Per un curioso caso del destino, tra scelte distributive italiane e rinvii pandemici, a pochi giorni dal debutto di Assassinio sul Nilo, Kenneth Branagh torna nelle nostre sale con Belfast. Una pellicola profondamente diversa dall’adattamento delle avventure di Poirot, che tocca corde più profonde per diventare quello che è stato definito “il film più personale del regista“. Vediamo insieme se le aspettative (innalzate anche dalle tante candidature agli Oscar ricevute) sono state confermate o smentite nella nostra recensione di Belfast.
Belfast, una città dal passato complesso
Nella sequenza di apertura Branagh ci guida per le strade della capitale nordirlandese odierna. Un giro tra gli scorsi di una città attiva, che però scavalcando un muretto ci catapulta direttamente a cinquant’anni fa. Cambia il colore, che passa al bianco e nero, come potete vedere dalle foto, ma soprattutto cambia il panorama. La Belfast in cui cresce Buddy è una città diversa, con quel gusto retrò di bambini che giocano per strada e vicini che si chiamano per nome.
Ma non si tratta di un idilliaco ritratto bucolico dei tempi che furono, anzi. Branagh ci racconta due storie, profondamente intrecciate fra loro. La prima è quella della famiglia di Buddy (che si basa direttamente su quella del regista) alle prese con difficoltà economiche; la seconda è quella più ampia delle rivolte nell’Irlanda del Nord e i sanguinosi scontri tra protestanti e cattolici.
Due vicende che ci raccontano l’aspetto più intimo e quello straordinariamente più ampio dell’infanzia del piccolo Buddy. Aspetti che in modo diverso spingono la storia integrale del film in direzioni differenti, portandola fino alla sua conclusione naturale. Un lavoro che pur risultando semplice a prima vista, è piuttosto raffinato se analizzato da vicino. Un ottimo lavoro dello stesso Branagh qui anche nelle vesti rare di sceneggiatore.
E dietro quelle storie, c’è il vero racconto umano che Belfast vuole essere. Quello che più si avvicina al bucolico messaggio a cui accennavamo prima. Il film di Branagh, oltre l’autobiografia, oltre che un viaggio nel passato, è una riflessione sull’addio. Quanto costa restare legati alle proprie radici? Quanto è difficile tagliarle? Qual è il peso che resta su chi rimane? Progresso o tradizione? Sogno o sicurezza? Nostalgia o rimpianto? Un discorso profondamente emozionante, affrontato con eleganza rara.
Forse il cast dell’anno?
Una parte non indifferente del successo di questo film è sicuramente da imputare ai suoi interpreti. Se l’Academy avesse introdotto quest’anno la categoria per il Miglior cast (già presente in altri premi), probabilmente il team di Belfast lo avrebbe portato a casa. Tutto l’insieme funziona perfettamente, con performance solide e convincenti, che riescono a trasmettere l’emozione voluta da Branagh.
Naturalmente spiccano le prestazioni di due giganti della settima arte, come Ciarán Hinds e la leggendaria Judi Dench. Il primo incarna alla perfezione il nonno che lega profondamente con il piccolo Buddy, ispirandolo e guidandolo per il suo futuro. La seconda dà vita a un personaggio per certi versi opposto, più ruvida e meno affettuosa in superficie, irrobustita da quanto passato, ma piena di umanità sotto la corazza.
A questo proposito, è il momento giusto di toglierci un sassolino dalla scarpa: che Caitríona Balfe, interprete della madre di Buddy in Belfast, non sia stata nominata all’Oscar è una delle ingiustizie più grandi di questa edizione. La sua performance è una di quelle che lascia a bocca aperta, che fa invocare la statuetta prima ancora di aver visto la concorrenza. Poco importa però dei premi, alla fine: quello che conta è che resterà nel cuore degli spettatori.
Perché c’è anche da dire che Belfast è un film per chi ancora è innamorato di questa arte. Qualcuno dirà che è un trucco facile per accattivarsi i cuori degli spettatori (e non avrebbe tutti i torti) ma ogni scena in cui Belfast ci racconta l’amore di Buddy – e di conseguenza del suo autore Branagh – per il cinema, in cui vediamo il piccolo con lo sguardo sognante verso il grande schermo, non abbiamo potuto trattenere una lacrima.
Belfast entra di diritto tra i migliori film dell’anno
Pur senza aver fatto troppo rumore nel mainstream, Belfast è indubbiamente uno dei film meglio riusciti dell’anno. Mantenendosi su una storia di base semplice, costruisce un’opera al contempo familiare e straniera, concreta e complessa, divertente, tesa e soprattutto commovente. Se amate la settima arte, correte subito al cinema a vederlo: con tutta probabilità uscirete dalla sala sapendo per quale film tifare il prossimo 27 marzo…
- Calamati, Silvia (Autore)