La National Association for Stock Car Auto Racing (NASCAR) è il secondo avvenimento sportivo più seguito in tutta America, subito dietro il faraonico Super Bowl; le gare sono trasmesse in 150 nazioni e coprono 17 dei primi 20 posti nella classifica degli eventi sportivi più visti negli USA; dal 2008 vi è anche una “ramificazione” europea che va raccogliendo sempre più seguito, eppure difficilmente si ha a che fare con la parola NASCAR se non ci si trova nel territorio a stelle e strisce.
Fortuna che la Disney – Pixar nel 2006 decide di colmare le nostre lacune, sfornare “Cars – Motori ruggenti” e ricordarci che quando si tratta di macchine da corsa non esiste solo la Formula 1. Con a malapena 120 minuti di film riesce ad orchestrare un tuffo nella storia motoristica americana, alimentare la curiosità dei più piccoli e strizzare l’occhio al mondo dei motori e del motorsport con mirati richiami sottoforma di veicoli, luoghi e corse.
Seppur il film non ebbe una valutazione critica elevata rispetto alle altre pellicole Pixar, la vera rivelazione fu il successo che ne ebbe dai prodotti licenziati e in home video che portarono nelle tasche della casa di Topolino cifre a nove zeri. Il film infatti fu un successo più fuori dalle sale che dentro, con giovanissimi appassionati già pronti a mettersi alla guida con anni di anticipo, come a simboleggiare quanto la parola NASCAR rappresentasse una miniera d’oro.
La National Association for Stock Car Auto Racing fu fondata da Bill France Sr. nel 1948 che sfruttò un’abitudine piuttosto in voga durante il proibizionismo e decise di organizzarsi per ricavare qualche profitto. All’epoca, infatti, per evitare le forze dell’ordine, i trafficanti di alcolici avevano iniziato a modificare la meccanica delle auto per renderle più idonee ai loro scopi: più veloci, leggere e sicure. Dopo aver compiuto il loro dovere queste auto, chiamate stock-cars, venivano usate per mettere su delle vere e proprie competizioni che decretavano la regina della velocità e dell’alcool. Non era raro infatti veder sfrecciare un’auto in una gara e il giorno dopo vederla competere con la polizia gettando bottiglie dal finestrino. Queste corse non organizzate rimasero anche dopo la fine del proibizionismo ed è qui che interviene il nostro Bill.
Mette su l’associazione, decreta come quartier generale Daytona Beach e inizia a far girare auto, piloti e soldi. Da allora la NASCAR ha preso sempre più piede fino a consolidarsi in ciò che è oggi: una joint venture di proprietà a gestione familiare che organizza e gestisce diversi campionati automobilistici tra Stati Uniti e Canada.
Seppur ci siano molti campionati regionali con circuiti diversi da quelli nazionali, un campionato europeo che ha lo scopo di formare i futuri piloti NASCAR, il titolo di re lo detiene comunque l’aquila dalla testa bianca con i suoi tre principali campionati: la Sprint Cup Series (fino al 2003 Winston Cup), la Xfinity Series e la Camping World Truck Series. La Piston Cup, campionato del lungometraggio animato, è chiaramente ideato sfruttando l’assonanza con Winston Cup, che rimane comunque il trofeo più importante della stagione.
Una volta definita la piramide delle competizioni per norme e regolamenti ci viene in aiuto Saetta McQueen a spiegarci il facile funzionamento. Si corre con autovetture derivate da produzioni in serie ma alla quale sono state apportate modifiche ad hoc a motore, sospensioni e aerodinamica. Le gare si svolgono per la maggior parte su circuiti dalla forma ovale (o quasi) e in parte su piste stradali.
Nel film la gara d’apertura finisce in parità tra i tre contendenti che si vedono costretti ad uno spareggio in California; nella realtà lo svolgersi della competizione è leggermente diverso: 36 gare spalmate nell’arco di dieci mesi di corse, in cui piloti, squadre e costruttori cercheranno di fare man bassa di tutti i punti possibili che infine decreteranno il vincitore (appesantito anche da parecchi milioni di dollari).
Fama, premi in denaro, sponsorizzazioni e un trofeo in argento ben lucidato da esporre in una qualsiasi bacheca sono ciò che aspetta il campione alla fine della calda stagione automobilistica.
Come la maggior parte dei prodotti americani anche nella NASCAR lo spettacolo la fa da padrone e risulta essere anche il traguardo a cui aspirare.
Si parte con il creare la miscela, formata dai mostri dell’asfalto in gara: 450 cavalli, entrata finestrino, carrozzeria in vetroresina, motore V8 da 5,7 litri, assenza di elettronica, sospensioni/pneumatici identici per tutti e cambio classico a quattro rapporti.
Preparato il carburante poi viene versato nel serbatoio americano: circuiti, pubblicità, premi, scommesse, carne alla griglia e la proverbiale atmosfera domenicale. Infine non rimane che mettere in moto e godersi lo spettacolo delle lotte paraurti contro paraurti, carambole a catena, schegge testa a testa e ammirare a pieno l’abilità dei piloti e dei loro team.
Perciò se questo articolo vi ha incuriosito, provate ad andare a vedere una gara di NASCAR (il circuito più vicino è l’autodromo di Franciacorta) e chissà che magari non possiate passare oltre la rete metallica e provare l’impresa alla Saetta McQueen.