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Civil War: come fare a pezzi il sogno americano | Recensione 

Civil War, Alex Garland fa a pezzi il sogno americano con un film pregno di consapevolezza, violenza e coraggio

Non siamo ancora arrivati alla metà di questo 2024 ma con la recensione di Civil War già possiamo affermare di aver visto una delle migliori pellicole di quest’anno. E porta la firma di Alex Garland, tra i migliori autori del nostro panorama. Indubbiamente uno dei film che più dividerà il pubblico, ma non tanto per l’apprezzamento o no, quanto più tra chi vuole davvero vedere la realtà dei fatti e chi, ipocritamente, preferisce raccontarsi ancora un’altra storia. Dal 18 Aprile al cinema con 01 Distribution.

Civil War, la trama non del solito film di guerra

Nick Offermann in Civil War

Di guerra non si smetterà mai di parlare. Anche se dovessimo vivere in un momento utopistico privo di distruzione, morte e lotte al potere politico o religioso che sia, di guerra non si smetterebbe comunque di parlare. Nel bene (poco) e nel male (tanto) fa parte del nostro DNA e il cinema, in tutte le sue forme e sfumature, si è sempre mostrato un’importante lente di ingrandimento.

Non importa se si sta parlando di un reale avvenimento storico, di distopia o fantascienza, anche attraverso il fantasy si può riflettere sugli orrori ed errori, sulle fazioni, sui carnefici e sulle vittime della guerra. Tolkien, in questo caso, si sentirebbe tirato in causa.

Dopo il grande fermento suscitato da Jonathan Glazer con La Zona D’Interesse, tocca ad Alex Garland parlare di guerra con Civil War. Entrambi scelgono un approccio sperimentale alle loro pellicole, ma se Glazer riporta il dramma della Seconda Guerra Mondiale, soprattutto dei campi di concentramento ma attraverso un punto di vista completamente atipico, Garland preferisce utilizzare la distopia di una guerra civile che ha spaccato completamente gli Stati Uniti d’America mettendo gli americani l’uno contro l’altro. Ma quello di Garland, è davvero un futuro così impossibile? O forse, come Glazer, utilizza il mezzo cinematografico per parlare di ciò che stiamo vivendo oggi, proprio ora, anche mentre stai leggendo queste parole? 

Kirsten Dunst in Civil War

Ambientato in un’America sull’orlo del collasso, divisa da una guerra civile che non guarda in faccia nessuno, Civil War si presenta apparentemente come un road trip che vede protagonisti la famosa photo reporter di guerra Lee (una straordinaria Kirsten Dunst mai vista prima in una veste simile) e il giornalista Joel (un ottimo, davvero ottimo, Wagner Moura). Il loro scopo è arrivare a Washington D.C. prima della sua caduta per poter avere l’esclusiva assoluta sulla sola ed unica dichiarazione dell’attuale Presidente degli Stati Uniti (Nick Offermann) – tronfio della sua retorica dal “vago” gusto trumpiano – prima che sia finita.

Lee di guerre ne ha viste tante, forse perfino troppe, arrivando al punto tale da non provare più nulla, non essere turbata praticamente da niente, danzando a braccetto con la morte e la sua reflex, mentre i più efferati crimini vengono compiuti sotto il suo scatto attento e veloce. Joel sembra condividere gli stessi “anticorpi” di Lee, ma a differenza dell’amica viene spinto anche da un profondo stato di eccitazione, frenesia, desiderio di spingersi sempre più oltre il limite, dopato dal rischio.

Eppure tanto Lee quanto Joel, nonostante il loro animo “corrotto” dagli orrori dell’essere umano, sono accomunati da una missione ben più importante che affonda le radici in quello che dovrebbe essere il codice di ogni giornalista: la verità al costo della vita

Al loro viaggio sia vanno ad unire altre due persone, uno storico reporter del New York Times, mentore della stessa Lee, Sammy (Stephen McKinley), e la giovanissima e aspirante photo reporter Jessie (Cailee Spaeny), ancora così innocente, ingenua ed impreparata a cosa voglia dire essere davvero presente sul campo, scattare a qualsiasi costo, in qualsiasi circostanza, al di là di quanto possa essere terrificante lo “spettacolo” che potrebbe pararsi di fronte al proprio sguardo. Ma, forse, in questo viaggio, nessuno è davvero preparato a ciò che li aspetta davvero. 

Il coraggio di Alex Garland

recensione Civil War

Non ci viene data una chiara idea di come, effettivamente, tutto questo sia iniziato. Civil War si apre con un discorso infarcito di retorica del Presidente degli Stati Uniti, vaneggiando vittorie per l’umanità stessa ma che altro non sono se non il preludio di una fine o di un inizio, ma non dei migliori. La scelta, ovviamente, è dettata proprio dal desiderio di lasciare spazio all’immaginazione dello spettatore.

Potrebbe essere successo qualsiasi cosa e qualsiasi cosa avrebbe un fondo di verità. Quindi, fin dall’inizio, Garland spiana il terreno per un’atmosfera di inquietudine, di presagio, qualcosa che, presto o tardi, accadrà e le cui conseguenze saranno devastanti, per tutti. L’accento, però, viene particolarmente posto su come gli orrori precedenti a questo abbiamo completamente plasmato, per non dire deformato, chi li vive in prima persona o, ancora meglio, chi li racconta. 

E prima ancora degli sguardi, dei silenzi tra i protagonisti, a parlare sono proprio gli scatti, fin dall’inizio. La freddezza con cui il personaggio di Kirsten Dunst, Lee, immortala alcuni frammenti, restandone talmente tanto distaccata da sembrare quasi inumana. Si muove come un predatore, ancora prima che la “bomba” possa realmente esplodere. Fiuta l’ambiente, la tensione tra chi chiede la propria razione d’acqua, chi si lamenta, chi si ribella, chi si immola per un ideale. Ma quale?

Sa che qualcosa sta per accadere, ormai ben allenata, lo percepisce. Quello è il suo regno, il suo mondo, quell’universo di sangue e tragedia che l’ha creata, modificata. Una specie di sesto senso che l’accompagna, e ci accompagna, dall’inizio alla fine. Lee sembra impersonificare il nostro presentimento verso un futuro sempre più nero, ma anche quel cinismo che l’essere umano mostra quando fin troppo dolore gli viene spiattellato di fronte lo sguardo.

Ed è proprio così che lei, così come il gruppo di compagni, compresa la nuova leva che fin da subito ci appare come una nuova generazione a cui lasciare il testimone, vivono di quell’adrenalina, di quel bisogno di essere in prima linea, sul campo, raccontandosi di dover rischiare la vita per la verità, una verità che dovrebbe essere di dominio pubblico, ma che in realtà sono talmente tanto legati a quel tessuto così necrotizzato da non poterne più fare a meno. 

Il coraggio di Garland risiede proprio in questo: con Civil War non confeziona il classifico film di guerra dove i “buoni e cattivi” sono ben distinti. Non porta in sala la pellicola hollywoodiana dove i buoni sono i grandi salvatori. No, l’ultima scena ci svela esattamente che Civil War è l’opposto. Anzi, forse addirittura marca ancora di più la morbosità nei confronti della ricerca di una verità che finisce con l’essere strumentalizzata, anche a costo della vita.

Quella di Garland è una vera e propria radiografia del malessere di una Nazione (e non solo). Del resto, in un’America come quella di questo film, sperare in un lieto fine sarebbe da veri sciocchi. 

Sperimentare tra generi, l’unicità di Civil War

Jesse Plemons in Civil War

Dal punto di vista stilistico è pressoché impossibile inquadrare un film come Civil War e, in fondo, neanche necessario. La sua bellezza risiede proprio nell’essere una pellicola ricca di contaminazioni, dall’Apocalypse Now di Francis Ford Coppola al The Hurt Locker di Kathryn Bigelow, dal road movie al reportage di guerra estremamente realistico e, per questo, efficace senza quell’eccesso di morboso splatter. Civil War è tutto questo ma anche altro.

Il suo ritmo passa da una narrazione più quotidiana e dilatata, trascinando lo spettatore verso una suspence più esasperante che raggiunge il culmine in vere e proprie scene d’azione dove il rimbombo degli spari risuona fin dentro lo stomaco. Tamburellante. Frenetico. Quasi sempre seguito da un silenzio palpabile rotto solo dallo stormo di uccelli in volo, preludio di qualcosa di ancora più terrificante. Durante le scene di lotta, si percepisce una furia inarrestabile, grazie anche ad un montaggio esperto capace di catturare non solo la violenza del momento ma anche la stasi dettata dalla ricerca dello scatto perfetto nel bel mezzo della carneficina. 

Si viene completamente sovrastati dall’immagine, falciati via dall’azione, dalle situazioni sempre più estreme dove è davvero impossibile prevedere come andrà a finire, chi resterà per davvero e cosa, di lui o di lei, ne resterà. Sembra quasi che Garland voglia farci perdere un pezzo di umanità in più, minuto dopo minuto, o forse farci acquisire più consapevolezza del mondo che ci circonda. Del resto Civil War è un film dove si combatte, si combatte a tal punto da non sapere più per cosa si stia combattendo per davvero.

Il nuovo cinema di frontiera

recensione di Civil War

Avviandoci verso la conclusione di questa recensione di Civil War, possiamo dire: ciò che fa Alex Garland è letteralmente fare a pezzi il sogno americano, smantellarlo in ogni suo blocco, dando origine ad un incubo ad occhi aperti. Un incubo amaro e nocivo che sa di verità, portando alla memoria ciò che accadde due anni fa con l’assalto al Congresso del 6 gennaio.

Se quella scintilla fosse diventata una fiamma e la fiamma incendio e l’incendio inferno, Civil War sarebbe la perfetta diapositiva del punto in cui si troverebbe attualmente l’America, tra cecchini sui tetti, attentatori, predatori, carestia, strade vuote e terre selvagge. E l’aspetto più interessante è forse la forma di vouyerismo che il regista riesce a mettere in scena, perché più si va avanti nella pellicola, più la tensione sale, l’ansia sale e anche il bisogno di vedere come andrà a finire anche se lo sappiamo, lo sappiamo già. L’abbiamo visto centinaia di volte, lo stiamo vedendo ancora mentre una grossa fetta di popoli, Paesi, si ostina a dire: va tutto bene. Va tutto bene. Ma cosa, esattamente, sta andando bene? 

C’è un’esigenza molto forte a cui sta rispondendo il cinema in questo momento attraverso storie come Civil War o La Zona D’Interesse, il bisogno di aprire gli occhi, il bisogno di consapevolezza e verità. Quella stessa verità per cui i protagonisti di questa pellicola rischiano la vita e non solo, perché in un contesto di questo genere è più una lotta alla sopravvivenza che una lotta alla vita, e come se ne esce in ogni caso? Svuotati, sfiancati, emotivamente distrutti. E poi la giostra ricomincia, ricomincia, ricomincia, perché non c’è posto per i più deboli, non c’è posto per i sentimenti e l’empatia. Ma come ci si può svuotare di tutto questo fino a questo punto? Non si può.

Ed ecco che va in scena il vero fulcro del film, non solo la guerra che tutto toglie e niente dà, ma quelle poche relazioni sociali ed intime che si riescono realmente ad instaurare, anche se viste con diffidenza e non certo per cattiveria, bensì proprio per proteggersi e sottrarsi al dolore di perdere qualcuno a cui si è affezionati.

Il cinismo, a volte, è un’arma di difesa. Ma dove ci porterà davvero tutto questo? Civil War prova a rispondere, con estremo coraggio e brutalità, a questa domanda, ma non penso che la risposta piacerà realmente a qualcuno. Nel dubbio, però, il nostro consiglio è quello di andare subito al cinema, svuotare la mente, prepararsi al peggio e godersi uno dei film più coraggiosi, violenti e necessari di questi ultimi anni.

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Gabriella Giliberti

Gabriella Giliberti, nata a Martina Franca nel maggio del 1991, è una critica cinematografica televisiva, scrittrice e content creator. Dopo essere cresciuta a cinema horror, vampiri e operetta, si è formata a Roma, specializzandosi in storia del cinema, sceneggiatura e critica. Dal 2015 al 2022, è stata penna e volto del sito Lega Nerd, ricoprendo il ruolo di capo redattrice nella sezione Entertainment dal 2019 al 2022. Collabora regolarmente sia su riviste online che cartacee, ed è presente come inviata, moderatrice e speaker presso i principali Festival e Fiere. Attraverso il suo profilo @GabrielleCroix su Twitch, TikTok ed Instagram condivide e divulga l’amore per la pop culture con la sua community e pubblico di appassionati. Ha partecipato all’antologia “Emozioni da giocare” (Poliani, 2021) e “Moondance – Tim Burton, un alieno ad Hollywood” (Bakemono Lab, 2023). Da sempre appassionata di mostri, attualmente è a lavoro su diversi progetti che riguardano la rappresentazione del mostruoso nella società. “Love Song for a Vampire – Etologia del Vampiro da F.W. Murnau a Taika Waititi” (Bakemono Lab, 2023) è il suo primo libro, e non ha intenzione di smettere.

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