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Che impatto ambientale avrebbe il muro di Trump?

Ormai è fuori da ogni discutibile dubbio che la politica del neo eletto presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump, sia volta alla costruzione di ogni sorta di barriere: siano esse politiche, sociali, economiche o fisiche. Non a caso, uno degli argomenti più caldi che hanno dominato la politica americana degli ultimi tempi riguarda la costruzione di un muro che andrebbe a dividere, più di quanto non lo siano già, gli USA dal Messico.  
Ma questa non è una rubrica scientifica? Ci arriviamo, ci arriviamo. 
Il problema della regolamentazione dei confini è un tema che già dalla fine degli anni 80’ infiamma gli animi della politica americana, scatenato dalla necessità di bloccare traffici illeciti di merci e clandestini. Partendo dagli sbarramenti ad ostacoli del presidente Bush (Senior), nel tempo le fortificazioni sono andate ad ampliarsi, a militarizzarsi, ad essere accompagnate da leggi sempre più severe nelle limitazioni agli ingressi e sempre più rigide in fatto di deportazione, portando all’approvazione del  Secure Fence Act del 2006 che ampliava il muro di confine fino alla sua attuale estensione. Con gli anni, la continua discussione politica relativa al confine è difatti cresciuta di pari passo all’ondata di timore che ha travolto l’opinione pubblica. Istigata dalle storie di malavita e narcotraffico illegale, la paura  per il crescente tasso di delinquenza ha trovato un volto ed una scusante nell’immigrazione centroamericana, ponendo così l’attenzione delle diverse amministrazioni alla separazione dei confini. Questo muro non poteva che diventare quindi il simbolo per eccellenza della politica anti-immigrazione di Trump, che ha fatto degli interventi drastici e restrittivi il suo portabandiera.
Questa possibile massiccia fortificazione nasconde però implicazioni più numerose di quelle evidenti. Ripercussioni politiche, sociali, economiche o la semplice costituzionalità dell’atto sono una parte sicuramente fondamentale da tenere in considerazione per la valutazione di questa possibile costruzione, ma diverse testate scientifiche si stanno sbracciando per mettere in evidenza un’ulteriore conseguenza della questione,  non strettamente legata al sociale e per lo più nascosta a chi non ha dimestichezza con la scienza. Secondo numerosi scienziati, infatti, la costruzione del muro comporterebbe un grandissimo pericolo per gli ecosistemi e gli animali che si trovano nella zona, risultando in una possibile catastrofe ecologica. Vediamolo più nel dettaglio.   
Il confine tra Stati Uniti e Messico si trova in una zona particolarmente ricca e preziosa per la biodiversità mondiale. Un peculiare mix tra clima, posizione e morfologia geografica ha fatto sì che nei millenni si formassero, in queste zone, una serie di micro e macro ecosistemi diversissimi tra loro e fondamentali per la sopravvivenza naturale delle due nazioni. Vi sono regioni desertiche che, nonostante l’apparente inospitalità, supportano la vita di una numerosissima fauna, che spazia da specie iconiche delle zone come il Roadrunner (il Beep Beep dei Looney Tunes) a quelle meno conosciute (il Geko del Texas per fare un esempio), ma anche ecosistemi unici al mondo, come la valle del Rio Grande (con più di 700 specie di vertebrati che la abitano) e le zone montuose delle Sky Island dell’Arizona, casa di diverse specie di felidi ed animali a rischio estinzione. Tutti questi habitat, ovviamente, si trovano a cavallo dei due stati (la natura non fa distinzione di confini), e quindi dipendono strettamente dalle relazioni alimentari e dai flussi genetici che avvengono tra gli organismi che le abitano: migrazioni regolari, dettate da necessità climatiche, d’accoppiamento e di cibo, sono la base ed un obbligo di vita per la sopravvivenza.
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Ora, si può facilmente immaginare cosa succederebbe se improvvisamente sorgesse un muro che separi in due parti un ambiente che sopravvive grazie alla sua unità. Diversi studi hanno dimostrato, negli anni, la suscettibilità degli animali alla presenza di ostacoli generali come semplici staccionate ma anche autostrade e ferrovie: bloccando i movimenti interni si va ad influire sulla possibilità di procacciarsi cibo, cementando e separando parte di un unico ecosistema si vanno a diminuire considerevolmente le possibilità di riproduzione di una specie. Una zona più ristretta per la riproduzione, significa ridurre gli incroci genetici e quindi ridurre la variabilità genica rendendo gli organismi più suscettibili alle malattie. In pratica, semplificando, un orso nero tipico del Texas a cui  viene tolta la possibilità di accoppiarsi col “cugino” messicano, perde la possibilità di arricchire la propria stirpe con un corredo di geni proveniente da una popolazione differente,  adattata ad uno “stile di vita” diverso, togliendogli così la possibilità di tramandare alla progenie geni più diversificati, più adatti alla sopravvivenza, rendendo la specie a rischio. 
Dobbiamo pensare che gli animali di queste aree si sono adattati per attraversare il confine già tra i 3 ed i 20 milioni di anni fa, risulta quindi evidente il possibile disastro dovuto ad un barricamento massivo ad opera dell’essere umano. I dati riportano, che l’attuale rete che borda il confine di Stati Uniti e Messico per circa 650 miglia con una maglia di filo spinato, ha ridotto la numerosità per almeno 16 specie americane di circa un 75% solamente dal 2011 al 2016. Ed è da tenere in considerazione che ci stiamo riferendo ad una barriera relativamente permeabile ai piccoli organismi e che ricopre solamente il 40% circa del confine. Inoltre nella maggior parte del confine, la recinzione è finalizzata all’arresto dei veicoli e quindi permette il passaggio di persone o animali. La costruzione di un muro di 10-20 metri di solido calcestruzzo, come prospetta Donald Trump, risulterebbe quindi in un consistente aumento del danno dovuto anche al sostanziale aumento dell’attività umana e degli inquinanti conseguente alla costruzione: strade per il trasporto dei macchinari e del personale, inquinamento da mezzi pesanti, costruzioni di controllo e tutto quello che comporta un cantiere di enormi dimensioni
In un’intervista per un giornale americano Louise Misztal, biologo dell’associazione per la conservazione delle  Sky Island dell’Arizona, afferma “Col cambiamento climatico, molte specie si stanno spostando, alcune stanno estendendo il loro arale sempre più a nord. Dobbiamo imprimerci in mente che le migrazioni avranno necessità sempre più ampie. Ed in aggiunta agli ovvi e visibili impatti che questo muro ha sulla natura, ci potrebbero essere danni sul lungo termine che al momento non siamo in grado di vedere.
Gli studi sulle implicazioni future e la quantificazioni dello stato di salute di queste regioni risultano difatti piuttosto complicati. Non sono molti i dati che i ricercatori hanno a disposizione in queste zone, ma la U.S. Fish and Wildlife Service ha stimato che indicativamente questo muro potrebbe andare ad impattare su più di 111 specie attualmente già a rischio estinzione e su 108 uccelli migratori, influendo sui loro sistemi di orientamento. Nel corso della campagna presidenziale sono state diverse le richieste di commento sui possibili effetti che questo muro di confine tra Stati Uniti e Messico potrebbe avere sulla vita naturale delle zone, ma l’entourage di Trump non ha mai fornito risposta.
Testi di Eleonora Beccari 
Elaborazione di Giada Rossi, Veronica Moronese, Eleonora Beccari
Fonti:

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