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Berlino, una romcom travestita da heist movie | Recensione

Berlino, la serie TV sull'iconico personaggio de La Casa di Carta, avrà le carte in tavola per replicare il successo del predecessore?

Il fenomeno de La Casa di Carta non poteva certo morire con la banda del Professore, così come un personaggio amato da un vastissimo target come Berlino, non poteva semplicemente fare la sua uscita di scena come da copione nella serie madre. In un’epoca di continua ricerca della nuova gallina dalle uova d’oro, mucca da spremere fino allo stremo, una serie TV spin-off su Berlino era il minimo che ci si potesse aspettare. Dal 29 Dicembre la serie TV da 8 episodi farà il suo esordio su Netflix. Ma ha le carte in regola per replicare un successo mondiale come quello de La Casa di Carta?

In questo mondo di ladri

recensione di Berlino

Ambientata svariati anni prima rispetto l’ambizioso colpo alla Zecca di Stato spagnola, ci troviamo negli anni d’oro della carriera del ladro Berlino (Pedro Alonso). La sua squadra è meno esperta e numerosa rispetto a quella del Professore, ma non meno temeraria o pronta a rischiare il tutto e per tutto. Del resto, lo stesso Berlino, ha architettato un piano ben stratificato e non privo di fuochi d’artificio e colpi di scena.

Il colpo, questa volta, ha un valore di 44 milioni di euro in gioielli. L’intento è proprio quello di penetrare, con un “gioco di prestigio”, in un caveau dove, solo per una notte, i gioielli delle famiglie più importanti d’Europa saranno tutti riuniti per un’esclusivissima asta. Ma per poter arrivare dentro la stanza blindata, non sono poche le cose di cui tener di conto e alcune piccole azioni preliminari, tra cui tenere sotto sorveglianza il notaio dell’asta, l’unico ad aver accesso ai gioielli e gestire un prete alquanto avido. Ma non solo!  

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Lo scenario, questa volta, si svolge a Parigi: la città dell’amore. Ed è proprio l’amore l’imprevisto più grande con cui, Berlino e la sua banda, dovranno fare i conti. Ostacolo imprevisto che porterà i ladri spagnoli a sudare freddo in più di un’occasione, rischiando non solo il bottino ma la loro stessa libertà. Si può davvero avere la botte piena e la moglie ubriaca o, anche i ladri, sono costretti a scegliere tra l’amore e i soldi? 

Berlino è una commedia romantica travestita da heist movie

recensione di Berlino

Le prime due parti de La Casa di Carta di Álex Pina, sebbene con un sottofondo sempre un po’ da soap opera, erano riuscite a conquistare anche il pubblico più ostico per la loro anima da heist movie. Una sorta di Ocean’s Eleven ma con protagonisti dei Robin Hood travestiti da Salvador Dalí.

La tuta rossa, la maschera e lo status degli stessi protagonisti, nonché l’iconica canzone partigiana Bella Ciao sono ben presto diventati un simbolo di rivolta, di riscatto sociale, di sfida nei confronti di governi che arricchiscono le tasche di chi non avrebbe bisogno di gonfiare ancora di più il portafoglio, a discapito di una classe sempre più povera, sfruttata e frustrata.

L’idea di base del Professore non è mai stata quella di arricchirsi semplicemente, ma quella di mostrare una falla nel sistema. Una ferita pronta per essere infettata, quasi ispirando il cittadino medio alla rivolta, a dar sfogo alla rabbia, alle ingiustizie. Oltre ad arricchire quello stesso popolo, distribuendo quei soldi rubati agli stessi potenti.

E questo, sicuramente, è applicabile anche per i complici. Di certo non gentiluomini dalla vita benestante, affamati sempre più di soldi e potere. Bensì, ultimi, reietti, personaggi al limite o che scelgono di dare una svolta alla loro esistenza. Lo stesso Berlino in La Casa di Carta è, in fondo, un Berlino diverso rispetto la sua serie spin-off… E qui, infatti, arriva il problema. 

La serie TV Berlino è tutto meno che una heist series.

Della sua serie TV madre ne ricorda il personaggio principale, alcuni riferimenti ad altri personaggi – piccole chicche che il pubblico già spettatore de La Casa di Carta può “prevedere” – e poco altro ancora. Fin dal genere di riferimento, così come ci hanno confermato gli stessi attori che abbiamo avuto modo di intervistare e le cui interviste vedrete nei prossimi giorni, la serie TV Berlino è una romcom. Cioè? Una commedia romantica.

Il fulcro non è il colpo, non sono i gioielli e riuscire a farla franca. Il fulcro è l’amore e le follie che l’amore può far compiere a qualcuno. L’amore inaspettato, appassionante, bruciante ed anche un po’ infantile che fa fare cose molto stupide. Giustificabile quando parliamo di ragazzini, se fossimo di fronte ad un teen movie, ma così non è. Tutto ciò che rimane all’interno di questa seria è un’insopportabile stucchevolezza. Un rigirarsi i pollici tra sospiri, desideri repressi, scelte davvero stupide e paradossali nonché fughe romantiche che mettono in discussione la vita di ogni singolo personaggio. 

recensione di Berlino

Una scrittura ripetitiva, blanda e poco efficace. Una messa in scena fin troppo “ariosa” che punta più a mostrare una cartolina di Parigi anziché restituire quella sensazione di ansia, adrenalina, rischio, claustrofobia e pericolo. I primi sei episodi sono un susseguirsi di scenette romantiche – alcune di dubbio senso e realismo – usando il colpo come mero pretesto o contorno.

Escluse rare eccezioni in cui si da un po’ di azione e dinamismo alla scena, ben più espresse negli ultimi due episodi dove, però, la serie ha un’accelerata improvvisa passando letteralmente da 0 a 100, a dominare costantemente la scena sono le relazioni tra personaggi, gli scontri emotivi e i siparietti tipici della commedia romantica. Il che potrebbe anche funzionare se non fossero così ridondanti. E se, soprattutto, da una serie TV di questo tipo su questo personaggio ci si aspetta tutt’altro. 

La fine, in fondo, è esattamente quella delle ultime stagioni de La Casa di Carta. Dove ogni colpo non era altro che una ripetizione di quello precedente ma in un luogo diverso, e dove a contare erano solo ormoni e litigi. A dimostrazione del fatto che maggior budget non è sempre sinonimo di maggior qualità e che, in fondo, per quanto alcuni personaggi possano effettivamente essere ben scritti ed interessanti, non è detto che abbiano così tanto da dire. O, meglio ancora, non è detto che si ha la capacità di fargli reggere completamente la scena. 

Berlino, dove sei?

recensione di Berlino

In realtà, Berlino come personaggio avrebbe potuto dare ancora tantissimo. Il fascino del male perfettamente incarnato dalla recitazione manieristica di Pedro Alonso, così carismatico, attraente, magnetico. Quel tipo di seduzione proibita da cui sappiamo doverci difendere ma a cui, al tempo stesso, non vediamo l’ora di cedere.

Alonso definisce Berlino un “terrorista emotivo”, ed in fondo è vero. Un antieroe che sa perfettamente giocare con le emozioni, manipolatorio, tossico ma al tempo stesso dannatamente umano. Innamorato dell’amore stesso, della vita, dei concetti attorno a questi elementi, più che del condividere effettivamente tutto questo con qualcuno. 

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Nella serie TV a lui dedicata tutto questo viene talmente tanto estremizzato da renderlo banale. È un delitto vedere un personaggio così ben caratterizzato, scarnificato a questo modo per la frenesia di replicare un tormentone. Tormentone che, perdonate la ripetizione, non verrà affatto replicato.

Indubbiamente il pubblico saprà farsi andare bene anche tutto ciò, si affezionerà – in parte – ai personaggi. Si accontenterà della solita mediocrità mainstream spacciata per grande innovazione. Ma alla fine di tutto questo Berlino sarà solo l’ennesima serie TV volta a fare numero il cui rumore di fondo si esaurirà in fretta.

Un cast che non è all’altezza

E se almeno il personaggio può godere di un interprete come Pedro Alonso che, in fondo, sa esattamente cosa vuol dire essere un attore, non si può dire lo stesso degli altri interpreti. L’eccezione è Tristán Ulloa, attore, regista e sceneggiatore spagnolo che di esperienza ne ha fatta e che, in qualche modo, funge da contraltare per lo stesso Berlino, quasi replicando il ruolo di Álvaro Morte, ma senza la medesima caratura.

Tutti gli altri giovanissimi membri del cast vengono schiacciati tanto dal peso di un inevitabile paragone (che comunque, anche per La Casa di Carta non si parlava di Premi Oscar) quanto da una caratterizzazione misera, per non dire inconsistente, dei loro personaggi.  

recensione di Berlino

Non si ha mai davvero il tempo per apprezzarli realmente, il che ha del paradossale considerando la durata di circa 60 minuti ad episodio. Il motivo è semplice: sono tutti personaggi di funzione. Si muovono freneticamente sullo sfondo con uno scopo apparente, ma non ne hanno alcuno.

Macchiette di sé stessi. Stereotipi che vanno dal badguy, la Nerd vergine, il macho, la bella ma disturbata. Ad ognuno di questi personaggi viene appiccicato – perché di certo non si può notare un lavoro di grande analisi e scrittura del personaggio – un background, un finto trauma ed una vocazione che, più la narrazione va avanti, più perde drammaticamente di consistenza. 

Berlino è una serie TV guilty pleasure che non riesce ad appassionare

Qui non siamo neanche di fronte ad una brutta copia de La Casa di Carta. Forse più un Bridgerton ma con “ragazzini” che giocano a fare i ladri. Ciò a cui assistiamo, in maniera esasperante per ben otto episodi, che si finisce per vedere fino alla fine per la mera curiosità di comprendere dove si vuole davvero ad andare a parare (e il terribile sentore è quello di un prossimo spin-off alle porte, brrr), è un logorante tira e molla tra personaggi, in cui di tanto in tanto si prova a sorprendere lo spettatore con qualche colpo di scena. Che peraltro finisce con l’essere prevedibilissimo ancora prima di farlo realmente accadere.

recensione di Berlino

Una serie che dimentica la sua essenza, le sue origini, è diventa quasi una commedia natalizia alla “e vissero tutti felici e contenti”. Sequenze patinate, fotografia da cartolina, regia stantia e recitazione che, in svariati momenti, fa rimpiangere Cento Vetrine. Per quanto si parli di prodotto di mero intrattenimento, “guilty pleasure” e serie TV da ascoltare più che vedere, Berlino non riesce neanche lontanamente ad appassionare tanto quanto dovrebbe.

Prende il più delle volte per sfinimento, dilatando inutilmente il tempo dietro infantili smancerie. Perde più e più volte il nucleo del racconto, per poi concedersi uno sprint finale che lascia più confusi che estasiati. L’ennesima riprova che no, non basta un personaggio o l’amore dei fan per poter replicare il successo di un prodotto. Un prodotto peraltro che, a sua volta, a livello di qualità, non è riuscito ad andare oltre le prime stagioni, finendo con l’essere la solita carne da cannone per fare numero all’interno di un palinsesto che soffre, da troppi anni, la mancanza di un’idea realmente originale. 

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Gabriella Giliberti

Gabriella Giliberti, nata a Martina Franca nel maggio del 1991, è una critica cinematografica televisiva, scrittrice e content creator. Dopo essere cresciuta a cinema horror, vampiri e operetta, si è formata a Roma, specializzandosi in storia del cinema, sceneggiatura e critica. Dal 2015 al 2022, è stata penna e volto del sito Lega Nerd, ricoprendo il ruolo di capo redattrice nella sezione Entertainment dal 2019 al 2022. Collabora regolarmente sia su riviste online che cartacee, ed è presente come inviata, moderatrice e speaker presso i principali Festival e Fiere. Attraverso il suo profilo @GabrielleCroix su Twitch, TikTok ed Instagram condivide e divulga l’amore per la pop culture con la sua community e pubblico di appassionati. Ha partecipato all’antologia “Emozioni da giocare” (Poliani, 2021) e “Moondance – Tim Burton, un alieno ad Hollywood” (Bakemono Lab, 2023). Da sempre appassionata di mostri, attualmente è a lavoro su diversi progetti che riguardano la rappresentazione del mostruoso nella società. “Love Song for a Vampire – Etologia del Vampiro da F.W. Murnau a Taika Waititi” (Bakemono Lab, 2023) è il suo primo libro, e non ha intenzione di smettere.

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