Tra i titoli più attesi della seconda giornata alla 79° Mostra di Venezia c’era sicuramente Bardo – anzi, Bardo (o falsa crónica de unas cuantas verdades) – di Alejandro González Iñárritu. Il regista torna sul Lido a otto anni di distanza dal celebrato Birdman o (L’imprevedibile virtù dell’ignoranza). Insomma, pare che Iñárritu consideri Venezia il terreno ideale per i suoi film dal titolo più lungo, ma non è certo un problema. Tanto più quando il risultato è come quello di Bardo, che ci ha lasciato a bocca aperta alla prima proiezione.
Con Bardo Iñárritu ci parla (anche) della sindrome dell’impostore
Il nuovo film del regista messicano riporta il focus proprio nella sua terra d’origine, il Messico. Seguiamo la vicenda di Silverio, un giornalista e documentarista che ha lasciato il suo Paese natale e ora vive da anni a Los Angeles, dove ha cresciuto i propri figli. Un uomo “arrivato” come si suol dire, che non è a fine carriera, ma ha già ottenuto successi straordinari. Fra cui un importante premio alla sua carriera, ma soprattutto alla sua etica giornalistica.
Anche per questo motivo tornerà in Messico, alla riscoperta delle proprie origini per raccontarle nella serata a lui dedicata. Ma questo innescherà un percorso di confronto con il proprio passato, scatenando in lui la cosiddetta “sindrome dell’impostore“. Non legata tanto al suo successo in sé, quanto basata sul dubbio che abbia tradito le proprie origini, “vendendosi ai gringos“.
La storia di Silverio è chiaramente connotata da una vena autobiografica. Pur senza calcare la mano risulta evidente che Iñárritu sfrutti Bardo per riflettere sulla propria carriera e sul proprio rapporto con il Messico. Un’analisi approfondita, che scava in ogni angolo della storia personale di questo autore, con una pellicola dalla durata che sfiora le tre ore, dense fino all’ultimo di avvenimenti.
Forse proprio sotto questo aspetto il film potrebbe migliorare. Ci sono diverse occasioni in cui sembra ‘allargarsi’ prendendosi più tempo del necessario per raccontare la sua storia, quasi a crogiolarsi in determinate trovate narrative e visive. Tuttavia a compensare c’è effettivamente un’impressionante qualità di Iñárritu dietro la macchina da presa, che si lancia in sequenze azzardate e sorprendenti. E soprattutto è consapevole e ironico su questi aspetti della sua pellicola.
Un racconto disorientante, ma perfettamente conscio
Quest’ultimo concetto non è frutto di nostre analisi accurate, ma è Iñárritu stesso a esplicitarlo in una delle scene più affascinanti della pellicola. Sempre da lì proviene quella descrizione “inutilmente onirico” che abbiamo scelto di riutilizzare nel titolo di questa recensione di Bardo. Nel farlo abbiamo scelto di aggiungere delle apici al primo avverbio. Perché di inutile (qualunque definizione si scelga di dare a questo termine) in questo film non c’è davvero nulla.
Fin dalle scene di apertura di Bardo, Iñárritu sembra determinato a disorientare lo spettatore. Un gioco continuo tra sogno e realtà, che sfuma quel confine tenendoci continuamente con il dubbio. Un modo per aprire le porte a sequenze incredibili, irrealizzabili in un contesto totalmente concreto, certo. Ma ciascuna ci rivela qualcosa della vita di Silverio ed è affascinante scoprirne il significato.
Non entriamo nei dettagli, ma possiamo dirvi che arrivati alla conclusione la nostra sensazione era quella di aver assistito a un’esperienza cinematografica straordinariamente potente. Un viaggio allucinante (per certi versi in senso letterale) che si ripiega su sé stesso in una fittissima rete di richiami interni. Tanto che, nonostante la sopracitata durata e tutti i discorsi che si possono fare a riguardo, il nostro primo desiderio giunti ai titoli di coda era quello di riavvolgere il nastro e ricominciare da capo.
Naturalmente non era possibile: altri impegni e altre proiezioni ci attendevano in quel della 79° Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Tuttavia, siamo già in fervente attesa di quando debutterà ufficialmente su Netflix per poter riscoprire questa pellicola.
Con Bardo Iñárritu segna un punto sulla sua carriera
Da un certo punto di vista questo film segue una tradizione ricorrente nel cinema d’autore. Iñárritu, dopo aver ottenuto il riconoscimento internazionale con due opere che lo immortalano nella storia del cinema come Birdman e Revenant, si dedica a un’opera più introspettiva e personale. Un film che si costruisce a partire da un’autoanalisi, ma su cui poi si sviluppa molto di più.
Sarà un’opera che farà discutere, che con tutta probabilità non incontrerà un successo quasi unanime come per quelle sopracitate. E ci sono senza dubbio ottime ragioni per criticarla (anche oltre quelle che suggerisce il regista stesso), ma al momento noi non possiamo che essere entusiasti dell’ultimo lavoro di Alejandro G. Iñárritu. Non fatevelo sfuggire quando sarà il momento.