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Folli che Sorridono Mentre Combattono

Dalla rupe vedo tutto il villaggio, è minuscolo, riesco a tenerlo in una mano, riesco a avvolgerlo tutto quanto con il fumo del mio fiato.
Fa freddo, è mattina presto, il villaggio è ricoperto di nebbia, quella nebbia pesante che fa sembrare il mondo un quadro ad olio.
Il primo vento mi solletica le guance, mi gratto il petto continuando a fissare quelle quattro case malinconiche, penso a tutto quello che è successo, penso a tutto quello che accadrà e un brivido si arrampica su per la mia schiena, sale fino a raggiungermi l'orecchio per sussurrarmi la verità.
Non voglio ancora sentirla, è troppo presto, non ora, adesso voglio sentire il freddo della mattina addosso, è tutto mio, questo inizio è tutto mio e lo sarà per sempre. Il mattino prima della battaglia.
L'idea arranca tra le spighe che ricoprono la rupe, mi raggiunge, si mette in piedi a fianco a me, anche lei fissa il villaggio, è un'idea fragile, inesperta, è una contadina che osserva la propria casa.
Mi parla, l'idea è preoccupata, non sa cosa pensare, secondo lei siamo troppo pochi, avrebbe dovuto chiamarne di più, non bastiamo. Pensa che non ce la faremo, mi tocca la katana come se potesse assorbirne la forza, la guardo, è un'idea così fragile. Il mio respiro diventa nebbia e anche il mio volto si perde in un quadro ad olio mentre la guardo, “raggiungiamo gli altri” le dico con gli occhi. La contadina mi precede, i sandali di legno scivolano sulle sterpaglie della rupe, sento ancora freddo, il cielo mi dice che pioverà, il mio cuore ne è certo. Attorno alle braci del fuoco i samurai sono addormentati, l'idea ha ragione, siamo pochi, veramente pochi, cosa possiamo fare in nove? Sento ancora freddo, ma questa volta non è il vento della
mattina. Gli occhi dei miei compagni si aprono, siamo tutti silenziosi, sappiamo cosa sta accadendo e non serve parlarne, le braci divamperanno di nuovo e noi dovremo domarle. Mi siedo con loro, chiudo il cerchio intorno al falò, nei loro occhi vedo i miei, i loro respiri sono i miei, le nostre anime una sola, se oggi bruceremo, bruceremo insieme. L'idea, è l'idea che ci ha radunati tutti qui, l'idea non ci ha offerto niente in cambio, nemmeno una ciotola di riso, la contadina ha solo chiesto di proteggere il suo villaggio. L'idea è giovane, è in pericolo, potrebbe essere dimenticata, sottovalutata, potrebbe essere fermata dalle ansie, dalla paura, i suoi nemici sono molti e il suo villaggio è così indifeso. Dovevo fare qualcosa.
Cinque giorni fa stavo seduto, a mangiare, quando quella piccola contadina è venuta a picchiettarmi sulla testa, a chiedermi fiducia e protezione in cambio di niente. Un momento prima sei seduto a mangiare e dopo, un istante dopo, tutto si illumina. La tua vita cambia, hai una missione, hai una piccola idea da proteggere, quella scintilla ha un villaggio, quattro case sperdute nella nebbia che un giorno potrebbero diventare una metropoli, un impero.
Allora ti alzi, un ragazzo dubbioso si è seduto ma è un samurai ad alzarsi, in un attimo hai una katana al tuo fianco, ci pensi, e capisci che in realtà la lama è sempre stata lì. Sei consapevole di poter proteggere l'idea, di averne la forza ma che comunque non potrai mai farcela da solo, la contadina ha chiesto aiuto a te, ma un samurai solo non è sufficiente.
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Ci vogliono altre katana.
Presto il villaggio verrà attaccato dalla paura, la paura di non farcela, la paura di correre troppo veloce, la paura di non essere all'altezza, sì, servono altre lame. Io e l'idea lasciamo la ciotola di riso ancora sul tavolo, usciamo, so chi chiamare, la guerriera mi aspetta, è lei è la prima che vorrei al mio fianco in battaglia. La sua risposta è sì, non chiede, non esita, la sua risposta è un cenno.
Il secondo ci pensa, ragiona, mi pone domande, si passa la mano sulla testa rasata, calcola ma c'è, anche la sua risposta è sì. E in poco tempo diventiamo tre, tre samurai con un'idea da proteggere. L'idea si avvicina ad altri guerrieri, alcuni li sorprende, altri sorridono come se non aspettassero altro, altri ancora si alzano a fatica ma ci sono tutti e d'improvviso siamo nove. Seguiamo la contadina, torniamo di fronte alla scodella di riso e aspettiamo che ci parli. L'idea narra del suo villaggio come di un sogno, un luogo che non è ma che potrebbe diventare, qualcosa che vale la pena proteggere, che cui vale la pena combattere. Mentre ci racconta di quelle quattro piccole capanne nei suoi occhi scorgiamo il riflesso della grandezza, della passione, e cominciamo a vedere quel villaggio attraverso il suo sguardo. Ci rendiamo conto che forse il momento è arrivato, l'attimo giusto per estrarre le nostre spade, forse,
finalmente, abbiamo trovato un'idea che merita di essere protetta. Ma non sarà facile, i timori attaccheranno presto e in massa, orde di paure avvolgeranno il villaggio e saremo noi a doverlo proteggere, quando saremo sul campo potremmo fare conto solo sulle nostre
spade e sui nostri compagni. Non saremmo soli se saremmo uniti.
L'idea ci guarda, è riuscita a radunarci tutti ma chiede ancora, vuole sapere se siamo pronti al sacrificio, se abbiamo il coraggio di attraversare il fiume e proteggerla. Ce lo chiede con gli occhi.
Io ci sono, anche se dovessi combattere da solo io ci sarò, fin dal momento nel quale mi ha picchiettato in testa ho capito, quello è il mio villaggio, devo proteggerlo.
Alla mia mano se ne aggiungono altre, siamo tutti sicuri, la decisione è presa, sarà battaglia. Conosciamo bene il nostro nemico, l'insicurezza è in agguato, è sempre stata lì, si è sempre presentata insieme al nuovo, allo sconosciuto, ad ogni nostra scoperta la paura ci sussurrava qualcosa all'orecchio. Conosciamo la sua voce. Saranno questi i briganti che andremo ad affrontare, una banda di taglia-gole capace di ogni cosa
per arrivare al suo scopo. Sono gli echi della paura quelli che sentiamo questa mattina, nessuno ha ancora parlato, stiamo semplicemente aspettando.
L'idea, intanto, ha già ravvivato le fiamme, ci scalderanno fino alla prima pioggia. “Non sembra poi così grande vero?” la voce di uno dei samurai infrange il silenzio. “Una volta che sei sulla rupe intendo, guardi il villaggio e non sembra così grande come il contadino aveva descritto.”
E' giunto il momento di alzarsi piedi “Quel villaggio è grande solo quando passeggi fra le sue strade.
Quel villaggio è grande solo se ne osservi il potenziale” un altro samurai è in piedi.
Oggi moriremo per un potenziale?” ancora un altro, e un altro ancora, nessuno più è seduto.
Parla per te, io non ho intenzione di tirare le cuoia oggi!
I samurai risero, il morale era alto, ma la pioggia arrivò comunque, la pioggia arriva sempre prima o poi.
Le paure fra poco saranno qui vero?” disse qualcuno, “non ci hanno mai lasciato” rispose qualcun altro, “già, allora è proprio il caso di fare una bandiera.”
Ci radunammo in fretta intorno ad un telo bianco, qualcuno aveva già cominciato a tracciare delle linee con un pennello nero.
Cosa eravamo? Cercammo di ricordare, di pensare al passato, agli anni nei quali eravamo stati presi in giro, senza diventare tristi però, eravamo orgogliosi, non di quello che ci era capitato, ma del fatto che lo avevamo superato.
Samurai senza un padrone, perdenti, ecco come ci chiamavano. Eravamo dei perdenti ma anche orgogliosi, fieri di non cedere anche se tutti ci consideravano degli strambi. La nostra bandiera sventolava, il simbolo dei perdenti.
Sarà meglio tornare in paese adesso, è ora.” dissi io.
L'idea ci precedeva sventolando lo stendardo, io ero dietro di lei, le guardavo la piccola nuca e mi chiedevo come aveva fatto a convincere tutti quanti.
Dietro di me gli altri samurai intanto si destavano una volta per tutte colpiti dalla pioggia. La nebbia che sostava nella valle era sparita per lasciare spazio al torpore del temporale, il cielo sembrava un'unica enorme pennellata di grigio, nessuna sfumatura, nessuna speranza.
Il ticchettio delle gocce sulle nostre armature era l'unica compagnia della quale avevamo bisogno, ci mettemmo in posizione.
La sola entrata al villaggio era un piccolo sentiero sul fondo di una gola, l'unica via praticabile a cavallo, ed era proprio alla fine di questa strettoia che avevamo radunato le nostre forze. Le paure sarebbero arrivate sul dorso di grandi destrieri neri, ne avevamo la certezza, li chiamavamo incubi e sapevamo riconoscerli uno per uno. Non c'era altra via per passare, solo noi e un debole muro di legno avremmo potuto fare la
differenza. Estrassi la lama, il tintinnio della pioggia su di essa andò ad aggiungersi al resto dei sussurri e, in poco tempo, si smarrì.
Non avevamo mai combattuto tutti insieme, non avevamo mai difeso un'idea comune ma, contro ogni previsione, nonostante i dubbi, le diversità, quella mattina eravamo fermi, insieme, sotto la pioggia.
Sorrisi, era un sorriso calmo, come di qualcuno che ha già vinto, che sa di stare già vivendo il punto più alto, sorrisi perché c'era il rischio di non poterlo più fare. Qualcosa mi picchiettò la spalla, mi voltai.
La nostra piccola idea era lì, stringeva fra le mani un bastone e mi fissava impaziente: “Dove mi metto io?”
Non ci fu il tempo di risponderle, di metterla al sicuro, il nitrire degli incubi l'aveva spaventata, si nascose dietro di me.
Potevamo vedere le nostre paure avvicinarsi, erano strette nella gola e piano piano stavano risalendo, dritte verso di noi.
Affondai di poco il sandalo nel fango, e strinsi la katana tanto da far diventare le nocche bianche.
Anche io ero spaventato, ma il punto non era non provare paura, era stare lì di fronte a quel sentiero nonostante tutto.
Era la prima ondata di insicurezza che ci colpiva, una grande nube nera di zoccoli e risate ci stava venendo incontro, i samurai tenevano la spada avanti, tutti sulla stessa linea, tutti pronti, eravamo spaventati ma fermi. La paura ci investì.
Ciascuno di noi poteva vedere il fallimento, il villaggio in fiamme, l'idea esanime tra il fango calpestato dai cavalli, tutti noi potevamo vederla ma erano solo illusioni.
Il brivido tornò ad arrampicarsi su per la mia schiena, salì ancora fino a raggiungermi l'orecchio per sussurrarmi la verità.
Non voglio, ma questa volta ascolto e la voce mi parla: “è una follia, lascia perdere. Non riuscirete mai a proteggere quel villaggio. I soldi, i soldi, trovati un posto sicuro. Devi crescere, smettila di fare il bambino, i sogni sono per i perdenti…
Sì, i sogni sono per i perdenti.
Mi scrollai di dosso le paure, le feci cadere nel fango, le calpestai.
Ogni loro fendente era un momento di disperazione, ogni nostra parata una speranza, mentre combattevamo potevamo sentire la voce dell'idea, una voce da ragazzina che tuttavia riusciva a sovrastare il clamore della battaglia.
Combattete, non fermatevi!” e le katana si incrociavano “ non fatevi afferrare dalla paura.”.
Quella bambina sventolava la nostra bandiera come per salutarci, era un'onda di passione che ci investiva, e noi ci rialzavamo dopo ogni colpo, credevamo in quella contadina, quella ragazzina che non ci aveva offerto nulla se non una prospettiva, una speranza, ci stringevamo l'uno vicino all'altra
per sconfiggere quegli incubi. L'idea era diventata nostra, quel villaggio era la nostra casa, il sangue tra il fango e la paura era il
nostro. Ci rialzammo ancora e ancora, i nostri occhi erano stanchi mai nostri animi urlavano “basta”, basta avere timore, basta cercare un angolino caldo e accogliente nella società, avevamo una opportunità, assurda, folle, ma era la nostra occasione e nessuno poteva portarcela via.
Ciascuno di noi non avrebbe potuto farcela da solo, ma insieme, oh… insieme avremmo potuto fare qualsiasi cosa, in piedi samurai, in piedi.
Ci rialziamo, stringiamo ancora le spade per un'ultima carica, una corsa contro la paura, fianco a fianco anche nell'oblio. Non per la gloria, non per il denaro ma per la libertà di essere felici. Io e i miei compagni ci guardiamo, là, sotto la pioggia, silenziosi di fronte alle nostre paure, un'ultima resistenza di pazzi, ronin, guerrieri senza un padrone, folli che sorridono mentre combattono.
E la carica comincia, la carica del rinoceronte, un possente urlo colpisce in faccia la paura, la mia katana sibila fra le gocce di pioggia insieme alle lame dei miei compagni, avanziamo e il nemico fa qualcosa di inaspettato, un passo indietro, il fango spinto dai talloni della paura si accumula,
spingiamo indietro il timore, lo allontaniamo dal villaggio, la nostra casa. Le nostre lame sono contro quelle del nemico, possiamo sentire il suo fiato, i destrieri sono fuggiti ora possiamo guardare negli occhi le nostre paure.
Le profonde pupille nere del nemico sono diverse da come ci immaginavamo, non c'è odio nel suo sguardo, nessun risentimento, è allora che comprendiamo che nemmeno la paura vuole combattere.
Lei è lì solo perché ci siamo noi, perché tutti proiettiamo un'ombra al sole, è lì per scoprire chi di noi riuscirà e chi perderà la vita.
Per un'istante capiamo quello che in futuro sarà certezza, il bisogno di avere una sfida. Il fumo della paura sibila un'ultima volta prima di sparire di nuovo attraverso la gola, sappiamo che tornerà, sappiamo che dovremo affrontare ancora le nostre paure, ma oggi la giornata è nostra, ci siamo guadagnati il diritto di stare in piedi, l'idea ci corre incontro e ci abbraccia uno per uno.
Nella sua stretta sentiamo vigore, sembra cresciuta, i suoi riccioli rossi spiccano nel grigiore di quel campo di fango, una macchia di colore sulla tela grigia.
La ragazza saltella a piedi nudi nel fango, sta festeggiando, danza di casa in casa sorridendo, soave, si sente al sicuro con questi vecchi samurai di terracotta. Le dita dei piedi della bimba scivolano tra le frecce dei nemici conficcate nel terreno, nelle pozzanghere, tra le lance spezzate e la spingono in alto, è come se stesse volando su una pista da ballo. Io e la mia redazione rinfoderiamo le armi, non c'è più nessuna paura, abbiamo combattuto e ora sappiamo quale sarà la nostra ricompensa, vederla ballare. 
La canzone finisce, la musica si allontana, e io spengo il lettore mp3 perché non c'è più niente da dire
Estratto da Teoria N – Edito da LimitedEditionBooks
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