Che il cinema stia vivendo una situazione particolare è innegabile. Soprattutto guardando all’andamento dell’afflusso nelle sale cinematografiche, molte delle quali sono sempre più in crisi. La pandemia di Covid-19, e il “nuovo mondo” che si è conseguentemente creato nel periodo post pandemico hanno progressivamente e costantemente modificato le abitudini di consumo degli spettatori e dei fruitori di streaming. Il conflitto tra cinema e streaming è dunque sempre più evidente. Ma non è solo di questo tema attuale che abbiamo discusso in una intervista con Simone Soranna, importante figura emergente della critica cinematografica e professionista poliedrico.
Chi è Simone Soranna?
Con una laurea in lettere moderne, corteggia sin dall’infanzia il cinema in tutti i modi possibili. Organizza rassegne, cicli di corsi tematici, incontra addetti ai lavori, curiosa sui set, legge libri e riviste del settore. E, soprattutto, vede molti film, forse troppi, a sua detta. Scrive su Cineforum e su diverse altre testate specializzate, è caporedattore del portale LongTake.it, collabora come speaker per Fred Film Radio ed è autore televisivo per Sky Cinema. Insegna Cinema presso l’università degli Studi e l’Università Cattolica di Milano e lavora nel ramo della distribuzione per conto di I Wonder Pictures.
La nostra intervista con Simone Soranna
Ora che vi abbiamo introdotto per sommi capi il tema di cui andremo a trattare e l’esperto in materia che abbiamo coinvolto, bando alle ciance. Vediamo da vicino cosa ci aspetta per il futuro del cinema e dello streaming!
Cominciamo la nostra intervista raccontandoci di te, Simone, e di come è nata la tua passione per il cinema.
A 6 anni nel 1997, questa passione nasce con il film Disney Hercules. Mi aveva incuriosito perché la campagna pubblicitaria aveva coinvolto molto i bambini grazie alla presenza dei doppiatori, all’epoca famosi, Zuzzurro e Gaspare. Per me era come una festa, vedere questo cartone, con gente importante al doppiaggio. Così sono andato al cinema con mia zia e al termine le chiesi dove fossero i due doppiatori famosi.
Pensavo fossero dietro lo schermo per dare le voci ai personaggi. Lei mi disse che non funzionava così e solo quando la sera a cena i genitori mi raccontarono come funziona, è nata lì l’ossessione più bella del mondo. Studiando poi all’università, avevo scoperto che a fine Ottocento c’era effettivamente un imbonitore che spiegava in sala cosa succedesse sullo schermo durante i film muti.
Da allora ho guardato i film in maniera sempre più coinvolta. Ho cominciato anche a leggere le riveste Ciak sul cinema dell’epoca, ma è anche vero che sono cresciuto in una famiglia dove non c’era una forte cultura cinematografica. Poi con la decisione dei miei genitori di farmi frequentare il liceo classico, presto ho cominciato a navigare nell’ambiente come giornalista e critico (anche se dicevo con la stupidità del caso all’epoca di essere un critico, ride ndr). Da lì sono entrato nelle varie attività stampa e nei cineforum fuori Milano, modero dibattiti e film, fino a seguire eventi più strutturati. Un percorso classico, insomma.
Dalla passione alla professione: nel tempo hai svolto parecchie mansioni diverse in questo mondo. Ma quanto è complesso entrare oggi nel mondo del cinema in veste di “addetto ai lavori”?
È una bella domanda, difficile rispondere. Ci sono tanti aspetti della filiera, dalla produzione alla comunicazione, da giornalisti, a influencer, a esercenti eccetera, ma non penso che sia tanto difficile entrarci, quanto sopravvivere in questo settore. Se si è volenterosi e si vuole toccare con mano la professione, si trova facilmente qualcuno che offra aiuto. Il problema sta nel fatto che, per via della propria passione, si rischia di regalare il proprio tempo agli altri e ce ne si approfitta, quando si entra nell’ambiente.
Bisogna essere in grado di farlo diventare un proprio lavoro, ma tante persone non riescono a stare in questo ambiente solo con una attività. Si arriva fino a dieci collaborazioni diverse contemporaneamente. Anche svolgendo mansioni completamente diverse.
Tra le varie attività, non possiamo esimerci dal citare la fondazione della redazione di LongTake, probabilmente il tuo “primo figlio” nel settore, per importanza. Cosa significa per te, Simone, questa realtà, vissuta inoltre come caporedattore?
LongTake è davvero come avere un figlio, sono otto anni che ormai è online circa e c’è alle spalle un lavoro di quasi due anni precedenti per realizzarlo. L’ho visto crescere ed è una realtà irrinunciabile. L’idea è nata dall’intuizione di un gruppo di amici, un po’ come in The Social Network che racconta la nascita di Facebook, anche se non penso che questo sito possa avere la stessa fortuna (ride, ndr).
Lì mi sono occupato di tante cose diverse, con tante pieghe diverse e ora ricopro il ruolo di caporedattore, con una redazione che si occupa non solo di contenuti testuali del sito.
Siamo poliedrici, bussiamo a ogni porta per avere collaborazioni sul territorio. Anche durante il lockdown abbiamo avuto una grossa fortuna di click e vendita dei prodotti. Si era costruita una rete su Milano, e il mio ruolo era portare i contenuti del sito in eventi fisici sul territorio. Ora invece siamo pià attivi online, con interazioni social, e sto cercando di inventarmi qualcosa di nuovo per dare l’idea di un portale di critica, che però si prende poco sul serio.
Vogliamo anche portare eventi freschi e frizzanti, visto che in generale ora la critica sta arrancando e stiamo cercando di darci una spinta.
Spostiamo ora l’attenzione sul mondo del cinema in quanto tale. Abbiamo appena ripercorso insieme a te i principali passi formativi e professionali che ti hanno condotto dove sei ora, quindi saprai darci sicuramente un punto di vista autorevole sullo stato dell’arte del cinema e dello streaming. Cosa sta succedendo a questo settore, e come prevedi possa (forse) risanarsi la situazione della crisi delle sale cinematografiche?
Non sono molto ottimista, lo dico a malincuore perché sono un grande appassionato e arrivo da quella esperienza. Conosco esercenti che sono in crisi e sono serenissimo sul fatto che il cinema non morirà mai per colpa dello streaming. Vedremo sempre dei grandi film finché non ci estingueremo, ma il problema è come vedremo i film. Non chiuderemo tutti i cinema per colpa dello streaming, ma da qui ai prossimi anni ne chiuderemo tanti.
C’è più pubblico e cultura, con tanta voglia di partecipazione, ma ad esempio parecchi esercenti su Milano, città che conosco bene, sono in difficoltà. Si tende al ribasso nella frequenza di afflusso nelle sale nei grandi centri, figuriamoci fuori da questi cosa succede.
La piaga del box office sembra risanarsi, ma non è ancora sufficiente. I ragazzi ancora non fruiscono il cinema, guardano tv e streaming e non se ne preoccupano. Li paragono un po’ a me quando ero al liceo e di quanto ero affamato di musica. All’epoca però già c’erano altri formati digitali, e forse ho contribuito a mandare in rovina i negozi di dischi fisici (ride, ndr). Ora la situazione è simile.
Quale consiglio daresti per risanare questa situazione, unendo il problema attuale con la tua volontà di organizzare eventi frizzanti?
Inizierei a pensare a come riempire sala senza film, ossia con sale polivalenti tra concerti, tornei di gamer, assemblee di condominio per assurdo ecc. Perché non succede come alle fiere di settore videoludico, dove tanti si riuniscono per vedere persone che giocano? Ma del resto questo è un settore molto vecchio, con persone anche anziane che lo gestiscono. Manca una spinta diversa e la pandemia di Covid-19 ha dato una grossa batosta. Le logiche sono vecchie, si è scampato un primo pericolo con i film pirata, ma ora c’è lo streaming. Anche se non è solo colpa di questa nuova metodologia di fruizione.
Simone, guardiamo ora invece nello specifico al settore dell’animazione. Hai scritto finora due libri, DreamWorks Animation. Il lato chiaro della luna e Oltre l’infinito. 25 anni di Pixar. Che rapporto hai con l’animazione, e quali ritieni siano le potenzialità di questo comparto produttivo? Considerando soprattutto colossi indiscussi come Disney, che sta diventando sempre più una “lunga mano” che arraffa importanti brand come Star Wars o il MCU (Marvel Cinematic Universe), quali le commistioni future e le previsioni sulla spartizione del panorama, tra le grandi case produttrici e le realtà minori?
Per me l’animazione è un grandissimo amore perché come ho detto prima ho cominciato così ad avvicinarmi al cinema. Ma forse è colpa dei fumetti, perché li leggevo prima di cominciare ad andare al cinema, ed ero affascinato dalle tavole colorate. Quello che mi interessa di più è che l’animazione la tecnica cinematografica è la più libera che esista: quando Scar uccide Mufasa (nel film Il Re Leone, ndr) vediamo una tragedia shakespeariana, non solo due leoni fratelli, non analizziamo il concetto razionalmente.
Al contrario, quando guardiamo film di fantascienza è diverso, o anche prodotti come Fast & Furious. Sembra che quando vediamo un cartone animato, crediamo di più alla storia. Recentemente alcuni grandi registi sposano il linguaggio animato e fanno cose incredibili. In questo modo, non ci sono limiti alla cinepresa, e per me questo è magnifico perché l’animazione dà molti meno vincoli. Come lo racconti sta a te per affascinare il pubblico.
Per quanto riguarda invece la compagine Disney, parliamo di un’azienda che si è presa tutto e tutti, e sta diventando un monopolio. C’è forse il rischio di tornare alle origini con Studio System, e per questo ne risente la qualità del prodotto. Ma forse questo percorso è inevitabile, seguendo la logica del soldo. Finché non si mette un freno politico, per governare queste scelte, il pesce grosso mangia quello più piccolo per necessità.
Un’ultima domanda, Simone: cosa ti auguri per il mondo del cinema, e cosa auguri e consigli invece a chi volesse addentrarsi in questa grande macchina produttiva?
Per il cinema, parlo per quello italiano che conosco meglio, mi auguro si possa lavorare in maniera più seria per non farsi guidare solo dal fuoco della passione, ma anche per vedere le cose come se fosse una grande azienda. E non ho ancora conosciuto una grande azienda. Un progetto se non si può realizzare economicamente non si fa, ma se lo vuoi realizzare bisogna anche ragionare su dinamiche lavorative più serie, cambiando questa mentalità i risultati arriveranno. Se oggi non ci sono queste possibilità, è per via della mentalità attuale.
Per chi vuole addentrarsi in questa giungla, consiglio di farlo. Mi danno fastidio quelli che lo sconsigliano in maniera disfattista; chi ha il fuoco della passione e la sente come vocazione, la deve seguire, ma bisogna essere consapevoli di quello a cui si va incontro. Non è una scelta facile, ma sono il primo a incentivare questo passo, studiando prima i numeri e il contesto. Bisogna fare uno studio contenutistico per entrare in questo mondo, preparandosi da un punto di vista professionale e di economia del settore, non sarà semplice. Ma non è nemmeno impossibile.
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