Il mito lo si potrebbe definire come «letteratura dello spirito», parla di quei valori eterni che sono il fulcro della nostra vita. Tratta dei grandi temi su cui si sostiene la vita umana, sui quali si sono edificate le civiltà e forgiate le religioni; tanto è vero che a latitudini diverse in epoche diverse affiorano racconti simili, quando non uguali, se non per ambientazione e forma, almeno per contenuto e sostanza. Si potrebbe, anzi, affermare che “non facciamo altro che riudire o rileggere lo stesso, proteiforme, eppure straordinariamente identico racconto, il quale inoltre ci lascia intuire ogni volta, con provocante pertinacia, la potenziale esistenza di infiniti altri racconti che non conosceremo mai” (Joseph Cambell, L’eroe dai mille volti). Questa omogeneità delle storie indica di conseguenza una omogeneità delle esperienze degli uomini, indipendentemente da epoca o luogo geografico, e quindi la condivisione di quello che Jung definisce «inconscio collettivo». Una sorta di contenitore universale, comune a tutti gli uomini. Una specie di gigantesca nube in cui lampeggiano archetipi comuni (personaggi, storie, eventi legati alla formazione dell’immaginario del singolo individuo in quanto membro della collettività…). Questi modelli universali, la cui immediatezza consente di riconoscerli facilmente anche senza aver fruito il modello originale, vanno ad animare i miti, i quali altro non sono che un tentativo di venire a patti col mondo, di creare un’armonia tra le nostre vite e la realtà. In altre parole, i miti rivelano ciò che gli esseri umani condividono, “narrano la nostra ricerca, attraverso i secoli, della verità, del senso e del significato” (Cambell, Il potere del mito).
Fra il 1985 e il 1986 il giornalista americano Bill Moyers intervistò Joseph Cambell, uno dei massimi studiosi di mitologia e di religioni, dapprima allo Skywalker Ranch di George Lucas (che dalle riflessioni attorno al mito di Campbell contenute nella sua opera forse più nota, L’eroe dai mille volti, era stato profondamente influenzato per la creazione di Guerre Stellari) poi al Museo di Storia Naturale di New York. La conversazione, estremamente interessante, fu registrata e divenne una miniserie di sei ore dal titolo Moyers: Joseph Campbell and the Power of Myth, trasmessa dal canale PBS, e in seguito pubblicata come libro dal titolo The Power of the Myth (in Italia l’intervista è stata pubblicata per i tipi di Neri Pozza, con il titolo Il potere del mito). Campbell definisce i miti come “le tracce che ci guidano verso le potenzialità spirituali della vita umana” e ancora più avanti come “esperienza della vita”, “i miti ti aiutano a entrare in contatto con l’esperienza dell’esser vivi”. La mitologia si fa portatrice di messaggi esistenziali e non è un semplice argomento su cui discettare in ambito accademico: permette di comprendere meglio la nostra vita, e ci insegna cosa riposa dietro arti e letteratura. Affrontando tematiche senza tempo, pur in seno a culture specifiche, i miti trasmettono modelli di vita e per questo devono essere adattati al tempo in cui si vive. Necessitano di una continua e attenta vivificazione, attraverso una attualizzazione della loro forma, non del loro significato.
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Riprendendo la terminologia junghiana, i miti potrebbero essere definiti come sogni archetipici del mondo. La loro universalità li rende facilmente fruibili e determinanti per il successo delle storie che li trattano. Si considerino alcuni dei maggiori successi editoriali e cinematografici degli ultimi anni. In essi è presente una valida prospettiva mitologica. La letteratura di genere – e il fantasy in primis – attinge al mito in maniera più diretta e palese rispetto alla narrativa “realistica”. È il caso di Guerre Stellari così come de Il Signore degli Anelli, Harry Potter o i supereroi, che negli ultimi anni hanno invaso non solo le pagine degli albi a fumetti, ma anche le sale dei cinema.
Per definizione, il mito è un racconto idealizzante attorno a un dio o un individuo che acquisisce qualità divine, dove divino è ciò che assume valore e potere funzionali alla vita degli uomini. La religione cristiana (ma non solo) tende a proiettare questo essere al di fuori dell’uomo, in un’entità trascendente e astratta, operando quello che Feuerbach chiama «alienazione». I miti si configurano quindi come metafore attorno alle potenzialità spirituali e divine dell’uomo, gli stessi poteri che animano la natura, tanto disprezzata da alcune religioni, il cui errore è quello di interpretare queste metafore come realtà. “Siamo situati all’interno della natura; e dovrebbe essere posto fuori di essa il nostro inizio, la nostra origine? Viviamo nella natura, della natura e dovremmo tuttavia non essere derivati da essa? Quale contraddizione!” (Ludwig Feuerbach, Essenza della religione).
I miti ci ricordano che il divino è qui, ora. Quattro sono le sue funzioni: mistica, perché permette di comprendere le meraviglie del mondo e dell’uomo e cerca di catturare il mistero di tale meraviglia; cosmologica – funzione ora assegnata alla scienza; sociologica – il mito comunica una serie di regole e di leggi per convalidare un ordine sociale, definisce l’ethos di un popolo, il comportamento socialmente accettabile e buono senza il quale una convivenza sarebbe se non impossibile, assai complicata -, e infine, pedagogica – insegna come vivere in armonia col mondo e con se stessi, al fine di apprezzare il mistero intravisto, in armonia con uomo e natura.
I miti hanno parlato e sempre parleranno di ciò che è inevitabile e necessario nella vita dell’uomo. Il passaggio dalla fanciullezza all’età adulta, l’ingresso nel mondo vasto e potenzialmente ostile e la comprensione del proprio ruolo, la maturità e infine la morte, il rapporto con la società, la natura e il cosmo. Essi, pertanto, sono sempre attuali. Ora, così come tremila o trentamila anni fa. Per le vie palpitanti di luci elettriche, nella corrusca frenesia di roboanti mezzi meccanici o sotto cieli attraversati da uccelli di metallo e trasmissioni hertziane, le fasi della vita degli uomini sono le stesse di quando, più di quindicimila anni fa, l’uomo di Cro-Magnon dipingeva scene di caccia all’interno delle caverne di Lascaux, provando gli stessi sentimenti e le stesse paure con gli stessi organi, lo stesso corpo e le stesse energie. Il mito, sebbene spesso possa apparire estraneo al mondo moderno e alla contemporaneità, in realtà, è per natura sempre attuale perché collocato in un tempo al di fuori del tempo e rivolto a un persistente stato dell’esistenza.
I miti sono profondamente radicati alla cultura, al tempo e al luogo; alle arti spetta il compito di attualizzarli, al di là dei simboli e delle metafore, poiché questi ultimi non rendono l’esperienza, la suggeriscono solo fino a un certo punto ed è qui che interviene la storia. La storia completa il simbolo, il simbolo arricchisce la storia. L’uno non deve offuscare l’altra. I miti, oggi, sono più popolari e onnipervadenti che mai perché continuano a dirci cosa davvero vogliamo essere. Ci raccontano dove siamo stati, ciò che abbiamo temuto e cosa desideriamo. Fanno capolino dagli improbabili costumi dei supereroi dei fumetti, strizzati nelle calzamaglie di semidei e alieni, guardiani di galassie e ultimi sopravvissuti di specie aliene distrutte. Sono parte integrante dell’immaginario collettivo. Escono dalle sale buie dei cinematografi, fra odore di popcorn, nachos e salse piccanti, fra risucchi strozzati di bibite gassate. I miti, oggi, li si trova all’angolo fra viale Coni Zugna e via Solari. Scivolano fuori dalle pagine di libri young adult di successo. Ed è così che il mito di Teseo e del Minotauro rivive grazie a una riluttante eroina del Distretto 12 che per salvare la sorella si offre volontaria come tributo per gli Hunger Games, dando il via a una rivolta. O dèi ormai dimenticati, della mitologia norrena come Odino, di quella slava, quella africana (Anansi), celtica o mediterranea (Bilquis), si trovano, alle soglie del XXI secolo in un mondo che venera dèi più nuovi e più affascinanti, a vivere di espedienti e tirare a campare come possono, coccolando l’idea di una rivincita e di uno scontro epico con le divinità che li hanno rimpiazzati.
I miti riempiono i brevi centimetri fra un’attività e l’altra delle nostre vite con serie televisive in cui vengono cacciati da due fratelli che hanno vinto la Morte (e l’hanno persino uccisa) più volte di quanto si possa tenere a mente, o serie che ci fanno temere i freddi Estranei che si organizzano in eserciti al di là della Barriera, a noi dolci figli dell’estate che non conosciamo cosa sia la paura, nell’attesa che l’inverno arrivi. Popolano gli scaffali degli store Disney, grande monopolizzatore dell’immaginario dell’uomo contemporaneo. Respirano, affannosamente, dietro nere maschere cyborg di un padre forse non così pessimo, votatosi al Lato Oscuro per paura e per amore, e – sempre per amore – redentosi negli ultimi istanti della sua vita. Vivono sotto il nostro letto e aspettano di riuscire ad afferrarci le caviglie, appena scivolano fuori da sotto il lenzuolo. Si nascondono nell’armadio, gli occhi rossi che brillano nel buio, fra i pantaloni e le camicie appesi. Giacciono dentro di noi, e aspettano. Aspettano uno Stephen King o un Peter Straub o un Thomas Ligotti che li scopra e mostri come sono.
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