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Baymax! è una lezione di storytelling da 10 minuti

La nuova serie dedicata al robot di Big Hero 6 insegna come raccontare storie ai bambini. E non solo a loro

Dieci minuti bastano per raccontare una storia completa e soddisfacente, con una morale chiara e un pizzico di diversità che non guasta? Baymax!, la serie dedicata al robot di Big Hero 6, non solo ci riesce ma ci fa stare anche i titoli di coda e una divertente scena post-credit. La serie ha la semplicità e simpatia per far divertire i più piccoli. E la struttura intelligente e attenta che può insegnare ai più grandi come si racconta una storia: un master in storytelling di pochi minuti.

Baymax! espande il mondo di Big Hero 6 e insegna a raccontare storie

La nuova serie arriva su Disney+ ha sei episodi che in totale non arrivano all’ora. Anche con un binge watching non arrivate a sommare il tempo di un film. E a dire il vero, non arrivate nemmeno a provare la soddisfazione che un buon film sa lasciare: a differenza di Big Hero 6, non crediamo che ci ricorderemo di questa serie dopo 8 anni dalla messa in onda.

Ma il creatore di Baymax! Don Hall (che di recente ha scritto Raya e l’Ultimo Drago) ha deciso di partire dallo stesso presupposto del film: Bayman è un robot che cura le persone quando si fanno male. Ma invece di costruire un’avventura da supereroi, ha deciso di affrontare problemi quotidiani.

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Nel primo episodio Baymax (voce originale di Scott Adsit) aiuta Cass (Maya Rudolph), la zia di Hiro (Ryan Potter), che in questa serie farà solo da comparsa per gran parte della durata. Il problema è semplice: Cass si fa male cadendo e non riesce a gestire la propria caffetteria.

Nelle altre puntate i problemi sono altrettanto ‘piccoli’: la vicina Kiko ha problemi alle anche e dovrebbe fare terapia in piscina, la preadolescente Sofia ha le sue prime mestruazioni prima di un talent show a scuola, Mbita scopre una nuova allergia che impedisce di lavorare, il gatto Yachi ha inghiottito un AirPod e deve sputarlo. E poi c’è un ultimo episodio che riprende tutti i precedenti e chiude la trama orizzontale della serie, di cui non riveliamo nulla per paura di spoiler.

Tutti problemi minuti. Ma perché ci teniamo? Perché vogliamo seguirli e ci sentiamo un po’ commossi quando finiscono? Perché sono strutturati perfettamente come una storia. Che il problema sia galattico (come quelli di un Thor qualunque) oppure quotidiano, se la soluzione rispetta i dettami della narrazione diventa una storia. E noi umani (e noi Nerd in particolare) amiamo le storie.

Il Ciclo della Storia in 10 minuti

Dai tempi di Aristotele prepariamo scalette e checklist per mettere in evidenza i punti che formano una storia convincente. E anche Aristotele preparò la propria lista partendo da una tradizione antica: la struttura ‘basica’ delle storie è rimasta la stessa da quando abbiamo imparato a raccontarle.

Potremmo prendere diverse varianti, ma per comodità prendiamo il Ciclo della Storia di Dan Harmon, creatore di Community e Rick & Morty. Che prevede che i personaggi principali di una storia siano:

  1. In una zona di confort
  2. Vogliono qualcosa
  3. Entrano in una situazione diversa
  4. Si adattano
  5. Ottengono quanto desiderato
  6. Pagano un prezzo importante per ottenerlo
  7. Tornano alla situazione familiare
  8. Cambiati

Gli sceneggiatori di Baymax hanno già fatto cambiare il protagonista quanto è possibile farlo per un robot in Big Hero 6. Quindi invece danno a ogni episodio il titolo che corrisponde al nome del ‘paziente’ del robot: questa persona percorrerà il “viaggio dell’eroe”, aiutata dal ‘dottore’ gonfiabile.

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Nel primo episodio vediamo Cass nella sua caffetteria, perfettamente a suo agio nella sua zona di confort. Vuole semplicemente continuare a fare questo lavoro che fa benissimo, anche se intuiamo il suo vero desiderio: far felici i suoi clienti e sentirsi apprezzata. Quando cade e si fa male, non riesce più a lavorare e deve adattarsi alla nuova situazione: Baymax deve sostituirla dietro al bancone.

All’inizio lei non lo accetta e arriva addirittura a spiare il robot mentre lavora (lentissimo). Ma solo quando accetta di pagare il prezzo (fidarsi davvero), ottiene quello che voleva: i suoi clienti si accorgono del video registrato per controllare Baymax, e le fanno gli auguri di pronta guarigione. Quando la sua caviglia migliora, torna a lavorare come prima ma con una nuova consapevolezza: non deve correre (e rompersi le gambe) per far felici i suoi clienti: lo sono già.

Abbiamo scelto il primo episodio per evitare di portarci troppo avanti con gli spoiler. Ma gli altri episodi seguono questo tipo di struttura ancora più da vicino. E l’ultimo adatta in maniera orizzontale su tutta la serie gli stessi dettami.

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Con tutti gli aggiustamenti del caso. La presentazione della situazione iniziale dura davvero pochissimo, per questioni di tempo. Mentre la parte in cui ci si ‘adatta’ alla nuova situazione (anche chiamata “Fun & Games” in altri schemi) ha un grande respiro: è la parte in cui Baymax ci fa divertire con la sua visione particolare del mondo.

Da Gilgamesh fino a Baymax di Big Hero 6: ciò che conta è saper raccontare

Baymax! non inventa nulla di nuovo: come dicevamo, lo schema per strutturare una trama avvincente è rimasto simile (per sommi capi) dai tempi di Gilgamesh e Ulisse. Alcuni film, serie o libri sovvertono la struttura in più modi, ma conservano sempre un nocciolo di questa trama millenaria.

Il robot di San Fransokyo di nuovo mette il suo atteggiamento buono e perennemente gentile, che spiazza sempre i co-protagonisti. E che rende perfetta questa serie per i più piccoli. Chi invece come noi è “fuori target” (un modo delicato per dire “troppo vecchio per un cartone animato”) può però imparare come si raccontano le store in maniera semplice, efficiente e coinvolgente. Ottimo per raccontare delle favole ai bambini, ma anche per snocciolare aneddoti in ufficio.

Voi cosa ne pensate di Baymax e di Big Hero 6? Sono storie che vi hanno coinvolto? Fatecelo sapere nei commenti.

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Stefano Regazzi

Il battere sulla tastiera è la mia musica preferita. Nel senso che adoro scrivere, non perché ho una playlist su Spotify intitolata "Rumori da laptop": amo la tecnologia, ma non fino a quel punto! Lettore accanito, Nerd da prima che andasse di moda.

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