- Non è che la scienza sia un po’ noiosa? Come la vedete?
S: È come quando si va a scuola. Ci sono insegnanti che sanno trasmetterti i classici, che li rendono interessanti, mentre altri non hanno questa forma di empatia. Lo stesso succede con la scienza.
FA: Agli occhi di un profano come me, il problema è che la scienza è lenta: Einstein teorizza le onde gravitazionali e noi le troviamo un secolo dopo. Oggi invece siamo sempre più abituati (male) ad avere tutto e subito: risposte immediate, risultati immediati. Cerco una cosa su Internet e, giusta o sbagliata che sia, la trovo subito. Non c’è più l’abitudine, e quindi la disponibilità, ad aspettare: il fatto che siano necessari anni di ipotesi, prove, esperimenti, successi e fallimenti non appartiene più all’esperienza comune.
S: Senza contare che non dobbiamo aspettarci necessariamente, ogni volta, qualcosa di clamoroso: si va per piccoli passi, ciascuno dei quali, di per sé, potrebbe anche non essere così fondamentale. Per fare un esempio: la Teoria della Relatività è una nozione complessa, chiaramente il parto di una mente superiore. Però, applicandomi, sforzandomi di capire quello che mi stavano spiegando – e certamente non sono un matematico e neanche un fisico – credo di averne capito i tratti principali, quelli più salienti, in termini molto semplici ovviamente, ricorrendo a degli esempi. Nel caso delle onde gravitazionali, ci sono delle belle animazioni, con l’immagine di questa palla che gira producendo le onde… be’, la trovo chiara, comprensibile.
FA: Dicevamo che a favore delle bufale c’è l’immediatezza: alzo gli occhi al cielo e le scie (chimiche) in effetti le vedo. Inoltre, la bufala è consolatoria: se sono razzista, egoista o semplicemente pigro, in queste pseudo-credenze trovo tutto ciò di cui ho bisogno. E così arriviamo alla nostra storia, che sin dal titolo, “Materia oscura”, si riferisce a quello che non sappiamo e che non vogliamo neanche sapere, perché ci va bene così: preferiamo credere che i segni sul citofono li lascino gli zingari e che sia un loro linguaggio misterioso con cui tramano contro di noi, invece che optare per la soluzione più semplice, e cioè che non c’è in atto nessun disegno oscuro. E la pigrizia, che in una qualche misura abbiamo un po’ tutti, è un terreno fertile su cui queste credenze attecchiscono e crescono. Una mente più aperta e soprattutto curiosa non accetta la prima spiegazione di comodo: la rifiuta, l’analizza e nel suo piccolo cerca di arrivare a una propria verità.
- Ci vogliono quindi due “attori”: uno che le bufale sia disposto ad accettarle e un “untore”, qualcuno che le diffonda. Che nella storia è proprio… una bufala.
S: Poverina, lei non c’entra niente, ovviamente, ma per definizione si prestava bene a interpretare la funzione di “Centro Diffusione Balle”.
- Ma secondo voi questi divulgatori di balle – che esistono – ci credono pure loro? Insomma, ci fanno o ci sono?
FA: Se pensassi che c’è sotto qualcosa sarei un complottista anch’io. Secondo me sono innocenti, degli ignoranti integrali. Detto senza offesa, non voglio dare un giudizio morale.
S: Ne conosco alcuni. Spesso sono persone che hanno la necessità di stupirti: ti incontrano al bar, ti dicono “Ma la sai questa cosa?”, tu fai un’espressione stupita e per loro questo è già appagante. Sono nato in città, ma vengo da una famiglia di contadini e ho una qualche familiarità con questi racconti, che erano all’ordine del giorno: dicerie di contadini che nelle campagne incontravano animali fantastici, serpenti giganteschi che si alzavano sputando fumo. Ricordo un fatto triste: una mia compagna di classe fu investita e uccisa da un autocarro. Nel vicinato si sparse la voce che la Polizia Scientifica stesse cercando di individuare la targa del veicolo, che sarebbe rimasta impressa nella retina della poveretta… Un altra: un tipo che si appostava lungo i sentieri per tendere agguati e molestare le donne, e s’era sparsa la voce che fosse un vampiro, nel senso di un vampiro “vero”. Cose assurde, che venivano raccontate come favole.
- In Italia manca una cultura scientifica forte, anche a causa del pregiudizio per cui è “vera cultura” solo quella letteraria, con la matematica e la scienza declassate a “tecnologia”. Forse anche questo favorisce la diffusione delle bufale: le persone non hanno confidenza con un approccio scientifico alle informazioni, che consiste nel verificare le fonti, per esempio.
FA: Sì, siamo totalmente impreparati. Anche se forse TV e giornali sono in fase calante, con un’importanza sempre minore, siamo ancora il paese del “l’ha detto la TV”, “l’ha scritto il giornale”, quando sappiamo perfettamente che anche questi organi spesso producono disinformazione. O almeno informazione parziale. Se voglio informarmi oggi non cerco più in TV o sui giornali, le possibilità non mancano, ma è come se fossimo incapaci di approfondire, di andare all’origine delle cose. È proprio una questione di pigrizia mentale. In questo purtroppo la scuola ha una sua responsabilità. Ho dei figli in età scolare e quando arriva il momento della ricerca combatto delle vere e proprie battaglie: per me la ricerca non è andare su Wikipedia e stampare quello che c’è scritto, ma ora questo tipo di esperienza (che per me voleva dire documentarmi, sfogliare libri ed enciclopedie) sembra finire lì. Il giorno dopo gli insegnanti correggeranno 26 compiti più o meno uguali, prodotti col copia&incolla. Senza biasimare in alcun modo questo comportamento: apprezzano quando qualcuno approfondisce e ci mette del suo ma non esprimono alcun tipo di divieto rispetto a questa prassi.
- Un punto importante è quello dei vaccini: negli USA il calo delle vaccinazioni sta producendo il ritorno del morbillo, e anche in Italia c’è una recrudescenza di malattie credute scomparse. Che cosa si può fare per comunicare meglio, per parlare con le persone che magari pensano che la “scienza ufficiale” sia al servizio delle grandi società farmaceutiche? È sufficiente l’ironia?
S: È un’ottima arma, lo è sempre stata. Ma occorre anche arrivare ai canali più frequentati, con iniziative che partano non solo da enti come il CNR: parlo di ministeri e istituzioni, cioè di politica. In passato per esempio ho fatto una grossa campagna sull’AIDS, che riscosse una grande attenzione, ma ora tutto sembra rientrato: oggi molti pensano che l’AIDS sia stato sconfitto per il semplice motivo che non se ne parla più.
FA: Sull’ironia sono d’accordo, anche se forse da sola non basta, perché chi coltiva queste convinzioni è estremamente suscettibile e appena si toccano questi argomenti si chiude ogni canale di comunicazione. Li si dovrebbe prendere con le buone, che so, con detrazioni fiscali [risata] “Se ti fidi della scienza paghi meno tasse!” Bisogna trovare la maniera di perforare questa corazza che alzano tra se stessi e il mondo esterno, questo sospetto perenne e paranoico di essere vittime di un qualche complotto. Non c’è più fiducia in nulla e viene messa in discussione anche la scuola.
S: In questi giorni sono in contatto con un’insegnante, di cui si è occupata la stampa nazionale, perché avrebbe proibito in classe la Festa del Papà, per non fare un torto a chi il papà non ce l’aveva, o a chi era figlio di coppie omosessuali. Questa poverina era disperata, perché mi diceva “non è assolutamente vero, io non ho abolito niente, ma in classe non c’erano i materiali per fare i cartoncini. Io ho detto ‘quest’anno non facciamo i cartoncini per il papà’ ed è scoppiato un pandemonio”. Si sono accaniti contro “questa che vuol traviare i nostri figli con l’educazione gender” ed era solo un’altra bufala. So che è quello che si dice sempre, ma io sono veramente convinto che debba essere la scuola a veicolare queste cose. Quando ero piccolo si insegnava l’educazione civica: rispettare gli anziani, aiutare le vecchiette ad attraversare la strada, non sporcare per terra… Queste cose che oggi fanno ridere ma che a me sono rimaste. Se oggi ho un po’ di senso civico, che anche a me allora appariva un po’ stucchevole, mi rendo conto ora che lo devo anche a questo, che un po’ di queste cose mi sono rimaste e sono veramente convinto che venga dalla scuola.
E non solo.
Il mio senso della lealtà, dell’onestà, della difesa del più debole mi viene da Tex. Quando ho letto Tex mi sono immedesimato molto. È un fumetto che mi ha formato
- Per scrivere la storia hai fatto letture particolari ? Hai dovuto studiare qualcosa che non conoscevi?
FA: Non proprio, ma quasi. Sono partito da piccole cose, da ricordi d’infanzia. Da bambino restavo sempre perplesso quando al bar vedevo la bottiglia del prosecco aperta col cucchiaino infilato: era un autentico mistero, ne parlavo anche con mio padre, che mi spiegava che serviva per non fare “sgasare” il vino. E io mi immaginavo che una qualche reazione tra il metallo e il gas nella bevanda creasse una sorta di “bolla magnetica”, uno scudo: leggevo i fumetti di supereroi, quindi era assolutamente plausibile che attorno alla bottiglia ci fosse qualcosa del genere. Non era così, era una bufala: quando arrivai all’età di assaggiare il contenuto della bottiglia capii che per anni ero vissuto nella menzogna e che il cucchiaino nella bottiglia non serve a niente.
Anni fa recuperai un libro che poi mi è stato utile per questa storia. È di uno studioso francese e si intitola Gli spinaci sono ricchi di ferro, che non è vero: gli spinaci non sono ricchi di ferro e insieme a questa elencava una serie lunghissima di convinzioni popolari, ma anche più tecniche, luoghi comuni mai verificati e sempre presi per buoni. E a parte il singolo caso, era un costante richiamo alle basi: cerca, studia, approfondisci, verifica e anche se non sei uno scienziato mantieni questo atteggiamento nella vita di tutti i giorni.
FA: Avrebbe fatto meglio a mangiare lenticchie, che di ferro ne contengono molto di più. Il lavoro dello sceneggiatore è anche quello di essere curioso a tutto campo, di mettere insieme piccoli fatti uno sull’altro, e su quelli costruire delle storie. È stato il lavoro che ho fatto per Materia oscura… sperando di non avere annoiato troppo Guido.
S: Per nulla!
- Una cosa che mi ha colpito nella mia esperienza di matematico è come le persone si attacchino a false credenze anche in casi completamente irragionevoli. Anche contro il proprio stesso interesse, come nel caso del gioco d'azzardo. I giornali non aiutano, riportando statistiche relative ai numeri ritardatari delle varie lotterie come se fossero dati scientifici, proprio come dicevamo prima: come per accreditare una sorta di scienza alternativa. È un problema perché in Italia il gioco d'azzardo è una forma di dipendenza e un problema grave.
S: Ma è anche una grande risorsa per le casse dello stato.
- Il punto è che con con pseudo ragionamenti sui numeri ritardatari, molti giocatori pensano di avere una forma di controllo, delle probabilità di vincere maggiori di quanto siano in realtà: “Questo numero non esce da sessanta settimane, ora me lo gioco”. Una cosa smontabile con una chiacchierata di cinque minuti, perché naturalmente ogni estrazione non ha memoria della precedente. A parole, tutti sostengono di avere capito e si dichiarano d’accordo ma quando giocano alla roulette puntano sul rosso perché in precedenza il nero è uscito tot volte…
S: Questo però secondo me attiene più a una sfera psicologica, quasi medica, nel senso che il gioco d'azzardo produce adrenalina, come il poker, le slot machine e tutti i giochi che creano l'aspettativa di una vincita, e quest’ansia di cui ti carichi…
- Certo, ma aldilà di questo, o su questo, si innesta lo strumento con cui le persone affrontano la situazione, lo pseudo ragionamento, cioè “IL” sistema che conferisce maggiori probabilità di vittoria, e ci riporta in pieno al discorso della pseudoscienza.
F.A. Credo che la forza che queste cose esercitano sulle persone risieda spesso nella semplificazione. Sui quotidiani – penso al Messaggero di Roma, purtroppo, ma immagino anche su altri – oltre alla rubrica dell'oroscopo, su cui ci sarebbe da aprire un capitolo a parte, troviamo anche la pagina del lotto con tutti gli schemi dei numeri ritardatari, la frequenza dei numeri sulle varie ruote, eccetera… è chiaro che in questo modo si produce nel lettore la convinzione di poter decidere su quale numero puntare con aspettative di vincita maggiori, perché tutto è stato semplificato e ridotto ai minimi termini. È di facile consultazione, come se fosse un orario dei treni. Una possibilità, forse, è che la Scienza svolga un lavoro di semplificazione analogo, per provare a spiegare in maniera sintetica, vista la bassa soglia di attenzione del pubblico che va catturato subito con una affermazione “bomba”, per poi procedere a dare degli spunti, in modo da stimolare la curiosità ad approfodire l'argomento, perché altrimenti li perdiamo subito. La pseudo scienza ci riesce benissimo perché individua subito il problema in due parole, che si tratti di un vaccino che provoca malattie, o macchine che disseminano prodotti chimici nell'aria. Se invece bisogna spiegare i fenomeni atmosferici, o come funziona un vaccino, è più difficile, perché non c'è più la voglia e la disponibilità ad approfondire gli argomenti con il tempo e l'attenzione necessari.
- Fare ridere può aiutare a far seguire il discorso, secondo voi? Per esempio disseminando le spiegazioni con spunti divertenti.
S: Mah, sai, si è sempre cercato di definire l'ironia… che cos'è, quali sono i suoi meccanismi.. come funziona, insomma. E io non lo so… credo che sia un po' come sollevare le gonne alle suore, sfatare i tabù. Quindi, sì, penso che possa essere efficace, che lo sia sempre stata e che lo sarà sempre, certo non è più come si diceva “una risata vi seppellirà”, perché ci stanno seppellendo loro, ma per quanto vetusto è uno slogan che secondo me ha ancora una sua validità.
- Come mai la scelta di Lupo Alberto come “buon paladino” della scienza? In fondo è un personaggio un po' atipico, un po' zingaro, senza radici sotto. Eppure diventa il paladino della scienza.
S: Perché è un personaggio che non è omologato, che dopo più di quarant'anni fatica ancora ad assoggettarsi agli schemi, a entrare nel sistema, che in questo caso è rappresentato dalla fattoria, dove tutti gli abitanti hanno un proprio ruolo. Lui invece si mantiene ai margini, guardando sempre con l’occhio distaccato di chi non vuole entrare in questa specie di meccanismo, e forse è questo che gli fa mantenere uno sguardo libero e sereno su quello che succede.
FA: Sì, anche per una semplice questione logistica, geografica: lui vive su questa collinetta rialzata, ha un punto di vista privilegiato su quello che succede nella fattoria e non dà mai un giudizio morale o di merito. Il fatto che lui viva al di fuori, al di sopra, non lo rende migliore degli altri, ma gli permette di vedere meglio quello che succede. E poi sicuramente è un personaggio acuto, poco incline ai luoghi comuni, non perché faccia il bastian contrario di professione, però di fatto è anche lui un po' come Tex, anche senza le pistole: non è che faccia giustizia, ma quando vede qualcosa di sbagliato, di squilibrato, non ha paura a dire la sua, anche rischiando di essere pestato da Mosè. Diciamo che ci sembrava che fosse il personaggio più indicato. Accanto a lui c’è anche Enrico perché in passato, in tante storie, è sempre stato al suo fianco mettendosi uno scolapasta in testa e combattendo una sua guerra personale contro l'imbecillità. È una coppia che funziona.
Lo penso dal 1983, e mi piace ricordarlo, perché è stata una delle letture che mi hanno segnato la vita, il volumetto Come si diventa autori di fumetti, realizzato da Guido e da Alfredo Castelli: l'ho letto e ho pensato “voglio diventare autore di fumetti”. Lì l'accoppiata Enrico-Alberto era perfetta per spiegare la materia in maniera semplice e in poche pagine, proprio come nel nostro caso: spiegavano una materia complessa con un linguaggio semplice, facendosi capire, e io l'ho sempre ben presente. Ogni volta che qualcuno mi chiede come bisogna fare io indico quello, che per me è un esempio di come vanno fatte le cose.
- Anche l’idea di personaggi che non condividono del tutto l’idea di gruppo, come Enrico che vive ai margini della fattoria…
FA: In effetti, ci vive sotto.
- Degli outsider. Che si danno man forte rimpallandosi l’argomento l’un l’altro.
FA: Un po’ fratelli De Rege, ogni tanto. Qualsiasi trucco vale pur di riuscire a dire e a spiegare le cose senza essere troppo didascalici.
- Poi arriva Bovinda, la bufala. È un personaggio nuovo?
S: Sì, questo merita qualche dettaglio. Da qualche mese, su Lupo Alberto, pubblico una rubrica che si chiama “Bufale in rete”, sulla cui testata c’è proprio questa bufala. Quindi in realtà [vedersi proporre di fare questa storia] è stato davvero un caso curioso, una coincidenza. È la prima volta che entra in una storia e avevo infatti il dubbio di riuscire a “farla muovere”: il problema dei personaggi nuovi è che all’inizio c’è solo un disegno, magari anche ben riuscito, simpatico, ma quando si prova ad animarlo le cose diventano un po’ più complicate. Ma in questo caso, con qualche artificio, sono riuscito a farlo diventare un personaggio a tutti gli effetti.
- Cosa intendi con “artificio”?
- S: Niente di particolare, diciamo i trucchi del mestiere… ore di lavoro passate a sforzarsi e a dire ad Artibani “ma con tutti i personaggi che ci sono, proprio una bufala?”. E poi i miei mille scarabocchi, per cercare di darle un’identità… perché di personaggi potremmo anche crearne mille al giorno ma riuscire a farli esprimere è un altro discorso.
- Perché è vestita?
S: Dovremmo chiederlo ad Artibani… era nella sceneggiatura, con questo golfino a cui mi sono attenuto. Perché ha il golfino, Francesco? È una persona che conosci? [risate]
FA: No, era solo un modo per sottolineare che viene da un altro ambiente, dalla città, in modo che a colpo d’occhio si vedesse immediatamente che era diversa dagli altri, che non sono vestiti. E infatti mi sono guardato bene dal chiamare Guido mentre ci lavorava, sapendo bene a cosa rischiavo di andare incontro…
S: Ti ho solo maledetto un po’ tra me e me.
- Pensi di utilizzarla di nuovo, in futuro?
S: Con la fatica che ho fatto, sicuramente. Anzi, se avete in mente qualche altra idea… facciamo un aggiornamento, su nuove bufale.
FA: Il materiale non manca.
- Certamente: anche se avete spaziato davvero in lungo e in largo, restano ancora un sacco di cose di cui si potrebbe parlare. Dell’11 Settembre, per esempio.
S: Troppi morti, è un evento troppo tragico per trattarlo in modo così leggero. Ne restano decine di altri, specialmente se si va sul terreno della superstizione, dove però c’è il rischio di entrare in contatto con la religione, che ovviamente è un terreno minato.
FA: Io mi sono fatto un elenco. Per esempio, “celebrità al pronto soccorso”: tutti hanno un parente infermiere che al Pronto Soccorso ha visto arrivare chiunque del mondo dello spettacolo nelle situazioni più imbarazzanti… il lato oscuro delle celebrità, al Pronto Soccorso, luogo dove viene convogliato ogni genere di Orrore. Non per un pubblico di bambini, ovvio. Comunque di cose così ce ne sono un sacco.
S: Le antenne, dei cellulari per esempio, su cui però la scienza deve ancora decidere se queste onde elettromagnetiche sono davvero dannose.
- Il CICAP si occupa di questo tipo di ricerche e in effetti si ritrova in difficoltà su argomenti per i quali la scienza non ha ancora elaborato un verdetto definitivo, o almeno consolidato. Il riscaldamento globale, per esempio, che è una realtà non contestata ma sulle cui cause resta una qualche divisione, con una larga maggioranza del 95% che pensa che sia antropica, contro il restante 5%. Su questo il CICAP ha mantenuto per anni un atteggiamento prudente, in attesa di un pronunciamento: è chiaro che c’è difficoltà nell’addentrarsi in dettagli tecnici, un terreno su cui anche la controparte ha ampi margini per esprimersi in maniera inesatta.
FA:Quello che mi incuriosisce di più è la presenza della bufala nell’esperienza quotidiana. Come oggi si raccolgono tappi di plastica “che servono per comprare una carrozzella per gli handicappati” (e basta pensarci un attimo e ci si domanda quale sia il nesso: cosa ci si fa con 10.000 tappi di plastica?), ricordo che da ragazzino si raccoglieva la carta stagnola: ma perché? Che ci facevano?
S: Forse una specie di raccolta differenziata?
FA: Non si capiva… la portavi a scuola, la scuola la dava alla parrocchia, poi si perdevano tutti i contatti. Mi è tornato in mente proprio per questa raccolta di tappi di metallo, quelli azzurri della Centrale del latte di Roma… magari è una specie di primitiva indagine di mercato ma mi piacerebbe capire da dove nasce. Come nelle epidemie, col Paziente Zero: chi è il primo che ha idee del genere? Come nascono, come si sviluppano, come attecchiscono, attraverso quale passaparola?
S: Ce ne sono tantissime, per esempio quelle legate alla gravidanza, nelle comunità rurali… non bisogna incrociare un gatto nero e così via. Mamma ci stava attenta davvero a queste cose.
FA: Quando mia moglie aspettava nostra figlia, in montagna le dicevano che la donna incinta non deve sedersi su una roccia perché altrimenti… [pausa drammatica] il figlio nasce con la schiena bifida. Capisco se la roccia è radioattiva o viene da Krypton… ma altrimenti perché? Piccoli fatti che uno dopo l’altro incidono sui comportamenti, se non sulla personalità: non ci sediamo sulle rocce, non facciamo una cosa il martedì o non passiamo il sale a tavola. Quest’ultima mi è capitata: ho passato il sale e mi sono preso una sberla sulla mano, perché il sale va posato sul tavolo, in modo che poi chi lo vuole se lo può prendere; se lo si passa direttamente la sfortuna si abbatterà sul malcapitato.
- Sfatiamo un mito: non è vero che dopo avere mangiato bisogna aspettare tre ore prima di fare il bagno.
FA: Saperlo prima…! Un’infanzia rovinata. Per dire il numero incredibile di queste credenze. E smentirle una per una diventa un’impresa improba, anche se credo che un tentativo valga la pena di farlo… insomma, uno ci prova.
S: I pipistrelli nei capelli…
FA: Esatto. Un’altra cosa di quelle… immaginiamoci un animale il cui obiettivo è entrare in una stanza per aggrovigliarsi nei capelli di una persona, e lì morire. Ma neanche il Dodo… Ora, ovviamente avere in testa un pipistrello impazzito di paura è un’immagine che fa impressione ma sappiamo perfettamente che al buio se la cava molto meglio di noi.
- Passiamo a come avete lavorato, a partire dalla storia. È la prima volta che ho visto la sceneggiatura di un fumetto, quindi me la sono studiata insieme ai miei figli e vedrò di farne buon uso…
FA: Non è niente di che, è molto standard: prima c’è la descrizione delle scene, poi le battute.
S: Meno verbosità in futuro, per favore… ho fatto un certa fatica a farci stare tutto!
- Quando scrivi immagini, ti immagini le scene e i disegni? Sai già come verranno?
S: In realtà Francesco è anche un disegnatore quindi capisce tutti gli aspetti della storia.
FA: Diciamo che mi faccio un piccolo storyboard… sempre ottimistico, perché non so come verrà disegnato.
- E questa volta com’è andata? La realizzazione di Silver alla fine è stata molto diversa da come l’avevi immaginata?
FA: Ovviamente è nettamente superiore a come potevo immaginarla io. E sono contentissimo, per mille motivi diversi… in realtà, quello che faccio io è semplicissimo e verrà messo “in bella” dal disegnatore… io lo faccio “in bruttissima”; uno schemino con gli ingombri dei personaggi, per verificare – per esempio, se il Lupo ed Enrico la Talpa stanno parlando – che l’inquadratura possa comprenderli entrambi, visto che sono personaggi di altezze diverse. E poi lo spazio sufficiente per le battute, sul quale come dicevo sono sempre molto ottimista. Poi, quando la pagina viene disegnata, tutti i problemi vengono a galla e la soluzione finale, che è quella del disegnatore, è sempre la migliore.
- E tu, Silver, tagli le battute, le condensi?
S: No, assolutamente, sono rispettosissimo del testo, in modo quasi maniacale, fino ai punti e alle virgole. Anche perché so benissimo che Francesco non è sciatto, non dimentica in giro virgole, punti esclamativi o a capo. Poi, tra l’altro, è la prima volta che facciamo qualcosa a quattro mani e spero che non sia l’ultima.
- Come ti sono venute in mente le scenette iniziali, già a pagina 1?
FA: Ho cominciato con alcuni altri tentativi, ma alla fine erano tutti abbastanza didascalici, con il personaggio che spiega le cose, e così via. Ragionando un po’ su quanto si diceva prima, sulla bassa soglia d’attenzione del lettore, e sul fatto che dovevo invogliarlo a proseguire con cose che – in un certo senso – rischiavano di diventare più noiose a mano a mano che si andava avanti, ho pensato di “catturarlo”, di ingraziarmelo con un po’ di uscite e di battute veloci, per individuare subito l’argomento di cui si sarebbe parlato e accompagnarlo, già a pagina tre, alla scoperta dell’arrivo degli altri personaggi della fattoria. Non c’è un intreccio, o un mistero da risolvere, e il problema era proprio riuscire a rendere leggibile una storia così “a rischio”, che in teoria poteva anche vedere solo il Lupo ed Enrico seduti in poltrona, in salotto… ma 24 pagine raccontate così sarebbero state un po’ impegnative. Ci sono quindi tutta una serie di piccoli espedienti, come quando c’è il riferimento a Newton, che dà il pretesto per visualizzarlo. Torniamo a Come si diventa autori di fumetti: tanti esempi per fare capire quello di cui si sta parlando, raccontando il più possibile con le immagini. Senza tirarsi indietro quando c’è da essere verbosi…
- Le storie di Lupo Alberto sono tutte di Silver?
S: Francesco in passato ne ha scritte moltissime, poi è stato preso da altri impegni. Ancora oggi un buon 50% le scrivo io ma ci sono anche altri autori, sia per i testi che per i disegni. Uno staff, insomma, di cui c’è stato bisogno quando a suo tempo facemmo due serie televisive, per un totale di più di 100 episodi… Ci lavorammo in quattro o cinque. Un lavoro molto faticoso.
FA: 104 per la precisione, due stagioni. Ricorre il ventennale quest’anno…
S: Per la maggior parte erano prese dai fumetti, da storie di Francesco, Piero Lusso e anche mie. Poi, va detto che ci scontrammo con un mondo molto diverso da quello del fumetto, popolato da funzionari RAI… con Giacobbo direttore di RAI2, quindi si torna a parlare di bufale. [risate]
- Comics&Science è cominciato con Misterius, dove il buon Giacobbo stava in copertina, quindi mi sembra giusto…
S: Che poi non lo conosco ma mi sembra simpatico, un bonaccione… a Milano direbbero “è un pistola”.
Un commento