Giovedi 12 maggio gli astronomi della collaborazione Event Horizon Telescope (EHT) hanno rivelato al mondo la prima immagine di Sagittarius A*, il buco nero supermassivo che si trova al centro della nostra galassia, la Via Lattea. Questa immagine, oltre ad essere estremamente affascinante, è stata molto difficile da ottenere e al tempo stesso comporta alcuni risultati scientifici molto importanti.
L’immagine del buco nero al centro della Via Lattea
Questa nuova immagine rappresenta un risultato importante per un motivo apparentemente banale: ci conferma la presenza di un buco nero al centro della nostra galassia. L’ipotesi aveva diverse prove a sostegno ed era considerata la spiegazione più probabile delle varie osservazioni riguardanti la nostra galassia, ma questa nuova immagine e i dati serviti per crearla forniscono delle prove schiaccianti.
Questa inolte è solo la seconda immagine di un buco nero mai prodotta dagli astronomi. La prima, pubblicata nel 2019, aveva come protagonista M87, il buco nero al centro dell’omonima galassia. Con due conferme e i dati sperimentali già a nostra disposizione in precedenza, l’ipotesi che al centro della maggior parte delle galassie sia presente un buco nero super-massiccio è sempre più concreta.
Risulta inoltre interessante come i due buchi neri, molto diversi e in galassie molto diverse, presentino comunque un profilo estremamente simile. I dati risulteranno poi molto utili per capire il comportamento dei gas intorno ai buchi neri super-massicci.
Nero, oscuro
“Fotografare” un buco nero non è facile. Innanzitutto perché non si può osservare direttamente. Una delle caratteristiche del buco nero, che giustifica anche il nome, è il fatto di non emettere direttamente nessuna forma di radiazione (se non, si ipotizza, la radiazione di Hawking, che però, anche se esistesse, sarebbe comunque troppo debole per gli scopi osservativi). La sua massa è così grande e concentrata che avvicinandosi esiste un punto, chiamato orizzonte degli eventi, oltre il quale neanche la luce può sfuggire all’attrazione gravitazionale.
Quello che si può osservare è però la radiazione emessa dalla materia (tendenzialmente gas interstellare) che viene consumata dal buco nero. La radiazione, composta per lo più da onde radio, è oltretutto distorta dal campo gravitazionale, e sembra circondare completamente il buco nero.
Le difficoltà di una “foto”
Per osservare questa radiazione, proveniente da un oggetto relativamente piccolo (circa, in dimensioni relative, come una ciambella sulla Luna) è necessario coordinare otto radiotelescopi in tutto il mondo per creare un sorta di telescopio virtuale grande quanto tutta la Terra. I dati necessari a raccogliere un’immagine sono raccolti poi nel corso di un’intera settimana, con diversi ”scatti” che sono stati poi uniti assieme per comporre l’immagine finale.
Proprio a causa di queste sfide era stato scelto, per la prima osservazione, il buco nero M87, perché, nonostante si trovi a 55 milioni di anni luce da noi, ha una massa di 6.5 miliardi di volte la massa del sole ed è particolarmente attivo nello “ingurgitare” materia. Sagittarius, invece, si trova sì a “soli” 27mila anni luce da noi, ma ha una massa “solo” 4 milioni di volte quella del Sole ed è meno attivo. Una bassa attività confermata poi dalle osservazioni, visto che, come spiegato da Michale Johnson, astrofisico di Harvard, ”Se Sagittarius A* fosse una persona, consumerebbe un chicco di riso ogni milione di anni”.
Questo risultato è probabilmente solo il primo di una lunga serie. La collaborazione EHT vuole infatti aumentare il numero di telescopi, per creare una nuova generazione del progetto. In futuro, le immagini di buchi neri potrebbero diventare più definite, più rapide da ottenere e, soprattutto, più comuni.
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