Da quando abbiamo scoperto il modo per utilizzare nei nostri motori l’energia sprigionata dai combustibili fossili, il mondo è cambiato. Tutti i libri di storia ce lo insegnano: la rivoluzione industriale ha portato al mondo che conosciamo oggi, un futuro di crescita tecnologica e di benessere senza precedenti. Ma come in ogni bella storia, un lato oscuro si cela sotto una superficie luminosa ed ogni strumento dagli incredibili benefici porta sempre con se un prezzo da pagare.
Bruciando dinosauri
I combustibili fossili che per anni sono stati un nutrimento illimitato per migliorare la qualità della nostra vita, adesso minacciano di distruggerla, o almeno di modificarla, in modo sostanziale. L’eccesso di CO2 dovuta alle attività umane, ha portato ad un accumulo di gas serra tale da aumentare le temperature medie globali, con una rapidità ed un’intensità senza precedenti nell’intera storia terrestre.
Il conseguente scenario che si prospetta all’orizzonte lo conosciamo ormai bene: aumento di siccità ed ondate di calore, aumento di tempeste e tifoni con conseguenti allagamenti, distruzione del territorio, l’aumento di migranti climatici ed il drammatico calo di produzioni agricole, salute pubblica e risorse idriche. I ghiacci si stanno sciogliendo, il mare aumenta di livello, gli ambienti e le specie si stanno estinguendo ed anche la circolazione oceanica potrebbe modificarsi in modo irreversibile. Un futuro in sostanza, che trova nell’aggettivo apocalittico la sua miglior definizione.
I numeri del clima
Questi cambiamenti, in atto dal preciso momento in cui abbiamo cominciato ad estrarre ed utilizzare il carbonio fossile, sono destinati ad intensificarsi sia in entità che irreversibilità con l’aumento della temperatura. Gli scienziati concordano: la soglia da non superare è quella di +2° aggiunti alle naturali temperature pre-industriali, oltre significherebbe uno sconvolgimento climatico di livelli tali da produrre danni economici potenzialmente insostenibili. A fronte del +1° di temperatura già guadagnato in questi anni, con l’attuale tasso di emissioni, le proiezioni mostrano che raggiungeremo il +1.5° tra il 2030 ed il 2052. In sostanza, di questo passo fra poco più di 12 anni si aggiungeranno 350 milioni di persone a quelle a forte rischio di siccità e tra i 31 ed i 68 milioni a quelle che rischiano di pagare sulla propria pelle le conseguenze dell’innalzamento del mare. In particolare, tra quelle particolarmente suscettibili ai cambiamenti climatici, ci saranno anche le popolazioni mediterranee con l’Italia fra le altre.
Il prezzo che stiamo pagando per la velocità del progresso tecnologico dello scorso secolo, è quindi la prospettiva di un mondo in cui caldo torrido e grandi precipitazioni saranno sempre più frequenti, con conseguenze gravi e potenzialmente irreversibili già dal prossimo decennio (ecco alcune conseguenze). Abbiamo costruito un mondo che sta esaurendo le mezze misure, che vivrà sempre di più di estremi e, come tale, renderà potenzialmente impraticabile lo stile di vita che conduciamo adesso. Ma quindi cosa fare?
La prima soluzione sarebbe quella di ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera. Promesse sono state fatte e mani sono state strette: l’Accordo di Parigi, siglato a livello mondiale nel 2014, univa le nazioni nella promessa di ridurre le emissioni a step graduali, in modo da non raggiungere mai la soglia di non ritorno dei +2°, mantenendo quindi le temperature ben al di sotto del +1.5°. Le parole però, senza una conseguente azione globale, sono servite a poco. Gli ultimi dati (2018) mostrano che per aver qualche speranza di poter star sotto la soglia del mezzo grado in più, oltre quello già guadagnato, dovremmo azzerare le emissioni di CO2 (e degli altri gas serra) per il 2040; con una manovra economica di una rapidità e di una consistenza fiscale tale da non avere precedenti nella storia umana e da rendere gli economisti scettici sulla sua reale attuabilità.
Ma se la regolamentazione delle emissioni sta fallendo nel suo intento a breve termine, scienza ed economia stanno guardando in una direzione ben precisa: gestire l’inevitabile evitando l’ingestibile. Dobbiamo essere pronti ad adattarci ai cambiamenti che sono in atto, alcuni ormai irrimediabili, cercando di mitigare gli effetti di ciò che è ancora reversibile. Un esempio di questo “adattamento all’inevitabile”, sta prendendo sempre più piede sia a livello economico che scientifico, è quello etichettabile come blue growth.
Clima: Una nuova speranza
In questo futuro di precaria alternanza tra siccità ed alluvione, l’acqua si concentrerà nel mare. Le colture, per come sono ora, inevitabilmente diminuiranno sia in terreni coltivabili che nella produzione agricola stessa e lo stesso faranno le risorse, naturali e non. Il mare, che grazie alle sue proprietà ha resistenza e capacità di recupero tendenzialmente maggiori di quelle terrestri, diventerà la risposta: coltivazioni ed allevamenti acquatici, habitat artificiali, estrazioni di minerali dal suolo, sono solo alcune delle possibilità. Si sta già investendo in quella che si prospetterà una vera e propria corsa all’acquisto e sfruttamento di quelle parti del blu, e risorse, ancora inesplorate ma dal potenziale enorme.
Questo “adattamento all’ingestibile” non può essere però separato dalla necessità di mitigazione. Il recupero degli ecosistemi e delle specie a rischio è solo uno, anche se forse il più evidente, degli interventi necessari per mantenere lo stato di “Terra senza cambiamento”: bisogna salvare gli ambienti per poter salvare i servizi che questi ci offrono. Bisogna lavorare sulle foreste se vogliamo ridurre la CO2 mantenendo al contempo produzione di ossigeno, apporto di nutrienti e conservazione del suolo; bisogna aiutare le barriere coralline se vogliamo mantenere il nostro approvvigionamento di pesca proteggendo le coste dell’impeto del mare.
In sostanza, il mondo che si vede all’orizzonte è una sorta di amalgama di necessità strettamente interconnesse fra loro. Nuove tecnologie e scoperte apriranno nuovi panorami necessari a sostituire quello che perderemo, che saranno affiancati dal recupero e dalla tutela di ciò che non sarà ancora irrimediabilmente perso. La scienza sta lavorando in questa direzione per permettere di mantenere la crescita che ha caratterizzato questo secolo e, dove possibile, rimediare ai danni che abbiamo fatto per raggiungerla: nuove tecnologie, nuove risorse, energie sempre più efficienti e dal minimo spreco, saranno sempre più necessarie. Ma tutto questo va anche messo in atto. Siamo ormai tutti costretti alla consapevolezza, dalla rapidità con cui questi eventi stanno avvenendo. Dobbiamo cominciare a prenderne coscienza, agendo sia nel piccolo quotidiano, che nell’eleggere chi sarà il nostro portavoce nei prossimi anni. Il pianeta sta alzando le braccia al cielo e chiede la nostra energia per essere salvato, gliela concederemo?
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