Un’epopea famigliare che parte dall’Ottocento. Un ritratto intimo dell’amore verso il proprio padre. Un trattato su cosa significa la genitorialità. Una dissertazione biblica sulle figure di padri e figli, per capire il rapporto fra Padre e Figli. Il nuovo graphic novel di Roberto Battestini, Abbà Padre, sfuma con colori onirici tutti questi generi diversi in un’unica storia, che mentre leggevamo il volume per questa recensione ci ha colpito per quanto fosse personale. Un salto nella mente (e forse nell’anima?) del suo autore. Ma una volta chiuso il libro ci siamo resi conto che questa storia parlava anche di noi.
La nostra recensione di Abbà Padre di Roberto Battestini
I gusti sono gusti. E quindi potete trovare in Abbà Padre, il nuovo romanzo grafico di Roberto Battestini per Neo. Edizioni, tutti i difetti che volete. Ma non potete certo dire che non sia un graphic novel ambizioso. Né estremamente personale.
In queste pagine tratteggiate con leggerezza e colorate con bruciante passione, Roberto Battestini vuole scavare nelle sue radici. Le prime pagine di questa graphic novel ci mostrano proprio un albero che fra le fronde ha suo padre, sua madre, sua sorella. E alla base del tronco i suoi due fratelli, Pasquale e Rolando. Rapinatori della “Banda Battestini“, tristemente nota alle cronache.
Ma questo libro non si occupa di loro. Continuazione di A Caro Sangue, che invece racconta del suo rapporto con i fratelli, Battestini in questo libro vuole raccontare la sua vita intera alla luce della figura Paterna. Ma non fermandosi solo a parlare di sua padre, partendo addirittura dal bisnonno Eligio. Come dimostra il “Gioco dell’Oca genealogico” all’inizio del romanzo grafico.
Ma la figura del Padre per Battestini, che non nasconde in queste pagine la sua grande fede religiosa, guarda al divino. Tanto che sul suo blog l’autore spiega che questo progetto nasce da uno studio sulla figura di Sant’Antonio Abate. Per guardare alla paternità “sia in quanto padre sia in quanto figlio al fine di dare una visione quanto più possibile onesta della relazione padre-figlio-padre celeste-figlio di Dio“.
Tenere insieme questi livelli, uno personalissimo, gli altri storici e addirittura religiosi, sembra un’impresa difficile. Ma dall’inizio dell’opera ci sembra che Battestini ci porta in questo viaggio non per spiegarci cosa ha trovato, ma per invitarci a esplorare insieme. Togliendo ogni filtro per mostrarci quello che davvero pensa, quello che davvero crede.
Generazioni di padri e figli
Subito dopo il prologo, Battestini ci porta in una dimensione che sta a metà fra il testo e il meta-testo, mostrandoci se stesso che lavora e riflette, disegnando persino gli strumenti del lavoro da disegnatore che escono dalla pagina. Tanto che immaginavamo già di fare una recensione in cui paragonavamo Abbà Padre a Maus di Spiegelman, dove le fatiche dell’autore nel raccontare il padre si sovrappongono a quelle del padre durante il Secondo Conflitto Mondiale. Ma non è così.
Perché qualche pagina dopo, in una situazione surreale, sembra che lo stesso Battestini esca dalle pagine per dirci quello che vuole realizzare con quest’opera. Ci permettiamo di citarverlo: “C’è un solo motivo che mi tiene su questi fogli: il desiderio di andare in fondo. Conoscere mio padre. Le mie radici. Capire, come uno scriba che trae dal suo tesore cose antiche e cose nuove, quelle che rendono liberi. Perché voglio essere felice”.
Questa frase per noi ha fatto tutta la differenza. Perché sposta il piano di comprensione di questa commovente storia, che però risulta spesso difficile da seguire. Battestini infatti gioca con i piani temporali liberamente: una pagina stiamo attraversando il Tronto a nuoto con suo bisnonno Eligio, quella dopo lo vediamo portare suo figlio in ospedale dopo un incidente sul campo da calcio dell’oratorio. Suo padre bambino in un riquadro e anziano allettato in quello dopo.
Ma non dobbiamo seguire le vicende della sua famiglia: dobbiamo sentircene parte. E come succede a tutti, impariamo pezzi di informazioni da mezze frasi dette dai nostri genitori, ci colleghiamo per tema e non per ordine cronologico. Ricostruiamo questa storia quasi senza accorgercene, spinti dal cuore più dalla testa.
Recensione di Abbà Padre: un affresco personale e universale
Allo stesso modo, i riferimenti religiosi non sembrano citazioni che mostrano erudizione, ma una chiave di lettura che l’autore usa per capire il suo dolore e la sua gioia. Quindi non dobbiamo cercare su Google cosa significhino, perché nel contesto capiamo cosa vogliono dire. Anzi: sentiamo cosa vogliono dire. Il tutto pur non essendo noi persone religiose: questo romanzo non esclude, anzi ci porta a vedere con gli occhi del suo autore.
In tutto Abbà Padre, Battestini mette sempre se stesso in prima linea: e durante la lettura per questa recensione ci è sembrato di sentirlo. Se anche in qualche punto durante la lettura abbiamo perso il filo della storia, se anche non abbiamo colto riferimenti e richiami, ogni scena si sommava in un tutto che ci ha dato un senso di vicinanza con l’autore.
In questo modo, il rapporto padre-figlio lo viviamo non come teorico, ma come viscerale. Ma sempre seguendo un filo rosso che rende più potente questo intreccio narrativo. Lui preoccupato per il figlio che si è fatto male ci commuove di più vedendolo accudire il padre malato: due responsabilità così diverse eppure tanto simili.
In Abbà Padre, Roberto Battestini riesce a comunicare contemporaneamente concetti ed emozioni, grazie a colori che creano atmosfere e con un montaggio delle scene ambizioso e delicato al tempo stesso. E vola una pagina dopo l’altra verso una sorta di redenzione emotiva che, pur personalissima (o forse proprio per questo), sentiamo essere anche la nostra.