi come rabbia o paura. Riconducendo anche l’incapacità di compiere azioni complesse o di articolare un linguaggio, ad una inefficienza del lobo frontale, sede del sistema cognitivo e del ragionamento, che li riporta indietro ad una condizione cerebrale inferiore alle scimmie. In sostanza, Professor Zombie ha spiegato lo “zombismo” in modo scientificamente attendibile, attribuendo il tutto ad una malattia degenerativa altamente infettiva che colpisce il cervello, andando così a spiegare indirettamente anche il motivo per cui per uccidere un non-morto, bisogna colpirlo alla testa.
Se tutto questo lo andiamo ad unire ad alcune recenti analisi sulla possibilità (strettamente teorica) di una modifica dell’azione virale, l’esistenza di un “misterioso agente” che causa la ANSDS diventa un po’ meno fantascientifica. National Geographic, qualche anno fa, per il nostro stesso ludico motivo, ha intervistato alcuni microbiologi sulla possibilità di modificare il virus della rabbia: un agente trasmettibile attraverso morso di animale che va ad intaccare il sistema nervoso creando ansia, confusione, allucinazione e paralisi corporea. Sintomi simili a quelli dell’Atassia di Schlozman. A domanda “sarebbe possibile trasformare questo virus in qualcosa di più simile a quello di un’apocalisse zombie: con metodologie d’infezione più rapide e comportamenti più aggressivi?” gli esperti intervistati hanno risposto il classico “ni”: potenzialmente potrebbe anche essere possibile, ma non esistono studi a riguardo, mancano le tecnologie ed in questo caso anche le motivazioni.
Di certo però è impossibile riportare in vita i morti. Quindi, per quanto lo studio di Schlozman sia un’utile modo per avvicinare i giovani alla scienza (che poi sarebbe il reale intento), ci ha dato speranza e demolito al tempo stesso. L’idea che l’apocalisse zombie passi da “invasione-di-non-morti-che-ritornano-in-vita” ad “invasione-di-malati-altamente-infettivi-che-sembrano-zombie” non ci piace molto: gli zombie devono avere in un qualche modo la componente risurrezione per essere tali. Ma aspettate a buttare le accette, ferventi cultori dell’apocalisse, non tutto è perduto! Forse la scienza ci insegna che è impossibile far rivivere i morti e che QUASI certamente l’apocalisse zombie non arriverà. Ma abbiamo un quesito per voi: se un virus modificato tramite ingegneria genica può essere in grado di inibire determinate funzioni cerebrali e indurre gli umani vivi a gusci semivuoti, si può creare un qualcosa che si comporti al contrario?
Pensate a The Walking Dead: avere un virus che si innesta nel genoma, dove replica e rimane latente fino al momento della morte, quando poi si attiva andando ad utilizzare solo i circuiti neurali della ANSDS , rendendoci zombie. È davvero così incredibile? Voi che ne pensate?