Inizia l’anno nuovo e cinematograficamente parlando si apre con una nuova uscita dal mondo dell’horror. Stiamo parlando di M3gan, il film horror in uscita il 4 gennaio che è al centro di questa recensione. Una storia inquietante, che spazzerà via il calore delle feste tra omicidi, tensione e tanti dubbi sul senso di responsabilità. Ma non attardiamoci oltre e scopriamo cosa offre questo film…
M3gan, la recensione dell’horror di Gerard Johnstone
Gemma è una donna in carriera. È lei la mente dietro la creazione di uno dei maggiori successi commerciali del mondo del giocattolo degli ultimi anni. Come tutti i geni però è in conflitto con la dirigenza della sua azienda che da tempo le chiede una versione più semplice ed economica dei prodotti, per allargare il pubblico. Ma Gemma ha in mente qualcosa di più elaborato.
Trovatasi improvvisamente tutrice di sua nipote e impreparata alla vita da genitore, ha la spinta decisiva per creare M3gan. “Più di una semplice bambola, fa parte della famiglia” recita lo slogan di questo androide capace di essere il perfetto compagno di giochi, nonché supporto ottimale ai compiti di padri e madri. Si sa però che le scorciatoie non funzionano mai e che proprio quando tutto sembra perfetto, le cose iniziano a prendere una brutta piega…
M3gan è il punto di incontro tra due storie tradizionali dell’horror: le bambole assassine e i robot che prendono troppo alla lettera l’idea di “proteggere gli umani“. Sotto questi aspetti non c’è una particolare innovazione, se non quella tecnologica. Ma come spesso capita con i titoli Blumhouse, il trucco sta appena sotto la superficie.
Non si può non citare in una recensione di M3gan il suo approccio alla genitorialità. Gran parte del centro emotivo del film ruota intorno alle difficoltà di crescere un figlio, soprattutto al giorno d’oggi. In questo senso il personaggio di Gemma è particolarmente affascinante, perché non ha scelto di diventare madre e non si sente particolarmente portata. Una prospettiva affascinante e attuale, che dà più forza all’opera.
Un film che riesce a metterti profondamente a disagio
Quello a che quest’opera riesce davvero bene è creare una profonda situazione di ansia per ciò che succederà. Come anticipato, la direzione in cui andrà è piuttosto chiaramente delineata fin dalla premessa. Sappiamo che tutto andrà storto con la nostra migliore amica M3gan e prestando attenzione possiamo già intuire alcune delle svolte fin dall’inizio.
Questo però non toglie forza a tutto, anzi. Proprio perché ci aspettiamo determinati eventi, seguiamo la pellicola vedendo i pezzi che vanno al proprio posto e si genera una sensazione di ansia davvero potente. Per gran parte dell’opera la tensione è decisamente alta e quasi difficile da sopportare. Minuto dopo minuto vediamo sempre più vicino il momento in cui M3gan cederà al male.
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Purtroppo non sempre questa risoluzione è all’altezza delle aspettative. Un mantra della sceneggiatura è “mostra, non raccontare” e per quanto sia generalmente vero, qui non sempre funziona. Ci troviamo comunque davanti a un robot dalle sembianze di una bambina, non Jason Voorhees e questo nei momenti più crudi non funziona: la tensione si smorza, riportandoci alla realtà. Sarebbe stato più ambizioso, ma forse più efficace, sviluppare quelle scene suggerendole più che esibendole.
Resta il fatto che la performance di Amie Donald nei panni della bambola in questione è davvero straordinaria. È capace quasi di convincerci davvero di essere un androide, anche nei momenti più “umani”. È meno sorprendente invece il lavoro del resto del cast, che si attesta sul tradizionale livello accettabile dell’horror contemporaneo.
M3gan recensione: un tentativo in cui si poteva credere di più
I progetti Blumhouse hanno la tendenza a essere uno tra un semplice progetto horror che possa divertire il pubblico (spesso con un concept originale) e opere più elaborate, che cercano di smuovere il genere o trattare temi rilevanti. Si pensi a Obbligo o verità e L’uomo invisibile per avere un’idea. Dove si posiziona quindi M3gan tra queste due alternative?
Fondamentalmente è parte della prima categoria, seppure non mancassero gli spunti per andare oltre. L’idea di approfondire la difficoltà di essere genitori e la ricerca di scorciatoie, passando attraverso una figura imperfetta (ma senza inserire tra i suoi difetti il non avere un desiderio di maternità) era assolutamente intrigante e si vede tra le righe il potenziale che avrebbe avuto.
Sfortunatamente però non si è cercato di arrivare fino in fondo con questo approccio, ma si è optato per un posizionamento più facile e accessibile. Una soluzione comoda, che porta a casa indubbiamente il film e che farà divertire il pubblico. Ma che avrebbe potuto volare molto più alto.
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