Non so quanti tra voi che mi state leggendo abbiano passato l’infanzia e parte dell’adolescenza nei fiammanti anni ’90; un’epoca dove internet era ancora in uno stato embrionale e per passare il tempo ci si affidava o agli oratori, solitamente un covo di suore e preti il cui carattere non aveva nulla da invidiare ai più grandi dittatori della storia, o alla televisione, con programmi come Bim Bum Bam o le sit-com (di quell’epoca non ricordo la formula dell’area del trapezio ma ricordo a memoria la sigla di Willy il Principe di Bel-Air, scambio equivalente di conoscenza?). I videogiochi, negli anni ’90, iniziavano pian piano ad affermarsi come un hobby dei più giovani, fra le console a 16 bit della prima metà del decennio e quelle a 32 della seconda metà, ma erano ancora visti con occhio inquisitore dai nostri genitori. Dopo questa digressione nostalgica, mi riallaccio all’inizio di quest’articolo chiedendovi: quanti di coloro che hanno vissuto questo periodo non si sono mai sentiti dire: “cosa fai sempre chiuso in casa con quei giochini elettronici? Vai fuori a giocare a pallone con gli amici, così prendi un po’ d’aria”. Suppongo almeno il 99% di voi. Ovviamente anche a me successe, specie con parenti di una certa età devote alla santa Chiesa che mi volevano chierichetto, mentre io preferivo di gran lunga massacrare demoni e alieni con Doom e Quake 2.
Contro ogni previsione da servizio di Studio Aperto, non sono diventato un serial killer (almeno per ora!), ma mi piacerebbe tornare indietro nel tempo per poter mostrare a tutti gli scettici dei tempi l’importanza che il videogioco ha assunto oggi, tanto che il CIO (Comitato Olimpico Internazionale) ha affermato che gli eSports, testuali parole, "possono essere considerati delle discipline agonistiche vere e proprie". Dunque è arrivato persino il riconoscimento, da un comitato ufficiale, che i videogiochi competitivi possono essere considerati un'attività sportiva in linea generale, riconoscimento che però non è ancora sufficiente per entrare di diritto fra le discipline olimpiche, per le quali sono richiesti ulteriori requisiti. Il piano è comunque quello di riuscire a inserirli per le Olimpiadi del 2024 a Parigi. Nonostante tutto, questo è indubbiamente un risultato che potremmo definire storico per gli amanti del lato agonistico dei videogames.
Gli eSports sono ormai sempre più diffusi; il seguito di eventi a loro legati è sempre più grande, basti vedere quanto risalto hanno avuto le finali dei mondiali di Overwatch svoltesi durante il recente Blizzcon e dominate dalla Corea del Sud, vera patria degli eSports sin dai tempi di Starcraft. Si calcola che nel 2018 gli introiti del settore arriveranno a un miliardo di dollari e un numero sempre maggiore di team sportivi di calcio, basket e altri sport creano vere e proprie squadre in versione virtuale con i propri colori. Vedendo questo enorme successo, mi viene da chiedermi perché il mondo degli eSports, ormai perfettamente autonomo, aneli così tanto a essere riconosciuto dal mondo sportivo ufficiale.
Personalmente non ho mai considerato il videogioco come uno sport, vedendolo, come tipologia di offerta, molto più affine a settori quali quelli del cinema o dei fumetti (ci saranno altre occasioni per approfondire questo aspetto), ma è anche vero che esistono giochi competitivi sviluppati per puro spirito agonistico. Nulla di male, ognuno usufruisce dei videogiochi come preferisce e gli sforzi che i pro gamer fanno per restare ai massimi livelli sono sicuramente encomiabili.
Dunque, dato che ormai gli eSports si sono affermati senza nessun aiuto esterno, nonostante venissero bistrattati sin dai loro albori e nonostante tutt’ora continuino a essere presi di mira anche da molti personaggi non del settore (basti vedere i molti commenti negativi da parte di famosi atleti dopo la notizia del CIO), perché interessarsi così tanto a essere visti come disciplina sportiva ufficiale, quando probabilmente l’unico motivo che muove i vari comitati agonistici a inserirli è un mero fine commerciale?
Secondo la mia personale visione, gli sport fisici e gli eSports sono come due rette parallele che non si incrociano mai: uno può trarre giovamento dall’altro, ma nessuno ha bisogno realmente della sua controparte, anzi, il voler forzare l’unione di queste due parallele in una sola non può funzionare. Quindi perché non considerare gli eSports come una disciplina slegata dagli sport tradizionali e organizzare un’olimpiade dedicata solamente ai videogiochi? Trovo quest’idea molto più stimolante, con giornate intere di competizioni, seguite dalla stampa e da spettatori di tutto il mondo e dedicate ai titoli più disparati, fra sparatutto, picchiaduro, strategici e sportivi. Inserita nel mezzo di una competizione olimpica ufficiale, vedrei la presenza dei tornei virtuali sminuita e snobbata da quelli che sono gli “sport veri”. Questo settore ha le gambe per camminare con le proprie forze, non ha bisogno dell'approvazione di nessuno dato che dimostra da anni che di potenzialità ne ha da vendere, quindi mi chiedo perchè invece di voler a tutti i costi accomunarsi con gli sport più tradizionali non facciano storia a sé. Sono convinto che in futuro gli eSports diventeranno sempre più seguiti e importanti, indipendentemente che vengano approvati dal Comitato Olimpico o meno, e chissà, forse un giorno nel futuro assisteremo a una scena in cui un genitore dirà “Cosa perdi tempo a giocare a calcio con i tuoi amici? Torna in casa a giocare a Overwatch!”, sarebbe davvero divertente.
Lascio a voi la parola, cosa ne pensate della questione degli eSports come disciplina olimpica? Fatemi sapere nei commenti.