Cabinet of Curiosities è l’ultima grande opera antologica di Guillermo Del Toro, ora disponibile sulla piattaforma streaming di Netflix: ecco la nostra recensione, giusto in tempo per Halloween.
La recensione di Cabinet of Curiosities, l’elegante e grottesca antologia di Guillermo Del Toro
Ci sono poche certezze al mondo e una di queste è Guillermo Del Toro impegnato in un progetto horror. Oggi è Halloween e non potevamo non parlare di Cabinet of Curiosities, l’ultimo capolavoro firmato da Del Toro, ora disponibile sulla piattaforma streaming di Netflix. Si tratta di un’elegante e grottesca antologia horror, in cui ogni episodio narra una storia diversa e unica nel suo genere.
Del Toro ha scritto due degli episodi, ma si è preso cura dell’intera antologia, chiamando con sé otto registi per dare vita a degli orrori meravigliosi. Guillermo Del Toro compare all’inizio di ogni episodio, come narratore, che ci introduce con poche parole la storia che andremo ad ascoltare, quasi come se volesse leggerci la favola della buona notte.
Tuttavia Del Toro ha un aspetto sinistro, un ghigno attento e gli oggetti che tira fuori dal suo mobile delle curiosità sembrano quasi maledetti. Accanto a lui troviamo infatti questo meraviglioso mobile di legno, realizzato nei minimi dettagli, da cui tira fuori curiosi oggetti, protagonisti della prossima storia.
Le storie che vengono narrate sono state realizzate nel perfetto stile di Del Toro: contorte, magiche, tenebrose, con una morale morbosa ed agghiacciante. Come già accennato, ci troviamo davanti ad un’antologia ovvero storie differenti l’una dall’altra, senza alcuna connessione tra di loro se non l’atmosfera macabra e oscura.
Storie suggestive ed avvincenti
La serie ha inizio con Lotto 36, diretto dal collaboratore di lunga data di Del Toro, Guillermo Navarro, che ha vinto l’Oscar come direttore della fotografia de Il Labirinto del Fauno. Qui Tim Blake Nelson interpreta un veterano militare che viene lentamente inghiottito dalla vita: passa le sue giornate inseguito dagli esattori e vendendo il contenuto di magazzini abbandonati. Il suo personaggio, di mentalità chiusa e in lotta con il mondo, all’improvviso si imbatte in un magazzino che nasconde qualcosa che non avrebbe mai dovuto essere trovato.
La serie continua poi con I ratti del cimitero di Vincenzo Natali. Adattato dal racconto di Henry Kuttner, la premessa è semplice e diretta: un ladro di tombe dissotterra un ricco cadavere ma all’improvviso un branco di ratti lo trascina via. Deciso a prendere ciò che gli appartiene, insegue i ratti attraverso tunnel bui e stretti. Lì sotto però scoprirà qualcosa di oscuro e orribile. Il viaggio attraverso questi vicoli stretti è ripugnante, claustrofobico e stressante. Momenti altrettanto orribili e macabri li troviamo nel racconto L’autopsia. Una storia fantascientifica in cui un medico legale si imbatte in un cadavere che ha bisogno di qualcosa.
Poi troviamo Il modello di Pickman di H.P. Lovecraft, adattato dal regista Keith Thomas. Qui il regista si serve delle qualità magiche di Del Toro e del terrore cosmico di Lovecraft per offrire una storia ansiogena e cruda, tesa e piena di arte. In seguito abbiamo La Visita, che riteniamo essere il racconto più distopico e particolare dell’intero mobile delle curiosità di Del Toro.
È poi la volta de L’Apparenza che si mostra come il classico “attenzione a ciò che si desidera”. Il racconto ci viene offerto da una meravigliosa interpretazione di Kate Micucci, e confezionato all’interno di una scatola di creme di bellezza dai poteri magici. Non solo storie macabre ed inquietanti ma anche storie profonde e piene di significato.
Il Brusio è una di queste. Il racconto fa luce sulla perdita e sul disperato tentativo di superarla, insieme ad un Andrew Lincoln che abbandona gli zombie e si mostra in una veste diversa.
Infine abbiamo I sogni nella casa stregata, con un Rupert Grint che ci offre una delle sue migliori interpretazioni, lasciando dietro di sé il pauroso Ronald Weasley. In questa storia, un ricercatore si avventura in un mondo sconosciuto per ritrovare sua sorella gemella, morta e scomparsa all’improvviso.
Carattere e personalità
Cabinet of Curiosities è un piccolo capolavoro: in ogni storia troviamo l’essenza di Guillermo Del Toro che si fonde perfettamente con la personalità di ciascun regista, offrendoci un prodotto unico e pieno di sfumature. Ciascun regista trae ispirazione da Del Toro senza però mai perdere di vista il loro essere, la loro identità.
Non ci vengono presentate storie paurose che ci fanno saltare dalla sedia, piuttosto si preferisce un approccio più delicato ma intenso, che inizia col creare la giusta atmosfera. A questo ci pensa Del Toro all’inizio di ogni spiegazione. Poi, in men che non si dica, ci si ritrova all’interno di ambientazioni suggestive e macabre. I personaggi sono inquietanti e improvvisamente l’ansia inizia a farsi sentire. La tensione, l’inquietudine e il senso di malessere aumentano, fino alla fine dell’episodio. E poi ricominciano, in modo diverso.
Alcuni episodi sono più violenti; altri si concentrano sul messaggio – seppure in modo macabro. Altri ancora, invece, offrono un meraviglioso equilibrio di terrore e messaggio profondo.
Cabinet of Curiosities è una deliziosa ed elegante chicca da non perdere, un racconto completo e profondo, innovativo e grottesco. Guillermo Del Toro ci accoglie nella sua casa degli orrori che, nel suo mondo, assumono sfumature diverse, uniche, terribili. Accettate il suo invito e lasciatevi cullare.
Vi ricordiamo che la serie TV è ora disponibile sulla piattaforma streaming di Netflix.
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Ho visto i primi 4 episodi e mezzo (Pickman sono a metà). Mi hanno letteralmente fatto schifo tutti a parte il secondo, “I ratti del cimitero”, che mi è parso molto carino. Semplicemente osceno il doppiaggio italiano, che ha ammazzato in particolare l’episodio “L’autopsia”, rendendolo non solo inguardabile ma anche odioso.