Nelle ultime settimane si è tanto parlato dell’esperimento SOX dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso: l’allarmismo, le ovvie chiarificazioni, le prese di posizione. Non ci interessa troppo stare qui a parlarvi di quanto tale esperimento sia sicuro (ma lo faremo, nella seconda parte di questa intervista), potete trovare ovunque le dichiarazioni dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare. Ci piacerebbe molto di più parlare un po’ di tutto quello che ancora una volta è passato in sordina: il lavoro straordinario dei fisici di LNGS, e le domande della scienza a cui vorrebbero rispondere. Per aiutarci a fare chiarezza abbiamo invitato a chiacchierare con noi Francesco Arneodo, fisico sperimentale che si occupa di astrofisica e fisica delle particelle, ora professore di Fisica ad Abu Dhabi, che ha passato gran parte della sua carriera ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso.
GR: Si è tanto parlato ultimamente dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso, ma si è detto molto poco su quale tipo di lavoro venga effettivamente svolto lì. Cosa sono i LNGS, e a cosa servono?
FA: I LNGS sono stati costruiti negli anni ’80, progettati e concepiti dal professor Antonino Zichichi e la sua squadra. Zichichi ha avuto una grande intuizione: sfruttare i cantieri esistenti per la costruzione dell’autostrada Roma-L’Aquila per mettere in piedi un laboratorio sotterraneo. È stata un’ottima intuizione perché ancora adesso i LNGS sono al momento il laboratorio sotterraneo più grande del mondo: tre vaste sale di circa 100x20x20m. Un’altra interessante intuizione è stata quella di orientare queste sale verso il CERN di Ginevra, a 700 km di distanza, siccome già allora c’era l’idea di studiare i neutrini, in particolare con un fascio artificiale di neutrini generato al CERN.
In generale i LNGS sono stati concepiti come un luogo dove studiare fisica delle particelle e anche astrofisica: spesso ci si riferisce a tali studi come fisica astroparticellare. Ad esempio studiando i neutrini del Sole si fa astrofisica, perché i neutrini sono l’unico messaggero proveniente dal centro del Sole dove avvengono le reazioni di fusione, e allo stesso tempo fisica delle particelle perche’ possiamo studiare le proprietà dei neutrini.
GR: E perché è importante essere sotto alla montagna?
FA: Proseguo con l’esempio dei neutrini del Sole: sono molto abbondanti, 60 miliardi di neutrini al cm quadrato al secondo, ma siccome interagiscono pochissimo con la materia ordinaria noi non ci accorgiamo del loro passaggio, ed è anche molto difficile rilevarli. Dobbiamo quindi andare in un posto dove si è schermati dalla radiazione naturale, principalmente i raggi cosmici (nuclei di idrogeno, elio, ma anche elementi più pesanti, e le cascate di particelle secondarie che generano interagendo con l’atmosfera), che disturberebbero la rilevazione di eventi rari come l’interazione dei neutrini con la materia. Per citare il professor Zichichi cercare eventi rari in superficie sarebbe come cercare di sentire una nota di violino in uno stadio in cui è appena stato segnato un goal. La radiazione cosmica sotto al Gran Sasso è un milione di volte meno intensa che in superficie, e quindi si può procedere con la ricerca di eventi rari, come appunto l’interazione con la materia di neutrini del Sole. Oppure i neutrini che provengono dalla crosta terrestre, i “geoneutrini”, che hanno un flusso molto debole, ma sono stati rilevati da Borexino. Oppure, ancora, la ricerca di speciali decadimenti, come il doppio beta senza neutrini.
Poi c’è tutta la questione della rivelazione della materia oscura, a cui io lavoro. La materia oscura è costituita, crediamo, da particelle che permeano tutte le galassie, e che ne costituiscono la maggior parte della massa. Queste particelle esistono, ne vediamo gli effetti gravitazionali, e speriamo siano rivelabili in qualche modo, ma se lo sono sicuramente è molto difficile farlo, altrimenti le avremmo già viste. L’unica possibilità che abbiamo è cercare di ottenerne traccia in un posto schermato, come i LNGS. Ma la schermatura della montagna in sé non basta: ad esempio nell’esperimento XENON1T, a cui lavoro, ci sono circa settecento tonnellate di acqua ultra pura che schermano un rivelatore di xenon liquido che cerca queste particelle di materia oscura. È interessante sottolineare che tutte le parti di questi esperimenti, per garantire la loro buona riuscita, devono essere il meno radioattive possibile. Ad esempio se mi servono delle componenti di acciaio da utilizzare in un esperimento me ne faccio spedire da dieci produttori, ne misuro la radioattività in sensibilissimi rivelatori, sempre al Gran Sasso, e poi scelgo quello meno radioattivo.
GR: Perché tutta questa pignoleria?
Molti di questi eventi che si cercano a LNGS hanno un'energia bassissima, comparabile a quella della radioattività naturale: tutto è radioattivo, io lo sono, tu lo sei. Per esempio noi conteniamo potassio, e parte di quel potassio è l’isotopo radioattivo potassio 40, che decade emettendo un raggio gamma da 1.4 MeV, comparabile con l’energia dei neutrini del sole. Dobbiamo fare di tutto perché la radioattività intrinseca dei materiali attorno agli esperimenti sia il più ridotta possibile, altimenti non avremmo nessuna speranza di trovare i segnali che cerchiamo.
Un altro esempio interessante è l’uso del piombo romano: per schermare alcuni esperimenti si usa piombo recuperato da una nave romana affondata 2.000 anni fa, il cui recupero è stato finanziato da INFN, perché quel piombo ha perso in acqua la maggior parte della sua radioattività. Questo materiale è stato in particolare usato nell’esperimento CUORE, che cerca di rilevare il decadimento doppio beta senza neutrini, che ancora non si sa se esista, ma se esiste è certamente un fenomeno rarissimo, con importanti conseguenze sulla fisica dei neutrini.
(domani, nella seconda parte dell'intervista, parleremo ancora di LNGS e di SOX)
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