Dopo Narcos, Eric Newman torna ad esplorare le acque torbide del narcotraffico, soprattutto all’apice della sua ascesa, tra la fine degli anni ‘70 e gli ‘80. Questa volta, però, a condurre le fila del gioco non c’è un uomo, ma c’è una vera e propria Regina della Droga. La Madrina, la chiamavano. Griselda Blanco. Tanto spietata quanto furba, mandate di centinaia di omicidi, temuta come pochi altri.
Una donna che non solo ha rivoluzionato la figura del ruolo femminile nel mondo della criminalità, andando oltre “l’archetipo” della vittima o della “fidanzata del boss”, ma che è divenuta ben presto tra le figure più importanti e pericolose del narcotraffico, generando uno dei cartelli più redditizi della storia. Newman si sarà replicato come in Narcos? E Sofia Vergara, in una veste drammatica tutta nuova, sarà stata all’altezza del compito? Approfondiamo in questa recensione di Griselda, dal 25 Gennaio su Netflix.
Griselda, la storia de “La Madrina” del narcotraffico
La mini serie TV di Netflix, composta da sei episodi molto densi, carichi di azione e scorrevoli, parte dalle origini di Griselda Blanco, madre di tre figli, ex-prostituta e costretta a compiere scelte e azioni difficili per salvare se stessa e, soprattutto, i suoi figli. Ma non lasciamoci ingannare troppo dalle apparenze! Per quanto la Griselda di Newman avrà più che modo di dimostrarsi – quasi – all’altezza della crudeltà della Blanco originale, l’adattamento presenta alcune libertà narrative un po’ romanzate.
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Nulla di eccessivo. Nulla che cambi drasticamente il personaggio o il corso della storia o che permetta un’eccessiva empatia, se non giusto per il primo episodio. Qualche cambio, però, c’è a cominciare proprio dalla partenza di questa storia: tutto comincia nel 1978 con Griselda scappata a Miami da Medellín, braccata dal cognato, con i suoi ragazzi ed un chilo di cocaina che spera le possa frutta qualcosa. La donna, infatti, nella sua disperata fuga ha un piano: spacciare la cocaina ai bianchi, alla classe americana più ricca e farsi un nome in quel mercato.
A differenza della storia originale, le spalle della Blanco non sono coperte da Escobar; anzi, Griselda non è coperta da nessuno. Si tratta di una donna – e già questo non fa deporre la credibilità a suo favore – giovane e madre, in un ambito di uomini e in un contesto storico estremamente maschilista e competitivo. Bruciarsi in fretta è più facile che riuscire a piazzare anche solo un grammo. Non puoi pretendere di controllare il traffico di droga di una grande città, comparendo quasi per caso, senza pestare i piedi a qualcuno.
Griselda, però, a differenza di tanti competitor che non hanno bisogno di combattere chissà quanto per affermarsi ed ottenere ciò che vogliono, ha dalla sua il suo essere discriminata. Sa bene cosa vuol dire non essere ascoltata, essere emarginata ed abbandonata a sé stessa. Ed è proprio da queste fratture, una grande capacità di osservare in prospettiva e, va detto, quel pizzico di fortuna che tanto basta, che ne trae la sua forza, la sua tenacia, ambizione e, soprattutto, la sete di vendetta e rivincita che l’ha poi resa la spietata “La Madrina”.
Non la solita storia di mala
Andando avanti nella recensione di Griselda, esattamente come era già successo con Narcos, Eric Newman e il suo team, riescono ad apportare diversi cambiamenti ad un canone stantio e logoro (soprattutto per noi italiani, completamente saturi dalle storie di mala). Per quanto in Griselda alcuni cliché siano inevitabili, dati soprattutto dall’arco di sviluppo della protagonista che non vuole mai essere eroina, ma neanche completamente villain, il racconto è per lo più centrato ed incalzante.
C’è un gusto estetico che a volte può sembrare effettivamente patinato, ma Newman e la regia di Andrés Baiz (già visto all’opera dietro la macchina da presa tanto in Narcos quanto in Narcos: Messico) sanno sempre sapientemente come inserire un contraltare subito dopo, senza mai scivolare nell’idealizzazione o nel romanticismo tossico.
Sei episodi potrebbero sembrare un po’ pochi per condensare la vita de “La Jefa”, della sua ascesa e dominio, in quel di Miami, con il rischio di velocizzare troppo e non dare spazio alla naturale evoluzione tanto dei personaggi quanto degli eventi; ma, in realtà, non un singolo minuto è stato sprecato o lasciato al caso.
La sceneggiatura è solida, la gestione delle tempistiche è perfetta tanto per quanto riguarda il ritmo della narrazione quanto per i dialoghi tra personaggi. Il susseguirsi delle scene è ben cadenzato, così come il livello di violenza che, proporzionale all’affermazione di potere – nonché dipendenza – di Griselda, sale esponenzialmente, andandosi a riflettere sul cambiamento stesso della protagonista e di chi le vortica attorno. La serie non si “sbrodola mai addosso”, le battute e scambi tra gli attori sono sempre essenziali, non ci si concede mai (o quasi) il superfluo.
La regola d’oro del “less is more” in questa serie TV viene letteralmente presa come legge, trascinando ancora di più in un turbinio oscuro lo spettatore, conquistandolo, sorprendendolo e, in alcuni casi, angosciandolo.
L’impronta di Narcos si sente assolutamente tutta quanta, elevando Griselda ad un prodotto di ottima fattura, sebbene qualche piccolo inciampo di tanto in tanto, come per esempio una sequenza di festa in rallenty che stona non poco con il tono generale dello show oppure il non approfondire completamente i ragionamenti alla base delle idee o piani di Griselda che danno un po’ l’impressione di “ispirazione folle”. Piccoli elementi derivati dal genere soap, trope del gangster movie o cliché legati all’essere donna tanto in un ambiente mafioso quanto in polizia – il contraltare di Griselda è, infatti, la detective Hawkins – che possono far storcere il naso ma non compromettono la resa finale della serie.
Il lato oscuro della sete di potere
Diventare “La Madrina”, però, rappresenta per Griselda anche la corruzione totale della sua anima. La serie ce lo mostra non solo in un cambiamento di atteggiamento, come l’aumento di tic nervosi, camminata più decisa e “pesante”, un maggior numero di sigarette fumate; ma anche estetico: rughe più profonde, capelli più corti, sguardo più sottile. Viene elegantemente messo in scena le conseguenze di una sete di potere a tal punto profonda, tenebrosa ed avvelenata da diventarne dipendente. Ironico per qualcuno che vive alle spalle delle dipendenze degli altri, no? No, forse no. Forse una ben più “semplice” conseguenza.
Griselda, esattamente come Escobar ed i grandi personaggi nel mondo della criminalità, sviluppa uno stato tale di paranoia e dipendenza – anche dalle droghe, rendendo la sua mente ancora meno lucida – dove chiunque attorno a lei potrebbe essere un suo nemico, perfino chi l’ha spalleggiato, le è stato fedele fin dall’inizio. Amore e amicizia non bastano più; anzi, non possono esistere in questo contesto. Il complotto, il nemico, la trappola sembra essere costantemente in agguato, portando Blanco a perdere, progressivamente, la sua lucidità, mettendo in pericolo tanto la famiglia quanto il suo impero.
La serie, del resto, non vuole essere una biografia nuda e cruda, quanto più un soffermarsi proprio sulle conseguenze del cedere “al lato oscuro del potere” e di come questo ti trasforma radicalmente. L’ascesa di Griselda Blanco nel mondo del traffico della cocaina a Miami è tanto complesso quanto spietato. E l’obiettivo di Newman, per quanto si sia già detto che più di qualcosa è stato romanzato, non è creare empatia con il personaggio interpretato dalla Vergara, né romanticizzarlo o fare di lei un’eroina, un modello di emancipazione da seguire.
Eric Newman restituisce “l’essere umani” a personaggi che troppo spesso vengono etichettati come “mostri” per poter quasi rassicurare chi guarda, legge e assorbe informazioni, che quelle persone non sono come loro. Ma la realtà è che sono esattamente come loro, come noi. Sono fatti di carne e sangue, ossa, pelle e quant’altro. Non sono creature nate in modo diverso, venute da chissà dove. Il vissuto e il contesto sociale possono avere un peso, ma non è una regola aurea. Al di là di tutto, sono le loro azioni ad essere mostruose, non la loro persona.
Newman quasi restituisce con il personaggio di Blanco, esattamente come era già stato fatto con Escobar, la responsabilità di azioni cruente, riprovevoli e prive di qualsiasi sentimento, all’essere umano. E di scene violente, sanguinose ed efferate ce ne sono!
Sebbene a volte Griselda possa sembrarci sul bilico di un senso di colpa, le sue scelte sono irremovibili. Lei e solo lei è la causa di quel male, del suo stesso male, rendendo il senso di colpa un elemento non sufficiente per provare dispiacere o empatia nei suoi confronti. I suoi comandi sono legge, a volte dati con lungimiranza ed un preciso pensiero dietro, altre volte date di istinto.
Un animale, quasi, tenuto per troppo tempo in gabbia, cresciuto in cattività, che una volta libero è talmente tanto affamato di libertà, potere e vendetta, da trasformarsi a sua volta in un carceriere ben più spietato. L’interessantissimo intento della serie è quello di mostrare un personaggio che è di base umano, senza giustificarlo con l’etichetta “mostro”, esplorarlo a tutto tondo anche nel suo senso di colpa – sebbene, a quanto pare, questo concetto fosse estraneo all’originale – ma senza mai renderlo pietoso e compassionevole agli occhi di chi guarda.
Addio Gloria, benvenuta Griselda
Concludendo questa recensione di Griselda, non possiamo fare a meno di soffermarci sulla “Reina” di questo show: Sofia Vergara. Farete fatica a riconoscere la ” solita” Vergara, soprattutto vista l’inevitabile associazione con la leggera, briosa e divertente (nonché super sensuale) Gloria di Modern Family.
Sofia Vergara coglie una sfida che ad una prima impressione potrebbe sembrare più grande di lei ma che, invece, con grande e piacevole sorpresa, vince a “mani basse”. Non parliamo semplicemente di un trucco prostetico che le cambia alcuni tratti somatici del viso; la sua trasformazione è totale, mostrando l’impegno massimo dell’attrice. Arriva dalla mente, continua nel corpo e, solo dopo, come ciliegina in più, si mostra sull’aspetto.
Ovviamente, parlando subito dell’elefante nella stanza, Vergara è molto diversa da come era la reale Blanco. Eppure, nonostante questo aspetto, riesce ad emularne alcuni atteggiamenti fondamentali, dalla camminata al modo di fumare, i tic delle mani, la presenza che mostra l’evoluzione e il cambio di un personaggio sempre più corrotto e crudele, a tratti anche imprevedibile.
Un po’ come è capitato a indiscusse star della comicità da Adam Sandler e Steve Carell, pur non arrivando ancora a quel livello per forza di cose, Sofia Vergara mostra il massimo del suo potenziale in un ruolo drammatico che, lo speriamo davvero tanto per lei, può dare una svolta decisa e più profonda alla sua carriera.
L’intero cast di Griselda si è mostrato degno del ruolo, creando il giusto stato di coinvolgimento, fascinazione e tensione nello spettatore, in modo particolare per l’interpretazione di Martín Rodríguez nel ruolo di Jorge “Rivi” Ayala-Rivera, il braccio destro armato della Blanco. Sensuale ed inquietante, inafferrabile e letale, Rivi è indubbiamente uno di quei personaggi che conquista fin dal primo secondo su schermo, immortalando Rodríguez in una delle performance più affascinanti mai apparse in una serie TV di stampo crime.
Griselda dal 25 Gennaio è disponibile su Netflix.
- Dauber, Henri (Autore)
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